giovedì 27 febbraio 2020

Al Ridotto Mercadante "Il dito": il teatro dei sensi di Sciaccaluga


RECENSIONE - Coinvolgente, toccante e commovente lo spettacolo "Il dito" rappresentato presso il Teatro Ridotto Mercadante di Napoli fino al primo marzo. Sicuramente complice di tanto successo è lo spazio intimo dello stesso Ridotto che permette al pubblico quasi di amalgamarsi e confondersi con la scena per la maggiore prossimità fisica. La regia di Carlo Sciaccaluga ha garantito una lodevole resa all'opera della giovane drammaturga kosovara Doruntina Basha, tradotta in italiano da Elisa Copetti.

Ecco allora che basta poco: lo scoppiettio di un vero fornello, lo scrosciare dell'acqua di un rubinetto e soprattutto l'odore di un pranzo per davvero cucinato sulla scena per rendere tutto più realistico. Gli aromi caldi delle pentole sul fuoco avvolgono gli spettatori favorendo una maggiore immedesimazione. È il teatro che esce dai propri confini di fantasia. Un teatro che accarezza i sensi dei presenti senza escludere l'olfatto rendendo tutto un po' più "vero".


Eccezionale come sempre l'interpretazione di Chiara Baffi: con la sua voce vibrante e rotta nei momenti di maggiore tensione, riesce ogni volta a trasmettere grande pathos al suo pubblico. Ottima anche la performance di Alessandra Pacifico Griffini che regala un personaggio straziante curato moltissimo nella postura e nella gestualità.

"Il dito" è la storia di due donne, Zoja e Shkurta, che condividono il dolore per l'assenza dello stesso uomo da prospettive diverse. La prima è una madre che ha perso il figlio. La seconda una giovane moglie rimasta vedova. Sullo sfondo, sebbene non venga esplicitamente rivelato, la pulizia etnica che ci fu in occasione della guerra in Kosovo del 1998 - 1999. Ed è stata proprio la suddetta circostanza a portare via un uomo la cui assenza pesa come una presenza per tutto lo spettacolo. Una ferita interiore che perde sangue come un dito tagliato accidentalmente afferrando delle verdure durante l'ennesimo acceso diverbio fra due donne dai nervi portati all'esasperazione. Da un lato emerge il rapporto di competizione e ostilità fra le due. Dall'altro il confronto fra due modi diversi di affrontare un lutto in cui non si ha un corpo su cui piangere. L'eterna attesa di una madre che non accetta la crudele realtà e dall'altra una moglie dilaniata dentro, desiderosa tuttavia di ricordare e andare avanti senza dimenticare nulla.


Recensione di Valentina Mazzella pubblicato sul Napolisera.it in data 27 febbraio 2020. 

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"Orgoglio e pregiudizio" al Teatro Mercadante: con Arturo Cirillo trionfa l'umorismo di Jane Austen


RECENSIONE - Irriverente e ironico, "Orgoglio e pregiudizio" di Arturo Cirillo rende degnamente giustizia al celeberrimo romanzo di Jane Austen. Senz'altro il merito per l'umorismo dirompente e il ritmo incalzante va riconosciuto all'adattamento dell'opera curata da Antonio Piccolo. Lo spettacolo è in scena al Teatro Mercadante di Napoli fino a domenica primo marzo.

La trama è più che nota, ma torna piacevole assaporarla di nuovo con questa eccellente formula vincente. A pennello calzano le interpretazione dei vari attori: lo stesso Arturo Cirillo nei duplici panni del signor Bennet e della vecchia zia del signor Darcy e poi Valentina Picello, Riccardo Buffonini, Alessandra De Santis, Rosario Giglio, Sara Putignano, Giacomo Vigentini e Giulia Trippetta. I costumi sono semplici e deliziosi con i loro colori. La scenografia è essenziale, ma punta su suggestivi giochi di specchi e riflessi che moltiplicano e ampliano la visione del pubblico. Le musiche allegre e dinamiche scandiscono i tempi veloci, senza esitazioni.

Si torna così ad assistere alla vicenda amorosa di Elizabeth Bennet e dell'antipatico signor Darcy. Non importa che se ne conosca già la storia. La rappresentazione di Cirillo è un'ottima occasione per ridere e riflettere ancora una volta su una società e certi costumi sociali che solo in parte sono distanti dal presente. Perché in fondo ogni generazione avrebbe bisogno di una Jane Austen pronta all'occorrenza per scoprire gli altarini, per il gusto di comprendere meglio certi aspetti e imparare a sorriderne senza essere troppo severi.

Recensione di Valentina Mazzella pubblicato sul Napolisera.it in data 27 febbraio 2020.


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mercoledì 19 febbraio 2020

"Jezabel" di Irène Némirovsky: dal romanzo al Teatro Mercadante


RECENSIONE - Una donna egoista, egocentrica, narcisista, probabilmente fortemente disturbata, avida di piaceri, estremamente fragile, sola, incapace di amare, bramosa di essere amata e sentirsi bella, terrorizzata dall'idea di invecchiare: è questo il ritratto coinciso della protagonista dello spettacolo "Jezabel" che la regia di Paolo Valerio ha portato sul palco del Teatro Mercadante fino alla scorsa domenica 16 febbraio 2020. La storia è un adattamento curato da Francesco Niccolini dello sferzante romanzo dell'autrice francese Irène Némirovsky. E chiunque abbia letto altre opere della stessa autrice, sicuramente avrà riscontrato come i temi affrontati siano quelli ricorrenti nella sua scrittura. Incluso il rapporto di competizione e gelosia che lega due donne; e non importa se siano madre e figlia.

L'interpretazione di Elena Ghiaurov rende al meglio l'individualismo di Jezabel. Altrettanto di valore la performance del resto del cast: Roberto Petruzzelli, Leonardo De Colle, Francesca Botti Sara Drago, Giulia Odetto e Jozef Gjura. La scenografia gioca con oggetti sospesi, fasci di luce per i monologhi, veli e proiezioni esaltando ricordi e voci interiori. Si avvertono vive le emozioni spesso di disperazione dei vari personaggi e si esplora la personalità arida di Jezabel che incarna un prototipo di donna che la Némirovsky ha avuto più di una volta premura di rappresentare sulla carta. Un tipo di donna della prima metà del Novecento che oggi a distanza di un secolo non cessa di esistere in nuove forme, forse addirittura incoraggiata dalle nuove possibilità della chirurgia estetica e dai nuovi standard sociali. Gli anni scorrono. Il tempo non lo si può fermare. Lo si può solo vivere. Non manca nello spettacolo nemmeno lo scontro generazionale con la gioventù che percepisce la propria giovinezza schiacciata dalle ingiustizie dispotiche e invidiose dei più vecchi. E a far da cornice al quadro un processo in cui Jezabel è imputata. Un processo che invita gli spettatori a riflettere, a interrogarsi ancora su quali siano le vere ragioni per cui la donna viene giudicata. Ieri come oggi perché Jezabel invecchia, ma un'opera simile ha in sé un barlume di immortalità che la rende sempre attuale.

Recensione di Valentina Mazzella pubblicata sul Napolisera.it in data 19 febbraio 2020.

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lunedì 17 febbraio 2020

Cosa rende realmente giovani le persone?


Nell'era dei filtri Instagram che piallano i volti in fotografia e del dilagante ricorso alla chirurgia estetica, sempre più spesso ci si chiede: cosa rende una persona realmente giovane? Ovviamente al di là dell'aspetto estetico o di fattori esteriori come l'abbigliamento. La mentalità? Indubbiamente. Ci sono modi di pensare e l'incapacità di adattarsi e adeguarsi ai tempi che corrono che costituiscono il principale motivo di innumerevoli scontri generazionali. Quante volte si sente inveire contro qualcuno esclamando: "Sei proprio un vecchio! Ragioni da vecchio!".

Eppure non c'è bisogno di affrontare la crisi di mezz'età per avvertire il peso degli anni che passano. Parallelo al fenomeno odierno dell'adultescenza, vi è quello del crescente numero di giovani che si percepiscono "già vecchi". Per ogni quarantenne che insiste nel definirsi a tutti costi "ragazzo" e sceglie di scappare dalle responsabilità, c'è un uomo che non ha raggiunto ancora i trenta, ma teme di essere già agli sgoccioli. Già fuori tempo per quelli che sono comunemente le aspettative sociali.

E allora cosa rende realmente giovani? Probabilmente il coraggio. Il coraggio di ricominciare. Il coraggio di continuare a credere nei sogni, di lottare per i propri obiettivi. Il coraggio di non perdere la speranza. Si continua a essere giovani dentro solo quando non ci si sente troppo vecchi per ricominciare da zero. "Non ho più l'età per...": iniziare a studiare, cambiare lavoro, fare un figlio... A trenta, quaranta, cinquant'anni... Indipendentemente dall'età. Non importa. Quando una persona pensa quella frase, si sta rassegnando a dei costrutti mentali per i quali si sente al termine di una corsa che magari è ancora agli inizi. A questo proposito un po' di tempo fa, al termine di una cena presso un ristorante cinese, un biscotto della fortuna mi regalò una frase preziosa: "Ogni qualvolta ti reputerai troppo vecchio per fare qualcosa, falla". Probabilmente il segreto dell'elisir dell'eterna giovinezza è questo. Bisognerebbe semplicemente vivere così.

Di Valentina Mazzella

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domenica 16 febbraio 2020

"Piccole donne" di Greta Gerwing: il nuovo racconto del grande classico



RECENSIONE - La domanda che tutti avevano timore di porsi prima di guardare il film era: "Piccole donne" di Greta Gerwing reggerà le aspettative? Sarà all'altezza del classico di Louisa May Alcott? La risposta è "ni", se vogliamo esprimerci con un linguaggio più informale.
Sicuramente un bel film. Sicuramente lo si consiglia agli appassionati delle sorelle March. Sicuramente eccezionale per quanto riguarda la scenografia e i costumi. Tuttavia appare piuttosto contorto l'adattamento della sceneggiatura. Probabilmente per non proporre al pubblico sempre la solita minestra, la regia di Greta Gerwing ha deciso di osare con una struttura narrativa diversa da quella del romanzo e delle precedenti trasposizioni cinematografiche. I fatti non vengono infatti raccontati in ordine cronologico. La Gerwing opta per una narrazione che è intreccio di episodi presenti e passati cuciti assieme da innumerevoli flashback per mettere in evidenza il rapporto di parallelismo che lega le molte situazioni contenute in "Piccole donne" e in "Piccole donne crescono".


Fiore all'occhiello per mettere in risalto la dicotomia fra le due dimensioni temporali è lo studio accuratissimo della fotografia. Le scene della remota infanzia serena presentano colori accesi, nitidi e vivaci. Sull'altro piatto della bilancia il grigiore e le tonalità fredde con cui sono state filtrate le immagini di un presente instabile, puntellato da dolori, delusioni, paure, solitudine e incertezze. Una scelta significativa e brillante che aggiunge un tocco magistrale al montaggio.
Ciononostante nella prima parte il film procede zoppicando. È con il secondo tempo che decolla, il ritmo riprende. Diventa tutto più coinvolgente e alla fine ci si commuove anche. La pecca dell'inizio della pellicola risiede forse proprio nell'assenza di una narrazione lineare che rende abbastanza ostica la comprensione dell'incipit per chi non conoscesse già la trama del libro. Troppi salti temporali che disorientano lo spettatore. Senza contare che lo stesso aspetto penalizza anche alcuni personaggi di cui poco palpabile diventa l'evoluzione psicologica. È il caso dell'odiosa e capricciosa piccola Amy (Florence Pugh): troppo presto viene rivelata la donna forte, matura e innamorata che diventerà crescendo.


La performance del resto del cast è notevole. Non per niente il cast vanta nomi di rilievo come Maryl Streep e Saoirse Ronan. Ci si innamora dell'incantevole Emma Watson che forse avremmo addirittura preferito nei panni di Jo piuttosto che di Mag. Laura Dern nel ruolo della mamma ha vinto il Premio Oscar come miglior attrice non protagonista. Non convince sempre invece il tanto osannato Timothée Chamalet la cui interpretazione è incontestabile. Motivo di diffidenza è che, sebbene l'attore abbia ventiquattro anni, conserva un viso molto giovane (buon per lui), a tal punto da sembrare il volto perfetto per un Laurie adolescente, ma un po' meno convincente quando Teddie diventa uomo. Tuttavia, al di là delle impressioni personali diverse, "Piccole donne" di Greta Gerwing resta ad ogni modo un buon prodotto per celebrare uno dei classici più amati della letteratura.

Recensione di Valentina Mazzella pubblicata sul Napolisera.it in data 15 febbraio 2020.

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venerdì 14 febbraio 2020

"Scene da Faust" di Federico Tiezzi e l'immortalità di Goethe



RECENSIONE - Lo spettacolo "Scene da Faust" è stato rappresentato presso il Teatro Mercadante di Napoli fino alla scorsa domenica 9 febbraio. Per la regia di Federico Tiezzi proporre al pubblico la celeberrima opera di Johan Wolfgang Goethe è stata una bella scommessa per due ragioni principali. Innanzitutto il capolavoro originale da cui la rappresentazione ha tratto spunto è un lavoro monumentale composto in sessant'anni. Pertanto è stata eseguita in primis un'accurata selezione delle scene da portare sul palco affinché fossero adeguatamente rappresentative e compiute. In secondo luogo viviamo in un'epoca in cui i cattivi esercitano abbastanza fascino sugli spettatori. Il metro di misura della morale è mutato. Dunque non è facile impressionare o indignare oltre le aspettative il largo pubblico banalmente con la vicenda di Faust sedotto da Mefistole e pronto finanche a vendere l'anima al diavolo pur di soddisfare i propri desideri, la sete di conoscenza e i pruriti sessuali. La scenografia asciutta e la notevole interpretazione degli attori hanno audacemente sfidato la sorte, riuscendo in ogni caso a trasmettere l'immortalità del Faust, a celebrarne la divisione fra bene e male che è emblematica della condizione umana di ieri, di oggi e di domani.

Recensione di Valentina Mazzella pubblicata sul Napolisera.it in data 14 febbraio 2020.




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