giovedì 29 ottobre 2020

"Mare Fuori": la serie tv che promuove la speranza




 RECENSIONE - Il mare. Il mare di Napoli. Il mare contemplato attraverso le sbarre delle finestre di Nisida. È proprio lui il veicolo del grande messaggio di speranza e riscatto promosso da "Mare Fuori", la serie televisiva italiana trasmessa dal 23 settembre ogni mercoledì su RaiDue. La fiction, guidata dalla regia di Carmine Elia, è ambientata infatti presso l'Istituto di Pena Minorile della città partenopea in cui sono detenuti ragazzi e ragazze che hanno commesso dei reati prima del raggiungimento della maggiore età. Al pubblico viene proposto un intreccio di storie molto diverse fra loro, ognuna delle quali sposa un  particolare argomento di attualità. Il ventaglio delle tematiche affrontate non si fossilizza esclusivamente sul problema della criminalità minorile da strada e quello delle influenze territoriali della camorra. La serie racconta infatti anche della violenza domestica in famiglia, dello stalking e del femminicidio, della tossicodipendenza, dell'autolesionismo e dell'uso irresponsabile dei social fra i più giovani. I protagonisti sono pur sempre degli adolescenti, motivo per cui "Mare Fuori" appare in primis essere una serie di formazione. Pertanto sterili sono le critiche di quanti, con tono polemico, l'hanno additata come l'ennesima fiction sulla scia di "Gomorra", ingiuriando inoltre che sia un prodotto infangante per la reputazione della città. Sebbene non manchino scene di scippi, spaccio, furti e vera criminalità organizzata, "Mare fuori" non sceglie Napoli come location unicamente per gli spunti narrativi che offre, ma anche per la suggestione scenografica dei suoi panorami e per la teatralità della sua gente.

I conflitti genitori-figli, le disparità sociali ed economiche, la discriminazione etnica, le prime cotte e i primi amori, i sogni infranti, la maternità, la pedagogia, il valore della famiglia e dell'amicizia sono problematiche universali che in contesti diversi e dimensioni ridotte magari molti spettatori possono aver sperimentato sulla propria pelle. Al di là di ciò ogni storia in "Mare fuori" scuote le coscienze sollevando dilemmi etici. Niente è banalmente solo nero o solo bianco. Divorato dal dubbio, la fiction costringe il pubblico a riflettere e a interrogarsi. In preda a un confuso discernimento fra cosa sia giusto o sbagliato fare, lo spettatore si immedesima nei personaggi e si domanda cosa avrebbe fatto nei loro panni in situazioni analoghe.

La sceneggiatura di Cristiana Farina e Maurizio Careddu è scritta egregiamente. Con tempi accattivanti, le dosi giuste di drammaticità e azione e la suspense inserita nei momenti più opportuni, riesce a catturare l'attenzione per tutta la durata degli episodi. In realtà ci sono alcune scelte narrative abbastanza discutibili. Parliamo di determinati espediente che risultano poco credibili, necessari solo per forzare lo svolgimento delle vicende. Ad esempio la mancata assistenza psicologica per i detenuti con evidenti problemi di tossicodipendenza (Serena) e problemi di personalità dissociate (Viola) o l'inesistenza degli assistenti sociali in tante situazioni. Tuttavia "Mare Fuori" propone trame così coinvolgenti e dall'impatto emotivo così grande che alla fine si perdona alla serie anche qualche strafalcione. Accurata in generale è invece l'analisi sociologica delle dinamiche criminali del tessuto camorristico e del pessimo codice non scritto da cui derivano. Molto cruda la narrazione della violenza fisica, degli abusi e dei rapporti tossici basati unicamente sulla prevaricazione, il potere e la paura principalmente nel reparto maschile. Altrettanto inquietante la messa in scena della violenza psicologica, delle relazioni costruite su istigazione e manipolazione fra le ragazze.

Fiore all'occhiello sono sicuramente le musiche: non solo l'eccezionale sigla di apertura "Mare Fuori" (feat Icaro, Lolloflow, Raiz), ma anche le altre canzoni che fanno da sottofondo alle sequenze più toccanti.
Il cast è notevole, soprattutto considerando la giovane età e la poca esperienza di molti attori. I personaggi portano sullo schermo le movenze, gli atteggiamenti e le espressioni colorite tipiche di certi contesti di degrado sociale dei quartieri più critici. Convince poco l'accento napoletano della romanissima Valentina Romani nel ruolo di Naditza, eppure la sua interpretazione è così ricca di passione che non si può fare a meno di amarla lo stesso. In egual modo le fragilità di Filippo, il desiderio di Carmine di proteggere sempre gli altri, il legame paterno del Comandante con Carmine in cui rivede se stesso da ragazzo, la spensieratezza immatura di Edoardo, la sensibilità di Cardiotrap, il desiderio di affetto mal manifestato e inappagato di Pino e degli altri detenuti o l'apparente durezza della Direttrice sono tutti elementi che entrano nel cuore. Pertanto attendiamo sicuramente la seconda stagione perché molte storylines sono state lasciate in sospeso. L'evoluzione di molti personaggi non è stata completata e il finale apre le porte a nuovi scenari di speranza. Speranza che molti di loro imparino dagli errori, comprendano le proprie colpe perché in fondo, come di frequente il Comandante ripete nel corso delle puntate, lo scopo dell'Istituto di Pena Minorile è quello di salvare i ragazzi, non semplicemente di punirli. E le coscienze si salvano scuotendo gli animi, ricordando a ogni cuore che per il futuro esistono delle alternative, alternative costruite sull'amore e l'onestà.


Di Valentina Mazzella, pubblicato sul Napolisera.it in data 29 ottobre 2020.


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sabato 17 ottobre 2020

La bimba - racconto breve



La bimba stringeva le manine attorno alle sbarre sottili della ringhiera in ferro. Si reggeva in piedi con sguardo curioso, sorretta dalla madre seduta là accanto sul pavimento di mattonelle verdi. La stessa madre che la contemplava contenta, come l'artista soddisfatto della propria creazione. Le aggiustò le pieghe della gonna a balze che le copriva il pannolino. Il tessuto era rosso come il fiore di stoffa applicato sulla fascia che abbelliva la testolina con pochi capelli della bimba.
La madre sorrise. Eppure qualcosa inquietava la sua serenità. Era tesa. Guardava la sua bimba e non poteva fare a meno di pensare quanto fosse simile a lei nelle sue foto di infanzia. Eppure gli occhi no, erano come quelli del babbo. 
"Adesso arriva papà" disse la mamma alla bambina. Dal tono però sembrava volesse rassicurare se stessa. 
Erano sul balcone della casa della nonna di lei. Delle veneziane verdi abbassate a metà riparavano entrambe dal sole del pomeriggio. La madre gettò uno sguardo in basso e vide per strada due persone avvicinarsi al portone del palazzo. Un uomo e una donna. 
"È arrivato papà" disse la mamma alla figlioletta. "È qui per il tuo compleanno" le spiegò. La bimba compiva un anno. Guardò la madre arricciando il nasino. Un sorriso vispo le guizzò sul viso morbido. Poi sembrò chiedere il ciuccio. 
Sentirono suonare il citofono e qualcuno percorrere di corsa il corridoio per andare all'ingresso ad aprire la porta. Il padre non tardò a comparire sul balcone davanti alle due. Diede un cenno di saluto freddo, imbarazzato, alla madre della bimba. Era distante e allo stesso tempo appariva a disagio. Non pronunciò una parola. Si limitò ad abbassarsi e a sollevare con dolcezza la figlia. La prese in braccio con tenerezza e gli occhi solo per lei. Afferrò le manine e le baciò con gioia pazza. 
La madre restò impassibile. Per orgoglio non chiese: "E lei? Dov'è?". Si limitò ad alzarsi in piedi. Con gesti nervosi si sistemò il vestito. Poi ignorando l'uomo, lo lasciò da solo con la bimba e attraversò la portafinestra. Rientrò in casa. Dentro di sé era furiosa. Quella donna, ospite in casa sua, non si era presa la briga nemmeno di raggiungerla per salutarla. Avrebbe magari preteso di essere attesa e ricevuta con tappeto rosso e onori all'ingresso. E adesso sembrava essere scomparsa, quasi stesse giocando a nascondino nella sua abitazione! Era inaccettabile! Soprattutto nel giorno del compleanno di sua figlia! 
La madre della bambina continuava a contorcersi le mani. Poi finalmente la trovò. Nella camera da letto degli ospiti, distesa su un letto su cui alle volte lei stessa era solita riposarsi. Cercando di preservare la rabbia, esclamò: "Che succede? Qualcuno non si sente bene?". Sapeva di apparire provocatrice e sgarbata, ma non le importava. 
La donna si limitò a guardarla con occhi gelidi, ma non rispose. Si toccava il ventre come se avvertisse dolore in quel punto. Forse dei crampi. Poi sulla porta comparve l'uomo con la bambina in braccio. Guardò la madre della bimba con severità e contemporaneamente un senso di vergogna. Vergogna per l'atteggiamento dell'altra. Era consapevole del comportamento scorretto della donna che aveva portato in casa, ma scelse ugualmente di difenderla in silenzio come se fosse quello il ruolo che gli spettava. 
La madre della bimba non disse nulla. Si irrigidì, ferita dentro. Si abbassò allora sul letto per chiedere all'orecchio della donna con falsa premura: "Sono i dolori del ciclo?". Tuttavia in risposta fu allontanata con uno schiaffo leggero, come si cacciano le mosche. 
"Hai visto?" sbottò la madre scattando all'indietro. Gli occhi fissi sull'uomo che, con la bambina fra le braccia, la guardava completamente inerme. 


Racconto di Valentina Mazzella


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