lunedì 26 dicembre 2022

"Filumena Marturano”, la commedia dell’immenso Eduardo con Vanessa Scalera e Massimiliano Gallo

RECENSIONE – Quando si sceglie di riportare sul piccolo schermo una qualsiasi opera di Eduardo De Filippo si corre sempre il rischio di esser schiacciati dal paragone. Non è stata, tuttavia, questa la sorte del film “Filumena Marturano” trasmesso martedì 20 dicembre su RaiUno in prima serata. Il lungometraggio è stato accolto dagli spettatori e dalla critica con grandissimo favore. La resa è stata indubbiamente all’altezza del copione. Drammatica, struggente, colma di passione ed emozioni palpabili. Merito sicuramente della performance degli attori, ma non solo. Anche dell’eccellente lavoro eseguito da Francesco Amato che ha curato la regia e l’adattamento dell’opera.


Vanessa Scalera e Massimiliano Gallo si confermano un’eccellente coppia artistica dietro la telecamera. Notevole anche il resto del cast che non ha sottovalutato alcun personaggio. Apprezziamo Nunzia Schiano, Marcello Romolo, Vittorio Viviani, Massimiliano Caiazzo (noto negli ultimi anni soprattutto per il ruolo di Carmine Di Salvo in “Mare fuori”), Francesco Russo (già Bruno Soccavo di “L’amica geniale”), Giovanni Scotti e Anna Iodice.

La trama è quella già celebre al grande pubblico. Eduardo De Filippo scrisse questa storia nel 1946 per sua sorella Titina e insieme la interpretarono a lungo insieme sul palco come protagonisti. Questa versione fu poi immortalata per il cinema nel 1951. Nel 1962 fu filmata una nuova edizione di “Filumena Marturano” in cui, questa volta, Eduardo recitava accanto all’attrice Regina Bianchi. Soltanto due anni dopo, nel 1964, Vittorio De Sica curò la regia del famoso “Matrimonio all’italiana”, con Sophia Loren e Marcello Mastroianni. La storia di Filumena e di Domenico/Mimì Soriano conquistò così – definitivamente – il grande cinema e ancora oggi la pellicola costituisce un grande classico italiano.

Il nuovo film di Francesco Amato segue fedelmente il soggetto di Eduardo e ha il pregio di mostrare in aggiunta scene che nelle precedenti trasposizioni i personaggi raccontano e descrivono unicamente a voce. Ad esempio la giovane e sventurata Filumena Marturano in preghiera davanti alla Madonna delle Rose, il fidanzamento ufficiale di Domenico a casa di Diana, la signora a cui è stato commissionato di sistemare delle rose sull’altare della stessa Madonna durante il matrimonio finale.

La tentazione di fare raffronti tra le varie trasposizioni è quasi inguaribile. Eppure è vizio a cui bisogna cercare una soluzione. Eduardo è stato ed è tutt’ora immenso. Proprio per questo è giusto che le sue opere vengano sempre, di generazione in generazione, portare in scena, al cinema e in televisione. È giusto dare l’opportunità a dei nuovi attori di cimentarsi, di mettersi alla prova. L’arte è arte. E quella di Eduardo non è solo teatro. È scuola. È vita. 



Recensione di Valentina Mazzella, pubblicata sul Napolisera.it in data 22 dicembre 2022.

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giovedì 22 dicembre 2022

“Gudetama – Un nuovo viaggio”, la simpatica serie su un uovo pigro e demotivato


RECENSIONE – Per quale motivo guardare “Gudetama – Un nuovo viaggio”? Perché è sicuramente l’unica serie in cui è possibile assistere a una conversazione tra il Primo Ministro giapponese e quello che, in teoria, è un semplice uovo crudo! La vostra mente avrebbe mai concepito un uovo ghiotto di salsa di soia? Ebbene, parliamo proprio di “Gudetama”, il nuovo prodotto nipponico disponibile su Netflix dal 13 dicembre.

Una storia bizzarra articolata in dieci brevi episodi (dalla durata di circa dieci minuti l’uno) che racconta le avventure di Gudetama e di Shakipio, rispettivamente un uovo e un pulcino in viaggio per ritrovare la loro mamma. Precisamente il nome “Gudetama” significa “uovo pigro” e descrive perfettamente il carattere del protagonista che appare spesso demotivato e quasi depresso. “Che disdetta!” è la sua frase preferita. Al contrario Shakipio è un personaggio pieno di energie e di voglia di vivere: sarà lui a spronare e a trascinare l’uovo per partire insieme.

Il titolo originale in inglese è “Gudetama – An Eggcellent Adventure”, laddove è molto più d’effetto il gioco di parole con il termine “egg/uovo” inserito nell’aggettivo “excellent/eccellente”. La serie è stata realizzata dalla Sanrio, la stessa azienda che negli anni Settanta ha dato i natali alla ‘confettosa’ Hello Kitty. L’animazione è stata curata dallo studio OLM che, all’occorrenza, ha poi egregiamente inserito i personaggi animati anche nel mondo reale con degli attori in carne e ossa.

L’idea di Gudetama nasce in realtà nel 2014 quando si ha l’intuizione di coniugare due mercati diversi: rivolgersi sia agli amanti della cultura Kimo-Kawai (ossia l’interesse per quanto è “inquietante-carino” o “disgustoso-carino”) che agli appassionati della buona cucina giapponese. Nel Paese del Sol Levante il piccolo uovo aveva, pertanto, un discreto successo già prima dello sbarco su Netflix. Ad esempio nel 2017 erano stati rilasciati su Gudetama mille episodi animati, molto semplici e dalla durata di circa un minuto.

In ogni caso si tratta sicuramente della migliore scoperta della settimana. È un prodotto leggero, simpatico e veloce per sorridere. Surreale quanto divertente! Gudetama e Shakipio cercano la mamma un po’ come Dolce Remì, l’Ape Maya, l’Ape Magà, Sebastien di “Belle e Sebastien” e tanti altri protagonisti iconici a cui nei decenni siamo stati abituati. Durante il loro viaggio non mancano di regalarci, inoltre, qualche perla di riflessione sul senso della vita e sulla ricerca di noi stessi. 

È meglio essere mangiati oppure scappare rischiando lo stesso di marcire? D’altronde abbiamo tutti una vera data di scadenza? Quel che è certo è che, dopo aver “Gudetama”, arriva una voglia matta di mangiare delle uova preparate in tante gustose ricette!


Recensione di Valentina Mazzella, pubblicata sul Napolisera.it in data 18 dicembre 2022.

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domenica 18 dicembre 2022

“Pinocchio” di Guillermo Del Toro, un gioiello di stop-motion diverso dalla fiaba di Collodi


RECENSIONE – Forse non tutti sanno che il romanzo italiano più tradotto e letto nel mondo è nientepopodimeno che “Le avventure di Pinocchio. Storia di un burattino” di Carlo Collodi. Non dovremmo pertanto stupirci se di tanto in tanto sceneggiatori e registi avvertono l’esigenza di buttare giù un nuovo film sul burattino più amato di sempre. Pinocchio è a tutti gli effetti un vero e proprio evergreen, un sempreverde. Solo nell’ultimo anno sono state proposte al pubblico due produzioni: la prima di Robert Zemeckis con la firma Disney. La seconda è “Pinocchio” di Guillermo Del Toro distribuito al cinema, per pochi giorni, dal 4 dicembre e ora disponibile dal 9 dicembre sulla piattaforma Netflix.

Si tratta di un film d’animazione realizzato in stop-motion: nel suo genere è un lavoro eccezionale di cura e attenzione per ogni piccolo dettaglio. Un vero gioiello. A tal proposito su Netflix è disponibile anche lo speciale “Pinocchio di Guillermo Del Toro: cinema scolpito a mano” (dalla durata di circa trenta minuti) da cui emergono tutta l’arte, la devozione, la manualità artigianale e la meticolosità di quanti hanno partecipato alla realizzazione del lungometraggio. L’intero team di Del Toro parla dello stop-motion con una passione così autentica e contagiosa da far venire quasi la voglia di comprare la plastilina e sperimentare in maniera grezza la tecnica a casa.

I personaggi sono doppiati da un cast all’altezza sia in inglese che in italiano. Negli USA hanno prestato le voci: David Bradley, Gregory Mann, Tilda Swinton, Ron Perlman, Finn Wolfhard, Christoph Waltz, Ewan McGregor e Cate Blanchett. Nel Bel Paese ascoltiamo Ciro Clarizio (Pinocchio/Carlo), Massimiliano Manfredi (Sebastian il Grillo), Bruno Alessandro (Geppetto), Mario Cordova (il podestà), Franca D’Amato (Spirito del bosco/Morte), Stefano Benassi (Conte Volpe), Tiziana Avarista (Spazzatura), Giulio Bartolomei (Lucignolo), Fabrizio Vidale (il prete), Massimiliano Alto (Benito Mussolini), Luigi Ferraro (i conigli neri) e Pasquale Anselmo (il dottore). Non mancano inoltre dei momenti musicali, in realtà non troppo memorabili. I personaggi si cimentano nel canto come in una sorta di musical, come accade nei classici Disney.

La trama tradisce e stravolge la celeberrima storia dello scrittore fiorentino. L’opera sta riscuotendo un grandissimo successo tra il pubblico. La critica ne apprezza l’egregio aspetto estetico e l’innovazione rispetto alla storia della tradizione collodiana. La narrazione raccoglie i temi preferiti di Del Toro e ricorrenti nella sua filmografia: i mostri, i simboli religiosi e il cattolicesimo, gli insetti, la morte, la celebrazione dell’imperfezione e i meccanismi degli orologi. È possibile stimare il nuovo stile un po’ dark e più maturo conferito al grande classico, ma allo stesso tempo rammaricarsi dei grandissimi cambiamenti scelti: a seconda dei gusti e/o dell’umore.

Il nuovo Pinocchio ricorda un po’ Frankstain già nell’aspetto incompleto e rozzo, con qualche chiodo a completare il quadro. Non è più un burattino monello a cui si cerca di impartire tante lezioni di vita affinché diventi un bravo bambino vero. Il Pinocchio di Guillermo Del Toro celebra, al contrario, la disobbedienza come forma più alta d’espressione e affermazione del proprio sé, dell’identità individuale. Allo stesso tempo denuncia le svariate contraddizioni sociali, senza mai assumere delle sembianze in carne e ossa.

Per evidenziare ciò, la regia sceglie di cambiare del tutto anche l’ambientazione della storia. Non siamo più nella seconda metà dell’Ottocento. Pinocchio nasce e combina marachelle nell’Italia del regime fascista, sotto la dittatura di Mussolini. Guillermo De Toro decide di tagliare e sintetizzare più di un personaggio. Non c’è più spazio per l’iconica Fata Turchina o per il Gatto e la Volpe. Il Conte Volpe sostituisce in colpo solo il vecchio Mangiafoco. Al posto della cara Fatina compaiono lo Spirito del bosco e la Morte in persona. Lucignolo non è più il discolo che conosciamo da sempre e del resto anche il Paese dei Balocchi si presenta in una forma del tutto diversa. 

In nessuna pagina de “Le avventure di Pinocchio. Storia di un burattino” di Carlo Collodi viene mai menzionata una chiesa o un qualche tipo di sacerdote. Il romanzo è impregnato di riferimenti cattolici esclusivamente su un piano allergico che, tra le righe, associa Pinocchio, Geppetto e la Fata Turchina alla Sacra Famiglia. Guillermo Del Toro preferisce nel suo film palesare questa dimensione religiosa arricchendo la storia di chiese e preti. Addirittura dinnanzi a un crocifisso, il suo Pinocchio avrà il coraggio di chiedere perché gli uomini adorino un Cristo di legno, ma abbiano invece paura di lui.

L’esito finale è sicuramente un prodotto di grandissima qualità cinematografica. Una fiaba vagamente horror forse non troppo rivolta ai bambini, in teoria il target di riferimento per un film su Pinocchio. Una versione anticonvenzionale del famoso romanzo di Collodi. Di certo non “la solita minestra”. Probabilmente più indicata per un pubblico più grande, più maturo. Una storia di perdita e dolore che diventa un racconto di crescita e riscoperta dell’importanza della vita e del tempo condiviso con le persone che amiamo.



Recensione di Valentina Mazzella, pubblicata sul Napolisera.it in data 16 dicembre 2022. 


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sabato 17 dicembre 2022

"La famiglia Addams", il film d'animazione da recuperare se hai amato "Mercoledì"


RECENSIONE - Sull'onda dello strepitoso successo della serie TV "Mercoledì" di Tim Burton, è possibile recuperare altri piacevoli lavori sullo stesso filone. Il più recente è il film d'animazione "La famiglia Addams" del 2019. La regia è stata diretta da Greg Tiernan e Conrad Vernon. I disegni e l'aspetto grafico dei personaggi rispecchiano in maniera abbastanza fedele le mitiche vignette originali de "La famiglia Addams" disegnate da Charles Addams a partire dal 1938.

L'opera ha riscosso al cinema un apprezzabile successo, tanto da convincere gli autori a realizzare nel 2021 un sequel, "La famiglia Addams 2". La trama è semplice e lineare. Presenta in modo impeccabile la famiglia più tenebrosa e bislacca di sempre alle nuove generazioni, a chi magari non è cresciuto o non ricorda l'omonima serie in bianco e nero degli anni Sessanta oppure gli iconici film dei primi anni Novanta.

Parte della critica ha accusato il prodotto di essere troppo stucchevole ed eccessivamente buonista per gli standard macabri e politicamente scorretti che hanno consacrato La famiglia Addams come un vero cult. In realtà il film evidenzia ancora i dettagli inquietanti e le abitudini grottesche dei protagonisti. Ne conserva gli aspetti assurdi ed esasperati che evocano il comico e la risata. Con toni divertenti e frizzanti, il film d'animazione "La famiglia Addams" propone inoltre una riflessione sulla diversità e un messaggio di inclusione per insegnare a superare le distanze e le apparenze.



Recensione di Valentina Mazzella, pubblicata sul Napolisera.it in data 5 dicembre 2022.

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giovedì 15 dicembre 2022

La "Mercoledì" di Tim Burton è gotica, divertente e spettrale: nonostante le polemiche, approvata!



RECENSIONE - Con le immancabili treccine nere, pallida, cinica e spettrale: la nuova Mercoledì Addams interpretata da Jenna Ortega appare per alcuni aspetti diversa dalla tradizione, ma ugualmente iconica. La serie TV di cui è protagonista, "Mercoledì" (titolo originale "Wednesay"), è stata rilasciata da Netflix il 23 novembre e il suo al momento è stato il miglior debutto dell'anno. Da mesi, infatti, l'attesa era stata ricca di curiosità e aspettative grazie soprattutto a Tim Burton. Il maestro ha curato la produzione esecutiva della serie e la regia dei primi quattro episodi. Ideatori della serie sono Alfred Gough e Miles Millar che ricordiamo per essere stati in passato i creatori della celebre serie televisiva "Smallville".

Il soggetto è ovviamente ispirato alla leggendaria famiglia Addams di Charles Addams che dalle vignette del 1938 continua ad attraversare il cinema e altri media. Solo che in questa occasione il focus non è acceso su tutto il nucleo familiare, ma - come anticipa lo stesso titolo della serie - su Mercoledì in particolare. È lei la protagonista ed è questo il motivo per cui i suoi parenti compaiono davvero poco. La stagione è composta da otto episodi attraverso i quali si snoda una storia capace di mescolare in maniera armoniosa diversi generi: il teen-drama, il giallo, la commedia e l’horror

L'ambientazione è quella di una scuola, ma non il classico High School americano con gli armadietti e la squadra di football. È un collegio dallo stile gotico e cupo, la Nevermore Accademy: un istituto frequentato da studenti strani, detti "reietti". Al suo interno i ragazzi si raggruppano in categorie: le sirene, i gargoyle, i lupi mannari, i vampiri e altre tipologie di emarginati. Eppure, a quanto pare, anche tra gli outsider Mercoledì apparentemente resta "la tipa strana", quella "fuori posto"

Per le riprese sono state scelte moltissime location rumene e l'estetica della serie conserva il caratteristico stile dark a cui Tim Burton da sempre ha abituato il suo pubblico. In realtà su questo punto non tutta la critica è d'accordo: c'è chi accusa il regista di aver ormai una vena creativa più opaca e "stanca". Ciononostante in "Mercoledì" ritroviamo la passione tipica di Burton per gli occhi grandi e sporgenti. Molto artistiche sono, inoltre, le diverse inquadrature simmetriche che gli episodi ci offrono, nonché i molteplici primissimi piani sui volti dei personaggi. Molto interessanti anche le sequenze che giocano con la contrapposizione tra una protagonista in bianco e nero e un mondo pieno di colori accesi. 

Per comprendere pienamente la chiave di lettura della serie è bene considerare una dichiarazione rilasciata dallo stesso Tim Burton in occasione dell'ultimo "Lucca Comics & Games". Durante un'intervista, il noto regista ha affermato: “Mi sono sempre sentito come Mercoledì, soprattutto quando ero un ragazzino. Il mio punto di vista sul mondo era bianco e nero, come il suo. Fino ad oggi Mercoledì era stata sempre rappresentata come una bambina, io invece la volevo vedere affrontare la scuola, gli insegnanti, o la terapia”.

 La vera colonna portante di "Mercoledì" - va riconosciuto - è la straordinaria Jenna Ortega, una giovanissima attrice appena ventenne che ha colpito tutti con la sua glaciale mimica facciale e il portamento da manichino. La sua interpretazione è ineccepibile. Jenna Ortega sembra nata per indossare le vesti di Wednesay. Ha reso degna giustizia alla figlia degli Addams portando egregiamente sullo schermo una Mercoledì lugubre, fredda, impassibile e solitaria. A quanto pare la Ortega, per calarsi nel ruolo, ha scelto di non confrontarsi con Christina Ricci che ha interpretato Mercoledì Addams negli indelebili film del 1991 e del 1993. Non per superbia, ma per non essere influenzata: desiderava rendere la sua interpretazione unica il più possibile. Che dire? Il risultato è stato all'altezza delle intenzioni.

Il cast della serie è notevole a trecentosessanta gradi. Gli altri interpreti sono: Gwendoline Christie (preside Larissa Weems), Jamie McShane (sceriffo Galpin), Percy Hynes White (Xavier Thorpe), Hunter Doohan (Tyler Galpin), Emma Myers (Enid Sinclair), Joy Sunday (Bianca Barclay), Naomi J Ogawa (Yoko Tanaka), Moosa Mostafa (Eugene Ottinger), Georgie Farmer (Ajax Petropolus), Riki Lindhome (Dottoressa Valerie Kinbott), Catherine Zeta-Jones (Morticia Addams), Luis Guzmán (Gomez Addams), Isaac Ordonez (Pugsley Addams) e Fred Armisen (Zio Fester). Inutile negare che Christina Ricci nei panni della signorina Marilyn Thornhill sia la vera guest star della serie.

La stesura dei dialoghi è ottima: battute svelte, divertenti e sarcastiche nelle giuste dosi, ricche di riferimenti rivolti soprattutto alla Generazione Z. Eccezionale il reparto dei costumi a cura di Colleen Atwood. Gli abiti di scena sembrano essere stati disegnati di proposito per essere poi emulati da innumerevoli cosplayer, come quasi sicuramente si preannuncia nelle prossime fiere. Le musiche di Danny Elfman sono perfette per le ambientazioni tenebrose di Tim Burton e sono già diventate virali sui social.

Naturalmente non potevano mancare delle polemiche. La prima verte sul distacco che esiste tra la Mercoledì di Burton e la Mercoledì "canonica". L'accusa mossa a Netflix è quella di aver realizzato una trasposizione non fedele alla "vera" Mercoledì Addams. Resta tuttavia da chiedersi quale sia, di grazia, la "vera" Mercoledì. Perlomeno cosa si intenda con questa accezione. Infatti molti indicano come punto di riferimento la strepitosa Mercoledì di Christina Ricci di cui abbiamo già fatto menzione. Eppure, per dirla tutta, anche la Mercoledì degli anni Novanta prese all'epoca le distanze dal canone, ossia dal personaggio disegnato da Charles Addams nel 1938. 

La Mercoledì della Ricci ebbe successo perché era stata caratterialmente "reinventata" per essere al passo con i tempi, per parlare al suo pubblico alla vigilia del XXI secolo. Potremmo pertanto asserire semplicemente che la nuova Mercoledì, interpretata da Jenna Ortega, sia una Wednesay confezionata su misura per il 2022 e per la Generazione Z a cui si rivolge. Del resto Tim Burton ha deciso intenzionalmente di alzare l'età anagrafica del personaggio proprio per non parlare di una bambina. Desiderava una protagonista adolescente. Prima di oggi Mercoledì non era mai stata così "grande", ossia sedicenne. Appare quindi strano che in molti si stupiscano della vena adolescenziale della trama quando, fin da subito, la serie è stata annunciata ufficialmente come un teen-drama/mistery.

Discorso diverso è, invece, rilevare effettivamente l'aver - in un certo senso - "snaturato" la famiglia Addams immergendola nel fantasy. L'idea conservata intatta attraverso le varie trasposizioni, infatti, è sempre stata quella di una famiglia inquietante e lugubre in contesti del tutto normali. In questa nuova versione Netflix, invece, Tim Burton ha inserito per la prima volta creature tipiche dell'immaginario fantasy ed elementi magici. In passato nessuno degli Addams era dotato di poteri straordinari. Tuttavia va riconosciuto che il sopravvivere a certi tipi di torture, Mano, la nonna fattucchiera oppure il Cugino It fossero comunque elementi soprannaturali non riconducibili a un quadro realistico e verosimile.

La seconda polemica sulla produzione riguarda le fonti di ispirazione della storia. Innegabilmente "Mercoledì" appare un mix di elementi ripresi da svariate serie di successo già esistenti. Innanzitutto il prodotto ha innumerevoli aspetti in comune con la saga di Harry Potter, aspetti evidenti a partire già dal primo quarto d'ora del primissimo episodio. Si tratta di una sensazione che trova conferma con l'andare avanti delle puntate: l'ambientazione scolastica in un castello, le dinamiche tra gli studenti, la contrapposizione tra due mondi... Diversi dettagli avvicinano, inoltre, "Mercoledì" anche ad altre produzioni: da "Le terrificanti avventure di Sabrina" a "Miss Peregrine", da "Buffy L'ammazzavampiri" alle indagini di "Veronica Mars".

Possiamo negare l'evidenza? No. Ogni episodio evoca nella memoria echi del passato, eppure ciò non appare un demerito perché di fondo la serie mescola il tutto con talento. L'esito non è disturbante. Non siamo di fronte "a una brutta copia", ma a una serie che ha saputo fare grande tesoro dei pregi delle narrazioni che l'hanno preceduta. "Mercoledì" di certo non brilla per originalità. Non mostra storylines, scenari e dinamiche mai viste in passato, vero. È una serie ben allineata con gli standard di Netflix, perfetta per il suo target di pubblico teen. Tuttavia funziona! E funziona bene! Benissimo! "Mercoledì" intrattiene, affascina, coinvolge. Riesce ad accattivare il pubblico stimolando il desiderio di guardare subito l'episodio successivo. 

La sceneggiatura è per diversi tratti prevedibile. Ma non fu lo stesso Oscar Wilde a riconoscere che alle persone piace assaporare storie di cui già intuiscono la conclusione? Perché - in un certo senso - ciò rassicura i lettori come gli spettatori. Alcuni personaggi non sono abbastanza accurati. Si tratta però della prima stagione, di uno squarcio che ha offerto un assaggio sulla realtà di Nevermore. La seconda stagione è attesa presumibilmente per il 2024 (se la produzione firmerà il rinnovo del contratto) e la speranza è che la serie cresca e maturi assumendo caratteri più definiti. Del resto sono state lasciate delle briciole che lasciano immaginare ci sia già in forno da qualche parte l'idea per una prossima sceneggiatura.

A questo giro di giostra Mercoledì non è apparsa unicamente fredda, delusa e disinteressata al mondo. All'inizio della stagione ricorda molto anche una ragazzina arrabbiata con la vita. Un carattere chiuso e asociale con un forte senso di giustizia che cerca di appagare con la vendetta. Non manca il sadismo che in molte versioni ha contraddistinto il suo personaggio. Ma la novità introdotta da Tim Burton è che a un certo punto Mercoledì sembra evolvere pur restando se stessa. In maniera molto lenta e rigida, ma avviene: sembra iniziare ad aprirsi ai sentimenti e all'amicizia. E allora siamo tutti curiosi di sapere cosa avverrà in futuro perché Mercoledì - nonostante tutto - resta pur sempre un'Addams, impossibile da piegare e con la passione per l'omicidio. 


Recensione di Valentina Mazzella, pubblicata sul Napolisera.it in data 30 novembre 2022.


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martedì 13 dicembre 2022

Teatro Mercadante, l’Otello al femminile che capovolge l’uso elisabettiano

RECENSIONE – È meglio aver la certezza di un tradimento o esser tormentati dal dubbio? Non sarebbe meglio se le persone fossero veramente come appaiono? La celebre opera shakespeariana “Otello” è stata in scena al Teatro Mercadante di Napoli dal 6 all’11 dicembre con grande soddisfazione del pubblico. La regia è stata curata magistralmente da Andrea Baracco, lavorando con l’ottimo adattamento della drammaturga Letizia Russo.

Ciò che salta subito all’occhio è, sul palco, la presenza unicamente di attrici donne: Valentina Acca, Verdiana Costanzo, Francesca Farcomeni, Federica Fracassi, Federica Fresco, Ilaria Genatiempo, Viola Marietti e Cristiana Tramparulo. Un lodevole cast tutto al femminile che è espressione di una scelta ben precisa. L’intenzione – apertamente dichiarata – è stata quella di capovolgere uno standard in uso durante l’epoca elisabettiana, quando al teatro potevano recitare soltanto gli uomini. In quel periodo anche i ruoli femminili venivano interpretati dagli attori maschi.

Lo spettacolo sfrutta una scenografia minimalista arricchita da un saggio uso del sonoro e delle luci. I costumi di scena, studiati da Graziella Pepe, sono abiti semplici, moderni. L’immaginazione non ha bisogno dei vestiti e degli arredi storici per cogliere la vera essenza di una storia senza epoca che parla, a distanza di secoli, a tutte le generazioni. La trama rivela una conoscenza minuziosa del genere umano e delle sue molteplici sfaccettature. Suggerisce agli spettatori miriadi di spunti di riflessione e attinge a piene mani dalla poesia.

L’attenzione è catturata appieno dalla performance delle interpreti che, con successo, portano in scena amore, rabbia, gelosia, invidia, pazzia, odio, tradimento, manipolazione, tormento. Tutti i temi portanti della tragedia che William Shakespeare scrisse all’inizio del XVII, ma che dimostra ancora oggi di essere di grande attualità. Un’opera immortale il cui valore non viene opacizzato dallo scorrere del tempo.


Recensione di Valentina Mazzella, pubblicata sul Napolisera.it in data 12 dicembre 2022.


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domenica 4 dicembre 2022

"Il crogiuolo” di Arthur Miller: Filippo Dini porta la caccia alle streghe al Mercadante

RECENSIONE – Sono trascorsi quasi settant’anni dal primo debutto a Broadway, eppure “Il crogiuolo” di Arthur Miller è ancora un’opera di eccezionale attualità. Per questo il regista Filippo Dini ha avvertito il desiderio e l’esigenza di portare il celebre dramma di nuovo in scena per l’Italia. Per l’occasione l’adattamento del testo è stato curato da Masolino D’Amico. In programma già da martedì 29 novembre, lo spettacolo calcherà il palco del Teatro Mercadante di Napoli fino a domenica 4 dicembre. 

L’opera fu scritta nel 1953, per l’appunto, da Miller che gli amanti del teatro ricorderanno come l’autore di altre opere famose, ad esempio “Erano tutti miei figli” (1947) e “Morte di un commesso viaggiatore” (1953). Gli amanti del gossip, invece, come il terzo marito dell’iconica Marilyn Monroe. “Il crogiuolo” racconta un fatto storico: la feroce caccia alle streghe che si svolse nella città di Salem (Massachusetts) nel 1692. In seguito al comportamento strano di alcune ragazzine, gli abitanti del villaggio iniziarono ad accusarsi l’un l’altro. Molti furono costretti a dichiarare il falso per salvarsi, altri furono torturati. La psicosi di massa riuscí a processare ben 144 persone di cui alla fine 19 furono condannate a morte e impiccate con l’accusa di stregoneria. 

L’episodio storico non fu rispolverato a caso da Miller, ma per una ragione ben precisa. Negli anni Cinquanta negli Stati Uniti d’America era in corso un nuovo fenomeno di delirante persecuzione ai danni di quanti furono accusati di essere filo-comunisti. L’atteggiamento prende il nome di “maccartismo” ed è stato spesso soprannominato anche “caccia alle streghe rosse”, proprio perché l’atteggiamento di sospetto e di tensione era lo stesso. La causa ovviamente era da ricercare nel clima di tensione instillato dalla Guerra Fredda.

In quegli anni chi veniva indagato con l’accusa di comunismo era costretto a indicare alle autorità altre persone, amici e parenti che sarebbero stati così inevitabilmente accusati dello stesso “reato”. Toccò tale sorte anche ad Arthur Miller: il collega e regista Elia Kazan fece il nome. Miller e la moglie finirono sotto inchiesta, come all’epoca accadde a molte personalità importanti di Hollywood. Marilyn riuscí a districarsi solo chiedendo l’intervento di John Fitzgerald Kennedy. La delusione e l’amarezza per il tradimento subito continuarono però a bruciare in Miller che alla fine diede alla luce “Il crogiuolo”.

Lo spettacolo è coinvolgente. Dura tre ore, ma conserva un ritmo serrato. L’interpretazione superba degli attori appassiona gli spettatori. Le musiche dei Doors, degli Animals e di Hendrix conferiscono un tono rock alla rappresentazione. La scelta di costumi semplici ferma l’orologio del tempo. Ogni scena sembra non appartenere a un’epoca precisa perché, del resto, certi deliri sono accaduti ieri, ma accadono anche oggi. Le scenografie sono basilari, funzionali. Spicca la bandiera a stelle e strisce che durante la spettacolo i personaggi tirano, strattonano, calpestano, stropicciano, se ne fanno scudo.

Appare dunque evidente come dietro la narrazione di fatti accaduti nel XVII secolo si celi molto di più. Filippo Dini riconosce che l’opera conserva intatto un profondissimo valore politico. Non parliamo più di comunismo e sentimenti anti-americaniRiflettiamo su tutte le tensioni che ciclicamente cercano di dividere la società in due blocchi, il mondo in bianco e nero. Meditiamo sulle divisioni nate in pandemia tra vaccinati e non vaccinati oppure su quelle tra le diverse prese di posizione in merito alla guerra in Ucraina. “Il crogiuolo” emoziona il pubblico perché discute di diritti individuali, di onestà intellettuale e di integrità morale. È un’opera di grande carisma che ripone ancora fede nella dignità, nella coerenza, nella verità e nella forza del coraggio.



Cast: Virginia Campolucci, Gloria Carovana, Pierluigi Corallo, Gennaro Di Biase, Andrea Di Casa, Filippo Dini, Didì Garbaccio Bogin, Paolo Giangrasso, Fatou Malsert, Manuela Mandracchia, Nicola Pannelli, Fulvio Pepe, Valentina Spaletta Tavella, Caterina Tieghi, Aleph Viola.



Recensione di Valentina Mazzella, pubblicato sul Napolisera.it in data 1° dicembre 2022.


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giovedì 1 dicembre 2022

"Blonde” di Andrew Dominik: il disturbante film su Marilyn Monroe che (forse) non sarebbe piaciuto a Marilyn

RECENSIONE – È giusto raccontare la vita di un personaggio storico realmente esistito inventando fatti e stravolgendone altri? È corretto farlo soprattutto umiliando e macchiando – in un certo senso – la memoria di una persona che non c’è più e non può pertanto difendersi? Sono le domande che frullano nella testa dopo aver visto “Blonde” di Andrew Dominik, l’ultimo film sull’iconica Marilyn Monroe che ha fatto tanto discutere di sé negli ultimi mesi. Si tratta di una produzione “Plan B Entertainment” distribuita dal 16 settembre 2022 su Netflix e al momento reperibile sulla medesima nota piattaforma di streaming on demand.

L’opera è impeccabile sotto il profilo tecnico. Non a caso ha riscosso un successo strepitoso alla 79ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia, ricevendo addirittura una standing ovation di ben quattordici minuti. La regia, il montaggio, la fotografia e l’estetica in generale dell’opera sono eccezionali. Diverse sono le scelte filmiche sperimentali, di quelle che potrebbero anche apparire troppo concettuali e snob a chi non vi è abituato. La più evidente è senz’altro l’alternanza di alcune scene a colori ad altre in bianco e nero. Le prime riservate a Norma Jeane e le seconde a Marilyn: l’aspetto cromatico diventa così un mezzo per evidenziare la dicotomia interiore della protagonista.

Le inquadrature e le sequenze sono notevoli, quanto l’attenzione per i dettagli. Il settore che si è occupato del make-up e delle acconciature ha fatto un lavoro pregevole. Lo stesso si può dire per i costumi. L’interpretazione dell’attrice cubana (naturalizzata spagnola) Ana de Armas è lodevole. All’occhio meno esperto, nel film riesce visivamente a ricordare tantissimo la star hollywoodiana. Spiace che nel doppiaggio originale alcuni lamentano un accento ancora un po’ troppo sudamericano nella pronuncia delle sue battute.

In ogni caso le perplessità evocate da “Blonde” riguardano la sua trama che non è ispirata ai fatti reali. La sceneggiatura è, infatti, basata sull’omonimo romanzo del 1999 di Joyce Carol Oates in cui parti della vita di Marilyn Monroe sono narrate in maniera libera. Per la precisione molti episodi non hanno riscontro nella realtà storica. La questione è stata sollevata da una parte della critica che non ha apprezzato questo aspetto. Marilyn Monroe del resto è notoriamente un personaggio molto amato. Nella sua carriera di attrice ha avuto degli alti e bassi e nella vita di chiunque, indubbiamente, ci sono delle ombre. Tuttavia Marilyn è una figura cult che è entrata nei cuori delle persone perché – è risaputo – fu anche una donna molto fragile.

È di dominio pubblico la sua infanzia difficile e triste durante la quale fu sballottata a destra e a manca a causa di diversi affidamenti. I suoi amori finiti male sono stati a lungo al centro di innumerevoli gossip. Non sempre le riviste la mettevano un buona luce. I problemi psicologici che l’hanno condotta al terribile suicidio nel 1962 hanno contribuito a condividere di lei, nell’immaginario collettivo, l’immagine di una debolezza umana nei cui confronti è impossibile non provare tenerezza compassionevole. Ebbene, “Blonde” non è un biopic: la pellicola non desidera raccontare la biografia dell’attrice in maniera fedele. Certo, racconta i punti salienti summenzionati, ma inserisce anche eventi senza fonte storica a sostegno.

Ad esempio il film omette del tutto il primo matrimonio di Norma Jeane con il suo vicino di casa Jim Dougherty, quando lei aveva 16 anni e lui 21. Furono nozze – in un certo senso – combinate dalla famiglia da cui era all’epoca la ragazza era in affidamento: Norma Jeane accettò perché l’alternativa sarebbe stata tornare in orfanotrofio. Per il resto, invece, non è per nulla accreditata la relazione a tre di Marilyn Monroe con Cass Chaplin Jr. (Xavier Samuel) ed Eddy G. Robinson Junior (Evan Williams). Storicamente l’attrice avrebbe avuto una relazione con entrambi – almeno così dichiaravano i giornali dell’epoca e alcuni documenti di Cass Chaplin stesso -, tuttavia separatamente. In due momenti diversi. Nessun triangolo poliamoroso.

Falsa anche la storia secondo cui Marilyn avrebbe ricevuto, durante la sua carriera, delle lettere segrete da parte del padre ignoto. E di conseguenza altrettanto falsa la scoperta che si trattasse di uno spregevole scherzo opera di Cass Chaplin J. che, per amor di cronaca, è addirittura morto nel 1968. Ergo anni dopo il suicidio di Marylin, non prima. Di vero c’è solo il fatto che effettivamente Norma Jeane non abbia mai conosciuto suo padre. Abbastanza veritiera, al contrario, appare la rappresentazione dei matrimoni con Joe Di Maggio (Bobby Cannavale) e con il drammaturgo Arthur Miller (Adrien Brody). È realtà purtroppo anche l’aneddoto in cui Marilyn fu ricattata con delle foto di nudo scattate in gioventù. Tuttavia il ricattatore, anche questa volta, non fu assolutamente Cass Chaplin Junior.

Le vicende legate agli aborti potremmo collocarle in una zona grigia. È vero che la povera Marilyn ebbe degli aborti spontanei, soprattutto quelli narrati nel film con suo marito Miller. Alcune voci sostengono che l’attrice abbia avuto altri aborti in circostanze diverse. Magari in questo caso “Blonde” romanza le dinamiche, ma rende l’idea del dramma che Marilyn attraversò. Piuttosto non è piaciuto il modo in cui nel film vengono raccontati degli abusi sessuali che Norma Jeane avrebbe subito da degli imprenditori del cinema per avviare la sua carriera. Non se ne hanno prove, non ci furono mai voci in merito. Era sicuramente un’epoca diversa da quella di oggi in cui la denuncia di certe violenze era ancora un tabù. Non esisteva ancora il Movimento Me Too. Però è di fondo meschino lasciare intendere che Marilyn Monroe sia riuscita a ottenere inizialmente dei ruoli semplicemente attraverso il sesso.

È meschino soprattutto perché nella realtà storica Marilyn Monroe soffrì davvero molto per la critica cinematografica del tempo che a lungo continuò a etichettarla come “una bella senza talento”, un’attrice che riusciva ad accaparrarsi i ruoli unicamente per il suo corpo. Per Marilyn fu un drammatico tasto dolente, nonché la ragione per cui desiderò studiare recitazione durante la storia d’amore con Miller. Altrettanto brutale la scena di “Blonde” in cui la Monroe incontra il Presidente (presumibilmente John Kennedy, qui Caspar Philipson) unicamente per praticargli del sesso orale. Sulla loro relazione ci sono ancora oggi tanti interrogativi. Altrettanti circa la storia che legò successivamente la stessa Marilyn al fratello di lui, Robert Kennedy. Non è possibile sostenere con fermezza che fossero rapporti esclusivamente carnali come viene mostrato. Ciononostante, con quell’unica scena, ancora una volta la pellicola riduce la Monroe a un corpo e basta escludendo per lei e la sua vita altre possibilità.

Non sorprende scoprire che “Blonde” ha sollevato in merito non poche polemiche. Oltre alla censura per i minori di 17 anni a causa della presenza di contenuti sessuali e violenti, il film ha ricevuto anche diverse accuse di sessismo. Durante in un’intervista con l’ANSA il regista ha risposto a tal proposito dichiarando: “Il film è finzione e tutto è visto dal punto di vista di quello che noi pensiamo lei abbia provato. Un affronto agli americani? Questo film non vuole essere giusto o equo con qualcuno, vuole metterci in connessione con lei e i suoi sentimenti”.

Cosa commentare? “Blonde” è certamente un film drammatico. Racconta egregiamente la sofferenza interiore di un’artista tormentata, divisa tra la sua identità nel privato e la maschera assegnata a lei da altri che l’ha resa un mito. Da una parte la persona Norma Jeane: insicura, sola, fragile e assetata di amore. Dall’altra il suo personaggio, la celeberrima Marilyn Monroe come tutti la conoscevano: irraggiungibile star del cinema, icona sexy ancora a distanza di generazioni. “Blonde” però è anche un film che inconsciamente si compiace visibilmente di questo dolore. Una pellicola disturbante in alcune scene, cruda e forse crudele nel suo ricostruire lo stereotipo di una Marilyn solo corpo, sesso e patimento. Racconta le tribolazioni dell’attrice, ma ne conferma anche i luoghi comuni inventando fatti non verificati. Il quesito è semplice: il film sarebbe piaciuto a Marilyn?


 


Recensione di Valentina Mazzella, pubblicata sul Napolisera.it in data 25 novembre 2022.

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