L'altoparlante aveva appena comunicato che il treno per Napoli avrebbe fatto un'ora di ritardo. L'attesa di ben sessanta minuti in più non era roba da poco. Vinca scelse di non salire già sulla banchina del binario. Era giugno e c'era molta afa. Preferiva restare lì, nella stazione al coperto e al fresco. C'era tempo per obliterare il biglietto e lasciarsi trasportare dalle scale mobili.
Adesso aveva un'ora di tempo da colmare. Pensò di sedersi su una panchina in ferro accanto a un'enorme pianta verde da ufficio. Con un piede spostò la cartaccia di uno snack che qualcuno aveva gettato per terra invece di riporla in un apposito cestino. Vinca tirò un sospiro contrariato, poi aprì la sua borsa e ne tirò fuori un libro.
In realtà non aveva davvero l'attenzione giusta per concentrarsi su una lettura, ma voleva almeno provarci. L'ansia le divorava lo stomaco dall'interno. Doveva andare a Napoli e, giunta lì, consegnare un ovetto di cioccolato e un biglietto a una persona. Temeva che le cose potessero non andare per il verso giusto, secondo le sue aspettative.
Si stava tormentando con questi pensieri, quando un cinguettio attirò la sua attenzione. Un passerotto saltellava inseguendo con accanimento un'altra bestiola volante più piccola. Vinca non riusciva a capire bene di cosa si trattasse. Fece qualche passo in avanti per avvicinarsi. Scoprì una libellula che agitava disperatamente le ali con un rumore quasi metallico. Disperatamente stava combattendo per la sopravvivenza. Il suo corpo longilineo dalle sfumature rosa e fucsia doveva apparire molto succulente agli occhi del passerotto. L'uccello perseguitava la libellula afferrandola con il becco feroce. Poi, infastidito dalla frenesia con cui la libellula sbatteva le ali, la liberava. Sempre con un rumore metallico la creaturina volava a non più di un metro di distanza per accasciarsi stanca per terra. E allora il passerotto tornava all'attacco. Vinca non capiva se per fame o per sfida ludica. Era uno scontro brutale, estenuante. In natura gli animali di solito non uccidono per divertimento, si ripeteva. Vinca era abbastanza sicura che fosse una caccia giustificata dalla fame, ma la sofferenza della libellula era ugualmente insopportabile da guardare. La poverina provò a volare più lontano, ma era intrappolata dalla parete in vetro della stazione. Erano al chiuso. Volava e si accasciava per le ferite procurate dalle beccate del passerotto. Aveva perso il suo volo preciso e veloce. L'uccellino tornava a colpirla con il becco, ad accanirsi... Poi la lasciava andare libera e stanca. La libellula lottava per la vita, scuoteva le ali metallicamente. Ancora, ancora e ancora. Infine, esausta, cessò di agitare le ali e, soddisfatto, il passerotto volò via con la libellula morta nel becco.
Vinca restò scossa davanti allo strazio di quella scena che era durata all'incirca dieci minuti. Poi sentì l'altoparlante annunciare un nuovo orario del treno che attendeva. Scosse la testa. Tornò alla realtà come un subacqueo che riemerge da un'immersione. Si avviò alle scale mobili. Non sapeva se avere o meno timore dei cosiddetti "presagi funesti". Con una mano in tasca strinse un bigliettino su cui a penna aveva scritto: "Vengo in pace con del cioccolato. Se non accetterai le mie scuse, almeno avrò con cosa consolarmi al ritorno".
Racconto breve di Valentina Mazzella.
Copyright © 2022 L'albero di limonate by Valentina Mazzella. All rights reserved.