giovedì 19 dicembre 2019

"Fili d'innocenza", il romanzo dai valori autentici di Salvatore Esposito


RECENSIONE - Un prisma luminoso. Sicuramente questa la metafora che calza al pennello al romanzo "Fili d'innocenza" dell'autore esordiente Salvatore Esposito per la pluralità delle sfaccettature e degli spunti di riflessione che la sua narrazione offre ai lettori. Non a caso l'opera è stata insignita della menzione d'onore al concorso letterario Premio Città di Grosseto 2019. Una storia dai contenuti autentici che racconta in maniera semplice e limpida il percorso di crescita del protagonista e dei suoi due fratelli. Il rapporto di Riccardo, voce narrante, con Marcello e  Nino descrive pagina dopo pagina una relazione alle volte di gelosia e competizione, ma soprattutto di solidarietà e complicità che ricostruisce in modo genuino e veritiero la dualità di un comune legame fra fratelli. "Fili d'innocenza" è in primis un romanzo di formazione in cui i ragazzi non vengono educati esclusivamente dai genitori perché ambientato in un tempo sociale in cui la collettività aveva ancora a cuore la responsabilità verso i più giovani.

La struttura del libro si presenta come una raccolta di episodi sparsi. Il lettore inizia a leggere incuriosito dall'incipit della trama, guidato dalla suspense. Ci si ritrova invece molto presto assorbiti dal piacere della lettura dei vari ricordi anche laddove il racconto sembri fine a se stesso. In ogni capitolo ci si sente parte della famiglia di Riccardo, quasi si sia seduti a tavola con tutti i suoi membri durante i diverbi. "Fili d'innocenza" è anche una storia corale quanto basta perché si assapora la realtà del paese di ambientazione attraverso i vari personaggi che interagiscono con i tre giovani: le zie, i vicini di casa, i compagni di classe, i gestori delle botteghe... Tutti peculiari e riconoscibili. La narrazione riserva uno spazio prezioso ai sentimenti, evitando tuttavia sentimentalismi stucchevoli. Non tace sui primi amori e affronta il tema della scoperta del corpo e della sessualità senza tabù e morbose strumentalizzazioni. Il tutto con estrema delicatezza ed eleganza, puramente per descrivere le esperienze impacciate dei ragazzi che si affacciano alla vita.

In "Fili d'innocenza" c'è Napoli con i suoi inconfondibili luoghi e la sua vivace lingua parlata. C'è il profilo della cittadina di Sacromonte che, nonostante il nome di fantasia, si fa emblema e portavoce di tutti i paesi vesuviani. Il romanzo offre in sottofondo un nitido spaccato della società italiana degli anni Sessanta e Settanta. Non trascura il divario fra Nord e Sud, permettendo di percepire la Questione Meridionale come una ferita aperta e bruciante attraverso alcune vicende infelici degli stessi personaggi. Pone l'accento sulle Lotte operaie degli stessi anni e sul problema della disoccupazione. Ed è forse proprio questo retroscena storico-culturale così ben definito a rendere paradossalmente i fatti narrati di grande attualità. I protagonisti stessi sono attuali proprio perché vivono una ricerca dell'io e della strada da intraprendere nella vita. Attraversano lo smarrimento che appartiene ai giovani di tutte le generazioni. Vi è in ciò una punta di universalità, ingrediente indispensabile in ogni opera valore.

Recensione di Valentina Mazzella, pubblicata sul Napolisera.it in data 18 dicembre 2019.


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venerdì 13 dicembre 2019

"Il Maestro e Margherita" al Teatro Mercadante: il Bulgakov un po' dark di Andrea Baracca



RECENSIONE - "Liberati dal maligno, gli uomini sono rimasti maligni" è l'avvilente citazione disfattista del "Faust" di Goethe che impera su una parete della scenografia dello spettacolo "Il Maestra e Margherita" in scena al Teatro Mercadante di Napoli fino a domenica 15 dicembre. Una rappresentazione densa, carica e passionale con una buona dose di estetica dark. La sceneggiatura di Letizia Russo ha dato vita a un adattamento notevole che in tre ore riesce a condensare la forza e la molteplicità di uno dei capolavori più eclettici della letteratura del Novecento, l'omonimo romanzo di Michail Bulgakov. L'esorbitante numero di ben 146 personaggi è stato opportunamente ridotto a una manciata di personaggi fondamentali interpretati egregiamente da un cast di eccellenza: Michele Riondino, Francesco Bonomo, Federica Rosellini, Giordano Agrusta, Carolina Balucani, Caterina Fiocchetti, Michele Nani, Alessandro Pezzali, Francesco Bolo Rossini, Diego Sepe Oskar Winiarski. Chi ha letto il libro sa che si tratti di una narrazione dotata di innumerevoli complessità e sottotrame.



È principalmente la storia dell'incontro di Satana con uno scrittore precipitato nella depressione a causa dell'infelice critica letteraria che dilania un'opera che ha scritto a proposito di Ponzio Pilato, del processo a Gesù e dei fatti immediatamente successivi alla crocifissione. Per tale sofferenza lo scrittore finisce in manicomio e si fa chiamare il Maestro. Nel frattempo Satana incontra altri personaggi come un poeta che il Maestro conoscerà in clinica e soprattutto Margherita, la donna dello stesso Maestro che non sa che lo scrittore sia stato internato e non rinuncia ad avere notizie dell'amante scomparso. Di fatto la storia è ambientata storicamente nel pieno regime sovietico che promuoveva l'ateismo di Stato. Tuttavia, per ovvie esigenze di copione, Letizia Russo rinuncia alla feroce critica politica di Bulgakov per focalizzare l'attenzione su altri aspetti.


Ecco allora che, sotto la sapiente regia di Andrea Baracco, il pubblico assiste alla struggente storia d'amore di Margherita e il Maestro. Ha modo di riflettere sugli innumerevoli temi più filosofici e storico-teologici, sui vari richiami ai Vangeli e sulla stessa natura umana che sembra protesa al bene, ma è forse marcia anche senza bisogno dello zampino di Satana. La scenografia grigia, i giochi di luce, i costumi e le musiche regalano perfettamente la sensazione di disagio asfissiante, angoscia e pietà che l'opera di Bulgakov ricostruisce pagina dopo pagina. Come Satana, "Il Maestro e Margherita" è una voce sibillina. Insinua il dubbio nella coscienza dello spettatore, forse rendendolo più umano. Ci si chiede cosa si sarebbe disposti a fare per raggiungere i propri obiettivi, fino a quale limite si sarebbe disposti a spingersi. Si torna a casa mettendo in discussione ogni certezza, le proprie verità e se stessi. Con meno sicurezze, ma di certo più ricchi.

Recensione di Valentina Mazzella, pubblicata sul Napolisera.it in data 12 dicembre 2019.

Fotografia di Guido Mencari | www.gmencari.com

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mercoledì 4 dicembre 2019

"La panne” di Dürrenmatt al Teatro Mercadante: un’attenta analisi della verità indefinita


RECENSIONE - Quante volte durante l'esistenza ci capita di pensare che certi avvenimenti, apparentemente senza alcun nesso concreto fra loro, siano in realtà correlati da un significato più profondo che esula dalla tangibilità? È una sensazione frequente che sfugge alla razionalità ed è su questa riflessione che spinge a meditare il pubblico "La panne" di Friedrich Dürrenmatt. Un'opera suggestiva nata come romanzo nel 1956 e in questi giorni riproposta sul palcoscenico del Teatro Mercadante di Napoli fino a domenica 8 dicembre. L'adattamento e la regia di Alessandro Maggi portano a compimento l'obiettivo: affrontare il tema indefinito della verità.


Trampolino di lancio è la storia di un rappresentante di commercio, Alfredo Traps, a cui va in panne l'automobile a molti chilometri da casa. Trova ospitalità presso un anziano giudice in pensione che condivide con dei vecchi colleghi la passione per un gioco bizzarro: trascorrono le serate fingendo di processare personaggi storici. Entusiasmati dall'arrivo di Traps, i signori lo invitano a partecipare alla recita ludica interpretando l'imputato. La scenografia essenziale, il grigiore degli eleganti costumi di scena e le angoscianti risate sincrone degli uomini di legge contribuiscono a lievitare la suggestione degli spettatori. Complice la maestrale interpretazione del cast composto da Nando Paone, Vittorio Ciorcalo, Patrizia Di Martino, Stefano Jotti, Alberto Fasoli e Giacinto Palmarini. Ecco allora che Alfredo Traps viene indotto a un'attenta autoanalisi di coscienza che lo porterà a reputarsi responsabile della morte del suo titolare. Quante volte ci capita di odiare una persona a tal punto da desiderarne la morte? Anche senza agire mai, in cuor proprio si è già davvero degli assassini? Si è responsabili delle proprie azioni solo quando c'è l'intenzione? Uno spettacolo che grazie alla sensibilità di Maggi riesce a smuovere la coscienza e a interrogare l'intimità più segreta. Regala un nuovo sguardo sulla realtà, meno miope e un po' più triste. Esistono doppie verità che spronano l'uomo a interrogarsi sulle prospettive morali, sulla Legge e sui retroscena che le comuni indagini giuridiche non possono penetrare. Sembra allora di essere condannati al caos, eppure un filo di senso che lega e illumina tutto forse esiste, sebbene non se ne abbiano le prove.


Recensione di Valentina Mazzella, pubblicata sul Napolisera.it in data 3 dicembre 2019.

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