domenica 13 marzo 2022

"Buffy l’ammazzavampiri” compie 25 anni, la serie cult che ha scardinato i cliché dell’horror e abbracciato il femminismo


Bionda, icona di stile degli anni Novanta, incredibilmente forte e sempre - sempre - con un paletto di legno in borsa pronto all'occorrenza: parliamo ovviamente dell'unica e inconfondibile Buffy Summers, la protagonista della celeberrima serie "Buffy the Vampire Slayer" che ieri ha spento le candeline per festeggiare il suo primo quarto di secolo. Venticinque anni dal 10 marzo 1997 quando fu trasmesso il suo primo episodio. Venticinque anni di successo, ma non solo. La salita verso la fama dell'ammazzavampiri è stata piuttosto lunga e tortuosa. Ripercorrerla significa oggi raccontare un pezzo importante della storia televisiva americana e internazionale. Tanto per iniziare non tutti sanno che Buffy non ha sempre avuto il volto dell'adorabile Sarah Michelle Gellar. Procediamo con calma.

Era il 1997 e in quel periodo non era ancora in uso l'espressione "serie-tv". Il palinsesto trasmetteva quelli che tutti chiamavano "telefilm" ed effettivamente il telefilm era un prodotto diverso dalle attuali serie-tv. Gli episodi che componevano una stagione nel telefilm erano solitamente autoconclusivi, sebbene ugualmente concatenati tra loro. Nelle serie-tv gli episodi invece terminano sempre con un finale aperto: è come se ogni volta si guardasse una porzione di un film dalla durata di diverse ore e diviso in più parti. "Buffy the Vampire Slayer" (in italiano "Buffy l'ammazzavampiri") era propriamente un telefilm. Quell'anno, il 1997, la Warner Bros ne acquistò l'episodio pilota con fiducia, intuito e un'ottima dose di audacia. Il soggetto infatti era già stato usato da Joss Whedon (autore padre e regista dell'opera) per realizzare, cinque anni addietro, un omonimo film che si era rivelato tuttavia un incredibile flop.

Dalla locandina del film del 1992.

Nel 1992 le sale cinema trasmisero sul grande schermo una pellicola dal titolo "Buffy the Vampire Slayer" che rappresenta un prodotto molto diverso da quello a cui i fan del telefilm sono poi stati abituati successivamente. La sceneggiatura era nel cassetto già dal 1988 e costituiva una versione acerba dell'eroina di Joss Whedon. Certo, Buffy era già una giovane liceale bionda che combatte i vampiri. Tuttavia era interpretata dall'attrice Kristy Swanson. Il soggetto non includeva ancora i suoi migliori amici. Non comparivano Willow (Alyson Hannigan), Xander (Nicholas Brandon) e nessun altro membro della Scooby Gang. Non c'era neanche il misterioso e tormentato Angel (David Boreanaz). Il cuore della bella cacciatrice batteva per un giovanissimo Luke Perry nei panni di Oliver Pike, uno studente comune. Un personaggio più vicino all'imbranato Xander che al vampiro con l'anima, Angel. Al posto del signor Giles (Anthony Head) c'era il signor Merrick (Donald Sutherland) e - inutile dirlo - anche il trucco e parrucco dei vari vampiri lasciava incredibilmente a desiderare. Gli effetti speciali erano ancora quelli grezzi di un low budget di inizio anni Novanta. Il procedimento per eliminare un vampiro sposava la tradizione letteraria: paletto nel cuore, decapitazione e cremazione del corpo. Processi che nel telefilm furono sostituiti dalla scelta congeniale di far polverizzare (digitalmente) i vampiri una volta trafitti nel cuore per accelerare il ritmo della narrazione e snellire il minutaggio di ogni puntata.

Il film dunque non piacque al pubblico. Per il botteghino si rivelò un vero fallimento. Per questo la tempra con cui Whedon scelse di continuare a credere nella sua creatura rappresenta sicuramente una bella storia di perseveranza e determinazione. Il regista non si lasciò scoraggiare dal tonfo nell'acqua e accolse la sfida. Perfezionò la sceneggiatura e finalmente diede vita a una delle eroine più significative degli anni Novanta. Il telefilm andò infatti in onda - in sette stagioni - dal 1997 al 2003, ma i suoi script erano impregnati della cultura pop dell'ultimo decennio del XX secolo. "Buffy the Vampire Slayer" è diventata in breve una serie cult amata da milioni di fan nel mondo. Del resto vanta innumerevoli meriti e pregi.

Innanzitutto il Buffy's Universe ha rinnovato il genere horror giocando con i suoi antichi cliché per renderli più moderni e accattivanti. Ha scardinato i punti fermi del genere. Ha combattuto in particolar modo gli stereotipi della "bionda scema" abbracciando in pieno le battaglie femministe. L'idea di Joss Whedon è stata a modo suo semplice e rivoluzionaria: era stanco della narrazione classica che in ogni produzione filmica presentava una bionda svampita aggredita e fatta a pezzi da un mostro qualsiasi in fondo a un vicolo buio. Per una volta voleva capovolgere il canone. Per una volta finalmente sarebbe stata la bionda svampita a massacrare di botte il mostro di turno in fondo al vicolo cieco. Potremmo aggiungere: e che botte! Desiderava smantellare in toto i modelli di riferimento della tradizione horror e così è la nata Buffy, "la prescelta che si erge contro i vampiri, i demoni e le forze delle tenebre: la cacciatrice".

Non a caso, soprattutto nelle prime stagioni, Buffy era presentata spesso come una normalissima teenager attratta dalle frivolezze della sua età: lo shopping, le amiche, i ragazzi, la serata in discoteca, i primi appuntamenti... Si allenava con il suo osservatore, ma faceva le ronde nel cimitero tra una festa e l'altra. Indossava minigonne, stivali alti e gloss sulle labbra come chiedeva la moda di quegli anni. Della serie: combatteva il nemico, ma con stile! I dialoghi erano sempre ricchi di spirito, sarcasmo e irriverenza. Soprattutto la Buffy prima della chiamata - mostrata di tanto in tanto nei flashback - era una ragazza particolarmente superficiale. Poi, com'è giusto che sia, il personaggio ha subito una profonda evoluzione psicologica. Buffy è maturata. Crescendo ha affrontato difficoltà e problematiche più importanti.

Joss Whedon e il suo staff hanno infatti sempre pensato di elaborare gli script in modo che fossero interpretabili su più livelli di lettura. Nelle prime stagioni era di continuo lampante la metafora attraverso cui gli autori associavano il liceo all'inferno. Con l'avanzare degli anni, Buffy diventava sempre più adulta ed è stato allora proposto il parallelismo tra lo stesso inferno e la vita in generale. La serie si stava a un tratto allontanando dal teen-drama e gli sceneggiatori hanno subito ovviato al problema con l'introduzione - del tutto a sorpresa - di Down (Michelle Trachtenberg), la sorella minore della protagonista. Ogni creatura ammazzata da Buffy e dai suoi amici nel corso delle sette stagioni ha simboleggiato uno dei tanti demoni interiori contro cui ogni persona combatte nella propria quotidianità. Senza mai dimenticare i valori dell'amicizia, della famiglia e dell'amore. La stessa Buffy era sempre in lotta contro gli attriti dell'esistenza umana e le sue fragilità da persona comune, con l'aggiunta delle enormi responsabilità da prescelta. 

Insomma, "Buffy l'ammazzavampiri" è sempre stato un telefilm con mille risorse e innumerevoli assi nella manica. Per esempio un altro importante primato della serie è stato quello di aver portato sul piccolo schermo una delle prime rappresentazioni di una coppia omosessuale. Dalla quarta alla sesta stagione Willow si lega infatti in una relazione amorosa con Tara (Amber Benson): la loro storia è sempre stata mostrata con toni molto positivi e romantici. Nessuna dinamica tossica e per la prima volta in tv si normalizzava il coming out senza farne un dramma. Precedentemente infatti c'erano già state coppie gay nei telefilm, ma il rapporto non era inequivocabile (come Xena e Olimpia in "Xena - Principessa guerriera") oppure era occasione di pianti e crisi esistenziali (come per Jack in "Dawson's creek").

       Tara e Willow.

A un certo punto il contratto del telefilm non è stato più rinnovato per produrre l'ottava stagione. La stessa Sarah Michelle Gellar non volle firmare, un po' perché stanca di essere riconosciuta unicamente come Buffy e un po' per fermare il tutto sull'apice del successo ed evitare uno scivolone nel calo di qualità. A lungo nei primi anni Duemila si è vociferata la produzione di altri spin-off oltre ad "Angel": uno incentrato su Spike (James Marsters) oppure una serie sull'altra cacciatrice, Faith (Eliza Dushku). Alla fine nessun progetto è stato realizzato. Le avventure di Buffy e della Scooby Gang sono proseguite esclusivamente su carta, in formato fumetto.

Sarah Michelle Gellar per diversi anni ha goduto del titolo officioso di "Reginetta dell'horror" ricoprendo ruoli in alcuni film di paura. Picco di popolarità più che adeguato considerando la sua professionalità: per interpretare Buffy preferiva spesso fare a meno della controfigura e ha addirittura combattuto contro la sua personale fobia dei cimiteri! Lo scorso anno ha partecipato con piacere a una reunion con tutto il cast: evento che ha chiaramente riscaldato il cuore a tutti i fan che oggi, con notevole nostalgia e affetto, celebrano questi 25 anni di lotta contro il Male e l'Oscurità.


Di Valentina Mazzella, pubblicato sul Napolisera.it in data 11 marzo 2022.


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mercoledì 2 marzo 2022

"L’amica geniale 3”: femminismo, amicizia, intrighi e riscatto sociale in un’unica storia intensa

A sinistra Lila (Gaia Girace), a destra Elena (Margherita Mazzucco). 


RECENSIONE - Attesa con fervente trepidazione per due anni, la terza stagione de "L'amica geniale" è già giunta al termine. Ieri sera Rai1 ha trasmesso infatti gli ultimi due episodi della serie che è ancora disponibile sulla piattaforma di RaiPlay. Otto puntante intense, gravide di eventi e riflessioni, che non hanno assolutamente deluso il pubblico. Il sottotitolo del terzo capitolo della saga, "Storia di chi fugge e chi resta", descrive degnamente gli eventi a cui l'eccellente regia di Daniele Luchetti ha dato vita sul piccolo schermo a partire dalle pagine della scrittrice Elena Ferrante. Gli spunti su cui soffermarsi sono davvero innumerevoli.


Innanzitutto è doveroso sottolineare quanto la qualità della performance recitativa delle due attrici protagoniste sia lievitata in maniera esponenziale. Gaia Girace (Lila) e Margherita Mazzucco (Elena) hanno iniziato questo percorso nel 2018 con un talento ancora un po' acerbo per la giovane età. Adesso, a distanza di pochi anni, è evidente quanto entrambe siano professionalmente maturate molto sul set. Questo aspetto è emerso soprattutto nelle scene di maggior pathos in cui le protagoniste hanno di più messo a nudo le proprie paure e fragilità. L'episodio in cui Lila urla in riva al mare e l'incubo in cui Elena lotta contro l'amica sul pavimento ne sono esempi lampanti.

A sinistra Lila (Gaia Girace), a destra Elena (Margherita Mazzucco).

Per il resto tutto il cast ha lavorato in modo davvero spettacolare, ma una menzione speciale spetta all'eccellente e sublime interpretazione di Rosaria Langellotto nei panni di Gigliola. Il vigore del suo monologo - quello della confessione a Lenú - sicuramente rappresenta un piccolo gioiello che resterà nella storia della fiction italiana.

In ultimo non si trattengono le mani da un applauso tutto dedicato alla piccolissima Sofia Luchetti (figlia del regista) nel ruolo della deliziosa Dede, la figlia di Elena e Pietro Airota (Matteo Cecchi). Ha recitato con naturalezza e grande espressività, nonostante sia solo una bambina.

 
Dede Airota (Sofia Luchetti).

La fotografia e l'intera estetica della stagione sono notevoli. Non sono da meno la cura nella ricostruzione delle location, la ricercatezza nei dettagli dell'epoca e la scelta di outfit che inseguono adeguatamente la moda degli anni Settanta.

La trama prosegue il racconto dell'amicizia di Elena e Lila, del loro legame che è contrassegnato allo stesso tempo da sodalizio e competizione. Tuttavia questo terzo capitolo si sofferma maggiormente sull'evoluzione della vita di Elena, voce narrante di tutte le vicende. Lila compare molto di meno, le viene dedicato meno spazio: uno sviluppo narrativo necessario per permettere alla stessa Lenú di prenderne le distanze e per "cessare di desiderare di diventare". Elena deve riscoprire la propria identità in autonomia, non più alla luce del costante raffronto con la genialità di Lila, un paragone con cui da sola si tormenta sin dall'infanzia. A un certo punto Lenú diventa veramente adulta, diventa scrittrice apprezzata, moglie e madre. Si lascia alle spalle la degradante realtà del rione, eppure continua a covare dentro di sé un insaziabile senso di inadeguatezza che la divora. Per anni Elena sembra sempre aver paura di osare. A causa del suo temperamento mite e introverso, permette spesso agli altri di trattarla con sufficienza. Incalcolabile il numero delle volte in cui lo spettatore avrebbe piacere di scuoterla per permetterle di reagire in maniera meno passiva. Poi finalmente il momento fatidico arriva: Lenú reagisce alla vita e attraversa un percorso di nuova crescita.

Sullo sfondo il racconto della Storia italiana, gli scontri tra comunisti e fascisti, le lotte operaie, il dramma delle Brigate Rosse e soprattutto le battaglie del femminismo. Il tema dell'evoluzione del ruolo della donna è così prepotente e ingombrante che spesso sembra che le vite dei personaggi siano solo un pretesto per narrare lo sviluppo dell'emancipazione femminile. Se ne analizzano le difficoltà e gli ostacoli. Vengono mostrate scene di cortei e manifestazioni. Sono menzionate le conquiste di quegli anni come il divorzio e gli anticoncezionale, ma anche i drammi dello stupro e l'ipocrisia di una società delle apparenze.

A sinistra Pietro Airota (Matteo Cecchi), a destra Elena (Margherita Mazzucco).

Tutti i dialoghi tra Elena e Pietro sono costruiti con minuzia per rendere l'idea dell'inettitudine di lui nello svolgimento dei compiti domestici più semplici. La famiglia Airota appartiene a una classe privilegiata. La condizione di moglie e madre di Lenú non è paragonabile a quella di una casalinga sottomessa del rione napoletano da cui proviene. Pietro è figlio della sua epoca ed è ancora ancora ai tradizionali ruoli di genere del sistema patriarcale. Tuttavia non lo si può assolutamente descrivere come un mostro di marito. Lontano anni luce dalla violenza fisica e verbale di Stefano Carracci (Giovanni Amura), Pietro Airota viene spesso considerato dalle altre "un marito da invidiare". Un uomo mite, intelligente, colto, una persona perbene e di prestigio. Eppure con Elena si rivela un compagno noioso, assente. Un marito distratto, incapace di ascoltare e accogliere le esigenze della moglie che cerca la passione dopo essersi sposata per affetto. Elena ricorda quasi una moderna Emma Bovary di Flaubert nel suo rincorrere sempre nuove emozioni forti per sfuggire all'apatia della quotidianità. Ed ecco allora l'ennesima riflessione sulla condizione della donna condannata all'infelicità nonostante la cultura, il benessere economico, la stabilità e un marito affidabile. Un po' la tesi sostenuta anche da Oriana Fallaci nel saggio "Il sesso inutile" dopo aver viaggiato e intervistato donne in lungo e largo per i continenti. Non importa a quale estrazione sociale tu appartenga: nel microcosmo di Elena Ferrante gli uomini riescono sempre a rilegare le donne un passo indietro. Continuano "a istruirle e a cercare di plasmarle in funzione del maschio.

Nino Sarratore (Francesco Serpico).

E se non lo fanno in maniera spudorata, c'è in alternativa il metodo di Nino Sarratore (Francesco Serpico) che strumentalizza il femminismo per sedurre e manipolare le donne. In una realtà in cui gli uomini si comportano come se tutto fosse loro dovuto, Nino appare come una mosca bianca. Il suo è un personaggio molto complesso e piuttosto detestato dal pubblico. Purtroppo si evolve seguendo la pessima scia tracciata dal padre fedifrago. Ha l'astuzia di corteggiare le prede e non pretendere apertamente, celando il proprio tornaconto. Nel suo essere senza scrupoli, è molto intelligente. Nino Sarratore incarna il prototipo dell'uomo che "capisce le donne". Ne intuisce i bisogni, dona loro apparentemente quello che vogliono e infine le raggira. Elena Ferrante ama denunciare la realtà: ha così l'opportunità di raccontare come anche donne estremamente forti, intraprendenti e brillanti possano ugualmente cadere vittime di simili trappole psicologiche.

In conclusione il maggiore dei pregi de "L'amica geniale" è il modo in cui la finzione riesca a descrivere la realtà con schiettezza. Dinamiche e meccanismi ancora attuali. Storia di chi resta e di chi fugge, non solo dai luoghi fisici. Soprattutto la storia di chi resta nelle avversità e di chi fugge dalle responsabilità oppure ha il coraggio di ricominciare. La serie racconta la brutalità e le contraddizioni della vita e dei contesti sociali esercitando pressione sui tasti giusti. Ne fuoriesce un'armoniosa melodia capace di innalzare il proprio grido universale, senza menzogne e senza pudori.


Di Valentina Mazzella, pubblicato sul Napolisera.it in data 28 febbraio 2022.

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