venerdì 15 novembre 2019

"Eva Luna" di Isabel Allende: un marasma di personaggi per una buona storia


RECENSIONE - Una volta che si ha il desiderio di recensire il libro "Eva Luna" di Isabel Allende, trovo che non sia semplice decidere da dove iniziare. C'è davvero tanto da dire perché tanto viene raccontato nelle pagine di questo romanzo che si incastra a perfezione nella tradizione spagnola del genere picaresco. Si tratta infatti, per i capitoli che riguardano la protagonista Eva Luna, dell'autobiografia di un personaggio fittizio nato in condizione indigenti, rimasto orfano e che cresce affrontando negli anni una serie di vicissitudini da cui riesce ogni qualvolta a uscire indenne grazie alla sua furbizia da "pícaro", ossia da briccone. Un'analisi che calza a pennello per descrivere la storia di Eva Luna che Isabel Allende alterna alla narrazione della vita di Rolf Carlé, un giovane austriaco che dall'altra parte del mondo vive esperienze completamente diverse da quelle di Eva. Episodi macabri e di violenza lo segnano, senza tuttavia condizionare la sua coscienza. Eva Luna e Rolf Carlé conducono due esistenze separate che corrono come binari paralleli per gran parte del libro, ma destinate a intrecciarsi nel finale.


Non importa che l'epilogo sia anche abbastanza prevedibile. Il romanzo riesce a coinvolgere perché pullula di personaggi e situazioni bizzarre a cui ti affezioni o che solleticano irrimediabilmente la curiosità del lettore. Difficile non apprezzare la fierezza di Consuelo, la madre di Eva, o non rimanere sbigottiti dinanzi alle stramberie del vecchio Professor Jones. Complicato è riuscire a non odiare Lukas Carlé, il padre di Rolf, non subire il fascino di un personaggio orgoglioso come Huberto Naranjo, non provare tenerezza per il buon Riad Hilabi. E poi quella matta della madrina, Elvira che dorme in una bara, l'inconsolabile Zulema e tanti altri personaggi che Eva incontra durante il suo percorso e restano nel bene o nel male nel cuore o nella memoria del lettore.

"Eva Luna" è dunque un po' una storia corale. È un romanzo di formazione che si prodiga a narrare la maturazione di una bambina che gli eventi rendono una donna consapevole di sé, forte e autonoma. "Eva Luna" è tante cose: è anche un libro che col pretesto delle peripezie di una ragazzina, svela e denuncia i retroscena storici di un periodo politico critico nel Sudamerica. È una storia capace di trattare argomenti importanti come il valore dell'alfabetizzazione e temi delicati come la transessualità attraverso l'adorabile personaggio di Melecio/Mimì. Ci sono anche storie nella storia perché Eva Luna viene spesso presentata come una moderna Shahrazād de "Le mille e una notte". È un romanzo di avventura e spesso apparentemente potrebbe sembrare di perdersi in questo marasma di nomi, luoghi, spostamenti e cambiamenti. Eppure non accade, sospinti in avanti pagina dopo pagina dal corso dai fatti narrati proprio come accade a Eva Luna. Non ci si abbatte e si guarda negli occhi il mutamento con audacia e coraggio, senza voltarsi indietro.

Di Valentina Mazzella


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venerdì 1 novembre 2019

La donna angelo del focolare oggi: lo stigma sociale della casalinga


Lo so, non è marzo e nessuno regala mimose gialle al gentil sesso. Eppure in questo periodo meditavo lo stesso sulla condizione della donna. Non c’è bisogno ogni volta di attendere l’ennesimo caso di cronaca eclatante o la ricorrenza di una festa commerciale per farlo. A voi capita mai di soffermarvi a riflettere sul ruolo della donna nella sua evoluzione storica sotto il profilo psicologico? Sono innumerevoli i concetti che si possono ribadire in merito senza apparire brillanti quanto a originalità, ma è tutto vero.

Ad esempio ricordare che per secoli la donna è stata purtroppo costretta a un ruolo subordinato e di sottomissione all’interno di società patriarcali che la volevano appendice di un uomo. Quasi fosse un bene privato del padre, dei fratelli o del marito. Lo testimoniano leggi assurde come il delitto d’onore ancora contemplato ammissibile fino al 1981 e alla percezione dello stupro non come reato contro la persona, ma “contro la morale e il buon costume” fino al 1996. Del resto gli strascichi di questa mentalità maschilista e possessiva emergono ancora negli infiniti e attualissimi episodi di stalking e femminicidio, denunciati e non.


Tutto sommato ad oggi le donne hanno anche finalmente vinto molteplici battaglie. Sono più libere, possono studiare e lavorano. Almeno in Occidente viene loro legalmente riconosciuta la parità di genere. Le pari opportunità e le cosiddetta quote rosa crescono negli ambiti più variegati. È assolutamente anche vero che ostacoli e disparità proseguono a regalare quotidiane grane. A partire dal retaggio sessista nel linguaggio comune alle più ingiuste differenze di stipendio fra uomo e donna. Però, abbracciando l’ottimismo, si spera che fra cinquant’anni tanti nuovi traguardi saranno stati raggiunti.

Tuttavia dietro le quinte accade dell’altro. Un altro fenomeno sibila e lascia l’amaro in bocca. Delle donne sottomesse e delle donne in carriera si parla spesso. A proposito delle mamme lavoratrici si accenna sempre prestando attenzione a non ferire sensibilità alcuna perché se non usi le parole adatte sembra che si voglia colpevolizzare la categoria per aver scelto, giustamente, di alzarsi le maniche. Un po’ di meno si discute invece delle donne che nel 2019 scelgono di essere semplicemente moglie e madre. E non importa se la signora in questione sia magari pure laureata, abbia alle spalle fior di master e abbia in passato sempre lavorato. Oggi per una donna, soprattutto se giovane e nubile, affermare in pubblico che nella propria scala di valori si dia più importanza al desiderio di essere o divenire moglie e madre è altamente impopolare. Inevitabilmente si verrà guardate come una povera disgraziata.


Qualcuno dei presenti magari potrebbe mormorare: “Va be’, ognuno poi è felice a modo suo”, ma solo per cortesia o per essere politicamente corretti. Ciò accade perché tacitamente, pur senza ammetterlo, sempre più di frequente la donna scivola verso una nuova schiavitù che vive l’estremo opposto. Quasi che di questi giorni una giovane donna debba vergognarsi nel dire di avere vocazione alla famiglia perché tale obiettivo viene giudicato come un’aspirazione retrograda e irragionevole senza mezze misure. E – di nuovo – non importa quanto si abbia studiato o quanto si abbia lavorato. In nome della libertà tanto decantata, quella che dovrebbe essere una scelta fra le tante possibili riceve un bollino nero. Sebbene – si badi bene – finalmente oggi in molti contesti possa essere una scelta, non più un’imposizione come in passato. Eppure lo stigma sociale resta. È quello della casalinga giudicata a priori poco evoluta, remissiva e meno in gamba nel complesso. Sebbene non necessariamente la realtà debba coincidere con il preconcetto.

Fra l’altro allo stesso modo altre occhiate di disapprovazione spettano da sempre anche all’uomo che sceglie di fare il “mammo” a casa mentre la partner lavora. E non interessa a nessuno che magari alla coppia in questione possa star bene così. In breve perseverano nuove catalogazioni in decisioni di serie A e decisioni di serie B. Non si riesce ad accettare che ogni individuo possa per sé preferire uno stile di vita diverso da quello proposto dai presunti standard del successo e dalla pressione sociale. Accade così che la donna oggi non sia ugualmente libera. Questa volta non per il sessismo, ma perché ha appeso al chiodo lo stereotipo dell’angelo del focolare e si costringe non troppo di rado a indossare quello dell’emancipata a tutti i costi. Nè più e nè meno. E si stende pertanto il tappeto all’interrogativo più grande: quando la donna sarà veramente libera di essere una persona e non più la proiezione di un modello predefinito? Chissà, ma la consapevolezza è il primo passo per affrontare il problema.

Di Valentina Mazzella, pubblicato sul Napolisera.it in data 1 novembre 2019.


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