giovedì 16 novembre 2023

"Killers of the Flowers Moon”: l’ennesimo capolavoro di Martin Scorsese?


RECENSIONE – Sicuramente “Killers of the Flowers Moon” è l’ennesimo capolavoro di Martin Scorsese. Il film getta lo spettatore prepotentemente nella narrazione di alcuni fatti storici che non sono comunemente noti a tutti: quelli inerenti alla tribù degli Osagi. Nella seconda metà dell’Ottocento il governo statunitense costrinse questo popolo di nativi americani a raggiungere l’Oklahoma, stabilendosi poi nel territorio. Il film è ambientato negli anni Venti del Novecento, quando alcuni membri scoprono il petrolio grazie al quale gli Osagi diventano estremamente ricchi. Tuttavia è anche il momento in cui hanno inizio i loro problemi.

Un manipolo di bianchi avidi e senza scrupoli accorrono nella riserva. Con stratagemmi più o meno velati, cominciano a sterminare la comunità per appropriarsi del denaro e dei beni di valore degli Osagi. La sceneggiatura è stata scritta da Scorsese a quattro mani con Eric Roth, penna che ha una lunga filmografia eccelsa alle spalle (nel 1995 vinse l’Oscar per “Forrest Gump”). Fonte di ispirazione per il soggetto il romanzo “Gli Assassini della Terra Rossa” di David Grann.


Il cast è eccezionale. Brillano su tutti Robert De Niro, Leonardo Di Caprio, Lily Gladstone e Brendan Fraser. Le interpretazioni sono meticolose e all’altezza delle aspettative. Le candidature agli Oscar sono praticamente assicurate. La scelta delle scenografie e la cura dei costumi coronano una fotografia già di per sé dall’incredibile estetica. La regia di Scorsese e l’armonia del montaggio regalano un prodotto superlativo dal ritmo incalzante e la trama coinvolgere. Eppure, per il pubblico meno avvezzo alla filmografia del Maestro e meno appassionato al genere, le tre ore e mezzo di pellicola registrano un calo dell’attenzione nell’ultima ora del film.

Probabilmente perché l’opera non è un vero giallo. A dirla tutta nemmeno si propone per la categoria, ma senz’altro a un certo punto “Killers of the Flowers Moon” diventa la storia di un’indagine. Lo spettatore vive la ricerca senza suspense perché conosce già i responsabili dei delitti. Il film racconta piuttosto la fame di giustizia e verità di un popolo massacrato dall’avidità indomita dell’uomo bianco. Delinea perfettamente – in maniera netta – la linea di confine tra il bene e il male, con guizzo molto razionale. Si palpano tutti i sensi di colpa che tormentano la cultura americana da generazioni.

Nonostante non manchino le scene drammatiche, a questo giro Scorsese non riesce però a regalare momenti capaci di evocare lacrime sincere. Non desta un’empatia viscerale nei confronti delle vittime. Raccoglie umanamente il consenso, ma senza stringere un nodo alla gola. In realtà non fa vibrare nemmeno per la rabbia o l’odio. Non accarezza quelle corde emotive che aveva abbondantemente toccato ad esempio in “Silence” (2016). Il risultato è privo di quella componente divisoria capace di scuotere gli animi con una stretta allo stomaco. Non coinvolge nei sentimenti, non avvicina alla psicologia dei personaggi. Tuttavia “Killers of the Flowers Moon” resta un lavoro confezionato divinamente. Ha il merito di raccontare con potenza una storia taciuta a lungo. Una pagina che è giusto ascoltare dopo decenni di vergognoso silenzio per risvegliare le coscienze sui crimini dell’umanità.

Recensione di Valentina Mazzella, pubblicata sul Napolisera.it in data 7 novembre 2023.


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giovedì 2 novembre 2023

Teatro Mercadante, “Clitennestra”: lo struggente spettacolo di Roberto Andò


RECENSIONE – Uno strepitoso inizio di stagione teatrale quello inaugurato in questi giorni al Teatro Mercadante di Napoli. “Clitennestra” è in scena già dal 18 ottobre fino a domenica 29. Uno spettacolo di eccezionale pathos. Struggente, angosciante, da brividi. La rappresentazione è ispirata a “La casa dei nomi” di Colm Tóibín. L’adattamento e la regia sono curati da Roberto Andò.

Il cast è composto da notevoli talenti: Isabella Ragonese, Ivan Alovisio, Arianna Becheroni, Denis Fasolo, Katia Gargano, Federico Lima Roque, Cristina Parku e Anita Serafini. Ogni interpretazione emoziona nel profondo, agguanta lo spettatore nello stomaco. Per un’ora e mezza strappa lacrime di empatia agli animi più sensibili. Complici un uso sapientissimo del sonoro e le scenografie fredde, scarne, squallide come la cecità di certi sentimenti raccontati.

La storia narrata è quella di Clitennestra, moglie di Agamennone e madre di Ifigenia. Non importa se i costumi e le acconciature di scena non sono quelli tradizionali dell’Antichità. Grazie alla maestria della compagnia teatrale, il pubblico riesce ugualmente a percepire tutta la suggestione della mitologia greca.

Le voci strazianti degli attori, i dialoghi solenni e aulici. Ogni dettaglio aiuta il pubblico a vivere il dramma e lo strazio di un racconto che ha attraversato i secoli. Da Omero a Euripide, da Eschilo a Sofocle: la letteratura antica non ha mai riservato sviolinate al personaggio di Clitennestra. La Regina di Micene ha sempre incarnato, nell’immaginario collettivo, la meschina assassina del marito. Una donna traditrice, infedele, infame, vendicativa. Non di certo un angelo del focolare. 

Lo spettacolo di Andò non santifica Clitennestra. Su ispirazione del romanzo dell’irlandese Colm Tóibín, il desiderio è quello di riscattare il personaggio raccontando il suo dolore di madre ingannata. La sua sete di giustizia di fronte a una figlia di sedici anni sacrificata agli dei in nome della guerra. La sua rabbia cieca e determinata. E allo stesso tempo riflettere su come la violenza generi sempre violenza, attivando una spirale perpetua di morte e sangue.



Recensione di Valentina Mazzella, pubblicata sul Napolisera.it in data 25 ottobre 2023.


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domenica 22 ottobre 2023

“Barbie”, lo scintillante live-action tutto rosa più discusso dell’estate

 


RECENSIONE – “Hi, Barbie!”, “Hi, Ken!”: senza ombra di dubbio il tormentone più virale degli ultimi mesi estivi. Naturalmente tutto merito del film “Barbie” di Greta Gerwing, tra i più attesi in questo 2023. Non solo. Anche tra i più chiacchierati. Forse il più criticato e il più osannato al tempo stesso. Ma in fin dei conti si tratta effettivamente di un buon live-action oppure no? La risposta è banale: dipende dalle aspettative. Bisogna entrare in sala nella consapevolezza di star per guardare un prodotto palesemente commerciale il cui principale scopo non è stravolgere la società, ma intrattenere il pubblico. A quel punto si potrà finalmente apprezzare una pellicola leggera, frizzante e divertente che, tuttavia, si rivela capace anche di strizzare l’occhio a tematiche sociali importanti.

“Barbie” è un film eccezionale sotto il profilo tecnico. Il risultato è all’altezza del budget investito. Le citazioni cinematografiche sono deliziose e ben confezionate. La più lampante è quella che omaggia “2001: Odissea nello spazio” (1968) di Stanley Kubrick, mostrata in anteprima anche nel trailer. Le interpretazioni di Margot Robbie nel ruolo di Barbie e quella di Ryan Gosling nei panni di Ken sono state molto calzanti. Ottima anche la performance di America Ferrara (Gloria). L’intero cast è puntellato di nomi importanti e spesso, durante la visione, si rivelano esilaranti alcuni camei importanti come quello di John Cena come Ken Tritone.

Con spensieratezza, “Barbie” si presenta come un live-action adeguatamente rosa per portare sul grande schermo la bambola più iconica della Mattel. La sua fotografia dai colori accesi è meravigliosamente folgorante. Ottimo il montaggio. Notevoli le scenografie, la cura per i dettagli e l’attenzione per i costumi. La sceneggiatura è ricca di riferimenti alla storia dell’azienda Mattel e al suo marketing. Le scene e i dialoghi sono costruiti in maniera efficace, con una considerevole dose di ironia. Il ritmo è scorrevole. Soltanto il finale appare un po’ debole rispetto alle intenzioni iniziali, ma nonostante tutto è una défaillance che si perdona.

Questo perché “Barbie” regala innumerevoli riflessioni sui ruoli di genere, sull’esser donna, sul matriarcato, sul femminismo, sul maschilismo e il patriarcato. Può rivelarsi anche un ottimo film da proporre ad esempio a degli studenti delle scuole medie per aprire un dibattito sugli argomenti trattati, senza proporre pellicole più crude o più aggressive. Ciò che dispiace, tuttavia, è osservare come “Barbie” a sua volta inciampi deragliando quasi verso una guerra tra maschi e femmine. Per rivendicare il legittimo diritto della donna a essere se stessa, ingabbia tutti i Ken negli stereotipi più negativi sugli uomini. Senza esclusione di colpi. Fa eccezione soltanto Alan (Micheal Cera), rivendicato tra l’altro dalla comunità LGBT come potenziale non-binary.

Una rappresentazione che da un lato denuncia una problematica concreta e seria della società. Dall’altra non apporta un vero contributo, non suggerendo spunti per migliorare la società. Non che fosse necessariamente responsabilità del live-action, scontato. Ma sarebbe stato mirabile un messaggio di minore divisione e contrapposizione tra uomini e donne. Forse più banale, ma più sano un invito a un maggiore equilibrio tra i due generi: tra tutte le persone indipendentemente dal genere di appartenenza. Ciononostante “Barbie” resta un film da guardare almeno una volta, anche solo per avere un’opinione in merito e per trascorrere piacevolmente due ore.




Recensione di Valentina Mazzella, pubblicata sul Napolisera.it in data 7 settembre 2023.


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giovedì 19 ottobre 2023

“I CARE. Lettera a una professoressa”, al Teatro Mercadante Ridotto con la compagnia CHILLE DE LA BALANZA


RECENSIONE – Inaspettato, semplice, creativo. Questo weekend (13, 14 e 15 ottobre) il Teatro Mercadante Ridotto di Napoli ha accolto lo spettacolo “I CARE. Lettera a una professoressa”, prodotto dalla Compagnia “CHILLE DE LA BALANZA”. Per la precisione uno spettacolo molto diverso dal solito. Un’esibizione concepita da Claudio Ascoli che compare poi in prima linea sulla scena, affiancato da Sissi Abbondanza e Monica Fabbri. Lo scopo dell’iniziativa era commemorare il centenario della nascita di Don Lorenzo Milani.

La compagnia ha scelto di raccontare Don Milani in maniera anticonvenzionale. Dopo la proiezione di alcune immagini storiche di repertorio in bianco e nero, gli spettatori hanno ascoltato la lettura intensa di alcune pagine di “Lettera a una professoressa”. Non è mancato qualche breve frammento di un’intervista a Pier Paolo Pasolini che commentava il libro di Lorenzo Milani con grande favore.

Poi a un tratto la rappresentazione rompe la quarta parete e degli spettatori vengono coinvolti in prima persona nello spettacolo per ricreare la scuola di Barbiana. Su un tavolo vengono sparsi diversi oggetti e a tutti viene chiesto di sceglierne alcuni insieme. A partire da semplici cose, diventa così possibile narrare aneddoti ed eventi della vita di Don Lorenzo Milani e del suo esperimento pedagogico presso Vicchio del Mugello, un piccolo borgo sperduto tra i monti della diocesi di Firenze.

L’esibizione scardina il modello tradizionale e diventa dialogo con il pubblico. Insieme si ripercorre l’incredibile esperienza educativa che Don Lorenzo Milani propose tra il 1954 e il 1967 contro lo sconcerto di molti. Raccolse dei giovani scolari di montagna, di umile origine e con evidenti svantaggi culturali rispetto ai coetanei di città e ai figli della buona borghesia. Realizzò una scuola in cui i programmi erano condiviso dal maestro e dagli allievi. Un luogo che non respingeva nessuno, con una didattica votata ad aiutare soprattutto gli ultimi. Una scuola che non fosse come “un ospedale che cura i sani e respinge i malati”. Il tutto sintetizzato nel perfetto motto inglese “I care”, ossia “Mi importa”.

Un’eredità quella di Don Lorenzo Milani sulla quale è ancora oggi fondamentale e fruttuoso riflettere. Sebbene oggi l’esperienza di Barbiana non sia replicabile, il suo racconto ci consegna comunque una preziosa pedagogia costruita sull’accoglienza. Ci offre un prototipo di scuola più attenta ai bisogni e alle potenzialità di ciascun alunno. Soprattutto un’educazione incentrata su delle relazioni umane autentiche e scevre di discriminazioni.

Musiche originali di Alessio Rinaldi. Creazione video di Francesco Ritondale. Luci di Teresa Palminiello. Suoni di Francesco Lascialfari.



Recensione di Valentina Mazzella, pubblicata sul Napolisera.it in data 16 settembre 2023.


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giovedì 12 ottobre 2023

"Jeanne Du Barry – La favorita del re”: con Johnny Depp, il film sull’ultima amante di Luigi XV

RECENSIONE – “Jeanne Du Barry – La favorita del re” di Maïwenn è il film perfetto per chi ama le rappresentazioni storiche e il cinema in costume. Nonostante le inevitabili imprecisioni storiche richieste dal minutaggio e dalle esigenze sceniche, la sceneggiatura è abbastanza fedele alla verità storica. La regia di Maïwenn regala una fotografia dall’estetica deliziosa, con i colori accesi e vivaci. Non disdegna giochi di luce e ombre al lume di candela sulla scia di Kubrick, dando un lievissimo tocco caravaggesco ad alcune inquadrature.

La sceneggiatura è scritta senza sbavature. Riabilita la reputazione della seconda e più famosa cortigiana preferita di Luigi XV: Marie-Jeanne Bécu, contessa Du Barry. Per secoli la sua immagine è stata tramandata come quella dell’astuta arrampicatrice sociale che riuscì a sedurre il sovrano di Francia con avidità e calcolo. “La favorita del re” restituisce, invece, la vicenda di una giovane donna dalle origini infelici, una donna del popolo che riesce a entrare nelle grazie di Luigi XV grazie ai suoi modi sinceri, schietti e anticonvenzionali.

Maïwenn, nei panni della stessa Contessa Du Barry, è seducente, ammiccante. Al tempo stesso è capace con lo sguardo di svelare la profonda solitudine e tristezza di una protagonista solo apparentemente forte. La sua ottima recitazione offre al pubblico una donna sfacciata, ma ricca di fragilità. Soprattutto non pronta a farsi imbrigliare dalle etichette di corte. Per Johnny Depp è stata, invece, l’occasione per tornare sul grande schermo dopo la travagliata vicenda giuridica con l’ex moglie. Un ritorno di tutto rispetto nel ruolo di Luigi XV, sebbene il sovrano di Francia non sia un personaggio abbastanza eclettico per valorizzare le celeberrime doti attoriali di Depp che forse dà realmente soddisfazione soltanto nelle scene della vestizione al mattino.

“La favorita del re” è un film-bomboniera, adorabile sotto diversi punti di vista. Una pellicola che immortala una figura storica audace, nota per la sua scaltrezza. Ne rivela i retroscena: le paure e gli sconforti. Maïwenn fa trasparire quanto non era stato mostrato in altre rappresentazioni del passato. Per esempio né con la cattiva Madame Du Barry di “Lady Oscar” e né con la versione un po’ dark di Asia Argento interpretata in “Maria Antonietta" di Sofia Coppola nel 2005. Il tutto servito con riprese mozzafiato presso l’incantevole Versailles. I meravigliosi saloni e giardini della illustre location, gli abiti, le acconciature, le musiche: ogni dettaglio aiuta lo spettatore a immergersi nello sfarzo della Gabbia d’Oro, quando ancora la Rivoluzione francese non era nemmeno un evento immaginabile.



Recensione di Valentina Mazzella, pubblicata sul Napolisera.it in data 13 settembre 2023.


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lunedì 9 ottobre 2023

“Oppenheimer” di Christopher Nolan: è sopravvalutato o è il film dell’anno?


RECENSIONE – Decantato per mesi dalla critica e dal pubblico, “Oppenheimer” di Christopher Nolan è indubbiamente un film eccellente sotto innumerevoli profili. Dal punto di vista tecnico è naturalmente un gioiello: la regia, la fotografia, il montaggio, il reparto costumi… La sceneggiatura è scritta senza sbavature. I dialoghi sono studiati nei minimi particolari. Gli effetti speciali dell’esplosione sono stati realizzati in maniera volutamente analogica, rinunciando al digitale per amore della resa artistica. Il cast con Cillian Murphy, Emily Blunt, Robert Downey Jr. e Matt Damon in testa è senza ombra di dubbio di notevole spessore.

Tuttavia alcune remore non possono fare a meno di sorgere. Nonostante tutte le incontestabili qualità elencate fin qui, “Oppenheimer” è davvero il film dell’anno o addirittura del decennio come in moltissimi lo osannano? Indubbiamente la pubblicità e i media hanno contribuito ad alzare le aspettative del pubblico. Anche di coloro che magari non amano il genere. Senza contare che per alcuni aspetti Nolan sceglie di inserire scene volutamente un po’ pretenziose. Abbracciando un momento storico e una vicenda umana ricca di risvolti, la trama rischia spesso di essere vischiosa.

Il merito più grande di “Oppenheimer” è quello di aver spronato la curiosità di tanti, avvicinando il grande pubblico a un fatto storico che spesso occupa una lettura un po’ marginale nella narrazione del Novecento. Soprattutto non è il solito film filo-americano che prova a tutti i costi a riabilitare un personaggio storico soltanto perché il protagonista della pellicola. Le tre ore di proiezione sono impregnate di annunciata angoscia con un’interpretazione del passato che possiamo giudicare intellettualmente onesta. Regalano riflessioni sul progresso scientifico, sull’etica e sull’industria bellica. Forse “Oppenheimer” è un film non propriamente “iconico”, ma ugualmente incredibile per i suoi molti pregi.


Recensione di Valentina Mazzella, pubblicata sul Napolisera.it in data 30 settembre 2023.


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sabato 30 settembre 2023

“Questo mondo non mi renderà cattivo”: la serie di Zerocalcare che racconta temi caldi di attualità con un inconfondibile stile pop

RECENSIONE – Per quanto possa apparire scontato, “Questo mondo non mi renderà cattivo” si conferma una lodevole serie in pieno stile Zerocalcare (pseudonimo di Michele Rech). Il prodotto è stato realizzato dal noto fumettista italiano con un talentuoso team di 300 persone. Distribuito su Netflix dallo scorso 9 giugno, è diventato subito uno dei contenuti più visualizzati della piattaforma di streaming on demand. Un grande successo! L’autore aveva anticipato che non si sarebbe trattato di un sequel di “Strappare lungo i bordi” e infatti non lo è.

Racconta tutt’altra storia. Tuttavia i sei episodi più lunghi in cui la serie si snoda sono popolati da personaggi e dettagli già presenti nell’altro prodotto di Zerocalcare. Ritroviamo pertanto Zero, lo spassosissimo Secco, la saggezza di Sarah, Mamma Lady Cocca/Genitore 1 e addirittura il fu bambino Lucertola. Tutti doppiati nel passato da Zerocalcare con il suo caratteristico romano. Non manca naturalmente l’Armadillo, la proiezione della coscienza del protagonista. Doppiato sempre da Valerio Mastrandrea, continua a essere un personaggio dall’umorismo cinico e irriverente, ma di grande carisma: un po’ tutti vorremmo nelle nostre vite un Armadillo fisico che ci parlasse in maniera altrettanto schietta di volta in volta.

Nella narrazione compare inoltre un nuovo personaggio: Cesare, una vera bomba di pepe per una narrazione profonda, ma dal ritmo più lento rispetto a “Strappare lungo i bordi”. Già il titolo “Questo mondo non mi renderà cattivo” suggerisce la vera essenza della stagione. Zerocalcare sceglie di rappresentare un racconto politico a partire da episodi di vita e fatti di cronaca locale. Conserva la sua onestà intellettuale, con coraggio. Non cerca di vendere, non desidera indottrinare. Non cavalca la retorica. Con notevole integrità, si mette spesso in discussione. Esegue un’analisi minuziosa, legge la società che lo circonda cercando sempre di cogliere tutte le sfumature. Mai con la presunzione di chi pretende di aver ragione a tutti i costi. Ne emerge sempre l’idea che Zerocalcare, al di là del geniale artista, sia davvero e soprattutto “un’anima bella” in termini umani.

In questa nuova serie l’autore tocca con tatto nuovi argomenti attraverso uno sguardo quasi antropologico. Dall’evoluzione dei rapporti nel percorso di crescita al tunnel della droga e l’ingresso in comunità. Dal dramma dell’urgenza migratoria al razzismo. Dall’ipocrisia della politica agli scontri violenti con gli estremisti. Il tutto sempre con uno stile esattamente pop, arricchendo la narrazione di elucubrazioni, battute e innumerevoli Easter eggs. Racconta anche il senso di colpa del privilegio e il conflitto interiore di chiunque umanamente sia diviso tra i vantaggi egoistici e i propri ideali. La vera firma di Zerocalcare è in soldoni la disarmante onestà con cui cerca ogni volta di esaminare la società e le persone. Senza innalzarsi su alcun pulpito. Tra una battutaccia e un accenno a Don Matteo o al Trono di Spade, con un’impronta sempre autentica.


Recensione di Valentina Mazzella, pubblicata sul Napolisera.it in data 27 giugno 2023.


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giovedì 28 settembre 2023

“La sirenetta”: il live-action Disney supera “la prova”, tante polemiche per nulla

 


RECENSIONE – Tanto trambusto per nulla. Dopo mesi e mesi di polemiche, il film “La sirenetta” è finalmente arrivato nelle sale il 24 maggio. A distanza di quasi un mese dalla data di distribuzione possiamo tranquillamente affermare che, nonostante le premesse, si tratti dell’ennesimo trionfo della Disney. Il live-action ripercorre in maniera abbastanza fedele la trama dell’omonimo film d’animazione della Disney, quello del 1989 che già di suo era un rifacimento della fiaba originale dello scrittore Hans Christian Andersen.

La regia è curata da Rob Marshall, mentre la sceneggiatura gode della firma di David Magee. Quando fu annunciata la scelta di un’attrice nera per interpretare Ariel, l’opinione pubblica chiacchierò molto anche dei tranelli in cui il politicamente corretto rischiava di inciampare con tale scelta. Nella versione del 1989 Ariel veniva educata/civilizzata dal principe in quanto la giovane, giunta in superficie a digiuno degli usi e costumi umani, non sapeva usare neanche le posate in maniera corretta.

Per il live-action il timore era dunque che il casting più inclusivo potesse goffamente rappresentare una Ariel nera “civilizzata dal principe-uomo-cis-bianco”, proponendo raccapriccianti stereotipi di epoca coloniale. Assurdamente remando contro la propria battaglia. Sarebbe stato il colmo! E infatti così non è stato perché la produzione ha avuto l’intuizione giusta. L’ambientazione di fantasia – esotica e indefinita – è popolata di personaggi di diverse etnie. Sono delle donne nere le prime ad aiutare Ariel a prendere confidenza con la realtà in superficie.

Halle Bailey nei panni di Ariel funziona. L’attrice offre una buona performance recitativa e la scelta della Disney di cambiare l’immagine tradizionale della protagonista di base non cambia alcunché. Tradisce soltanto la nostalgia degli spettatori più affezionati, ma offre maggiore rappresentazione etnica e – diciamo anche questo – amplia il ventaglio del merchandising. In termini di marketing, ora sugli scaffali degli store e nei parchi divertimento Disney ci saranno più versioni dello stesso personaggio: business. In soldoni l’utile incontra il dilettevole.

Regalano soddisfazione anche gli altri artisti del cast. In particolare Jonah Hauer-King (il principe Eric) e Javier Bardem (Re Tritone). È stato dato un maggiore senso anche alla cattiveria di Ursula, interpretata egregiamente da Melissa McCarthy. In Italia le canzoni hanno inseguito le orme della tradizione del 1989. Apprezzabile l’interpretazione canora di Mahmood che presta la voce a Sebastian. La qualità della grafica non è stata accolta con un giudizio unanime dalla critica. La prima parte ambientata in fondo al mare mostra purtroppo una fotografia forse troppo scura. Molte delle scene ambientate nel mondo in superficie sono state invece riprese in Sardegna i cui panorami offrono – inutile dirlo – vedute e location mozzafiato.

Nella trama sono stati aggiunti dei dettagli che correggono in maniera ligia alcune lacune presenti nel film d’animazione. Ad esempio il fatto che l’Ariel del 1989 non cerchi mai di comunicare con il principe scrivendo, nonostante abbia sigillato il patto con Ursula firmando un contratto (pertanto si presuppone che la ragazza sappia leggere e scrivere). Fiore all’occhiello della nuova narrazione è sicuramente il maggiore spazio concesso nella storia a Eric. Nella vecchia versione Disney il principe appariva, infatti, un personaggio abbastanza passivo. A lottare per l’amore e il lieto fine era soprattutto Ariel, disposta a tutto per il suo amato. Del resto si tratta dell’aspetto di frequente più criticato della fiaba.

Ariel è una principessa ribelle, una figlia che disubbidisce coraggiosamente al padre per rivendicare la propria indipendenza e seguire il cuore. Dall’altra parte è ancora animata dall’incoscienza della giovinezza e nel cartone animato investe nell’amore più di quanto faccia obiettivamente Eric. Questo squilibrio non è mai stato giudicato con occhio benevolo, etichettato addirittura come un modello di relazione romantica impari e non sana. Questa volta, invece, Eric cessa di essere una sorta di soprammobile. Compaiono addirittura scene in cui canta innamorato di Ariel prima ancora di conoscerla adeguatamente di persona. Il personaggio acquista maggiore spessore psicologica. I due giovani poi si avvicinano a piccoli passi grazie alla passione in comune per il collezionismo. Insomma, “La sirenetta” così non racconta più unicamente la storia di Ariel che lotta per il suo amore. Diventa finalmente il racconto di due giovani che lottano insieme per il loro amore


Recensione di Valentina Mazzella, pubblicata sul Napolisera.it in data 18 giugno 2023.


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lunedì 15 maggio 2023

"Lazarus”: da Broadway al Teatro Mercadante l’ultimo musical di David Bowie, oggi in scena con Manuel Agnelli


RECENSIONE – Eccentrico, abissale, sublime. Il musical “Lazarus” è in scena al Teatro Mercadante di Napoli fino a domenica 14 maggio. La magistrale regia di Valter Malosti ci regala l’opera ideata da David Bowie e dal commediografo irlandese Enda Walsh, a sua volta ispirata a “The Man Who Fell to Earth” (“L’Uomo Che Cadde Sulla Terra”) di Walter Tevis. “Lazarus” calcò il palco per la prima volta il 7 dicembre 2015 presso il New York Theatre Workshop di Manhattan.

In quell’occasione David Bowie è anche apparso per l’ultima volta in pubblico, prima di spegnersi poco dopo il 10 gennaio del 2016. All’epoca l’artista era già provato dalla malattia. Tuttavia decise ugualmente di offrire al pubblico un’eccellente performance in un capolavoro di teatro e musica più volte etichettato come “il suo testamento creativo”.


Il ruolo un tempo rivestito da David Bowie è oggi egregiamente interpretato dall’iconico Manuel Agnelli. Malosti ha, infatti, dichiarato in delle interviste di aver desiderato sul palcoscenico non un attore che cantasse, ma a tutti gli effetti un cantante che si prestasse anche alla recitazione. Con Agnelli abbiamo nel cast Casadilego (dalla nota trasmissione “X-Factor”), Michela Lucenti, Dario Battaglia, Attilio Caffarena, Maurizio Camilli, Noemi Grasso, Maria Lombardo, Giulia Mazzarino, Camilla Nigro e Isacco Venturini.

Lo spettacolo è arricchito da alcuni dei pezzi musicali più celebri di Bowie e da quattro componimenti inediti scritti di proposito, tra cui il brano che battezza lo spettacolo. Il tutto eseguito da una notevole band composta da Laura Agnusdei (sax tenore e sax baritono), Jacopo Battaglia (batteria), Ramon Moro (tromba e flicorno), Amedeo Perri (tastiere e synth), Giacomo “ROST” Rossetti (basso), Stefano Pilia (chitarra) e Paolo Spaccamonti (chitarra).


A distanza di cinquant’anni, Bowie spolverava la storia del romanzo originale di Walter Tevis. Raccontava la vicenda visionaria di un alieno, Newton, intrappolato sulla Terra dove non riesce né a invecchiare e né a morire. Un’opportunità per l’artista per trattare tematiche a lui care come l’invecchiamento, il dolore, l’isolamento e la perdita dell’amore. “Lazarus” è, insomma, un musical che ha attraversato l’oceano. È partito da Broadway per arrivare a Napoli carico di tutta la sua energia e della potenza espressiva che gli spettatori hanno accolto con forti applausi.




Recensione di Valentina Mazzella, pubblicata sul Napolisera.it in data 11 maggio 2023.


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venerdì 12 maggio 2023

Teatro Mercadante, “Misericordia” di Emma Dante: una fiaba moderna sulla maternità


RECENSIONEUna fiaba moderna. Una storia che commuove profondamente. “Misericordia”, scritto e diretto da Emma Dante, è in scena al Teatro Mercadante di Napoli dal 19 al 30 aprile. Lo spettacolo racconta il degrado e la miseria umana, eppure è una narrazione delicata ricca e di sentimenti. Sul palco recita un cast composto da quattro volti: Italia Carroccio, Manuela Lo Sicco, Leonarda Saffi e Simone Zambelli. Quattro talenti che, in un solo atto, fanno sorridere ed emozionare il pubblico.

La trama racconta di tre puttane che crescono come un figlio un ragazzo menomato e ipercinetico, Arturo. La madre biologica si chiamava Lucia ed era loro coinquilina nel monolocale lurido in cui vivono tra gli stenti. Lucia muore vittima di violenze domestiche. Il padre era un uomo aggressivo che non desiderava diventare genitore. Arturo cresce così accudito da tre mamme che parlano pugliese e siciliano. Tre donne fragili con i loro rimpianti e il proprio sconforto.

“Misericordia” si rivela un’occasione per riflettere sulla maternità, tema caro all’autrice Emma Dante per sue vicissitudini di vita. La sceneggiatura non nasconde di aver tratto ispirazione da “Pinocchio” di Carlo Collodi. Cita apertamente il classico della letteratura attraverso le musiche, il parallelo tra Arturo e l’incorreggibile burattino di legno e il soprannome “Geppetto” con cui viene indicato il padre biologico. Il finale apre il cuore e viene accolto dagli spettatori con gli occhi lucidi e uno scroscio di applausi sentiti.




Recensione di Valentina Mazzella, pubblicata sul Napolisera.it in data 26 aprile 2023.


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martedì 2 maggio 2023

“Mare Fuori 3”: perché Ciro piace tanto alle fan?


SERIE TV – Nel suo essere allo stesso tempo un teen-drama e un prison-drama, la serieTV “Mare Fuori” ha riscosso i migliori ascolti soprattutto tra gli adolescenti. In particolar modo tra le ragazze i cui cuori sono stati letteralmente affascinati dagli attori più giovani del cast. Fin qui nulla di strano. Del resto è una dinamica comune e vecchia quanto il mondo del cinema che fin dalle origini ha sfruttato la popolarità di innumerevoli volti dello star-system per incrementare il numero degli spettatori.

Nel caso di “Mare Fuori” uno dei personaggi più quotati tra le spettatrici è sicuramente quello di Ciro Ricci, interpretato dal talentuoso Giacomo Giorgio (classe 1998). A tal punto che, sebbene nella sceneggiatura sia morto al termine della prima stagione, Ciro continua a comparire anche nella seconda e nella terza attraverso una serie di ricordi e flashbackProprio perché gli autori sono perfettamente consapevole del fascino che il suo personaggio esercita sul pubblico. Anzi, se fosse possibile tornare indietro nel tempo, probabilmente gli stessi sceglierebbero di non farlo morire.


Quando la scelta narrativa fu presa, infatti, la serie era stata scritta “a scatola chiusa”. Gli sceneggiatori non potevano immaginare le reazioni degli spettatori, quale protagonista sarebbe stato più oppure meno apprezzato. Nessuno di loro si sarebbe aspettato che addirittura molte adolescenti sperassero in un ritorno in vita di Ciro, in pieno stile “Beautiful”. Lo dimostrano le molteplici teorie formulate sul web circa i famosi “due minuti” inesistenti che in tantissime speravano venissero trasmessi al termine dell’ultimo episodio trasmesso su RaiDue lo scorso mercoledì.

Premettiamo che un’eventuale scelta simile renderebbe la narrazione inverosimile e ridicola. Per “Mare Fuori” rappresenterebbe un grosso “salto dello squalo”. La serie perderebbe tantissimi punti in termini di credibilità e coerenza circa le sue intenzioni e il messaggio di riscatto a cui è devota. Il decesso di Ciro, infatti, è stato inequivocabile ed emblematico. Sorge per tanto un quesito grosso quanto tutto l’isolotto di Nisida: perché questo personaggio è così apprezzato? Accade forse per “il fascino del cattivo”? È di certo uno dei più grandi misteri di “Mare Fuori”.

Diamo naturalmente per scontato – in buona fede – che le adolescenti impazziscano propriamente per Giacomo Giorgio e non per il personaggio in sé che interpreta. Nella fiction, infatti, Ciro rappresenta uno dei detenuti dell’IPM di Napoli, ma non uno qualsiasi. Non è un ragazzetto che si è lasciato trascinare dagli eventi. È il figlio del capo di un clan della camorra che a sua volta aspira a diventare boss. E nelle dinamiche di bullismo, violenza e prevaricazione all’interno del carcere effettivamente già ne ricalca diversi aspetti, con tanto di scagnozzi al seguito.

Ovviamente possiamo riflettere su quanto sia stato un ragazzo vittima del contesto socio-culturale sbagliato in cui è nato. Su quanto le sue scelte di criminalità siano dettate dal mondo disfunzionale di illegalità e delinquenza in cui è cresciuto. Resta tuttavia il fatto che di per sé Ciro rappresenti nella serie un antagonista. Per lui si può a un certo punto provare compassione, ma non ammirazione. Emergono pertanto molti dubbi sulle capacità di analisi delle tante fan che desiderano un ritorno in vita di Ciro. Come se non si cogliesse il vero significato del prodotto.


Anche il personaggio di Edoardo Conte (Matteo Paolillo) incarna quello di un antagonista se rapportato a Carmine Di Salvo (Massimiliano Caiazzo). Da un lato Carmine che desidera “uscire dal sistema “. Dall’altro appunto Edoardo, amico di Ciro che ne raccoglie l’eredità. Eppure il percorso di quest’ultimo è sicuramente più altalenante. La sua figura è stata fortemente romanticizzata attraverso la relazione d’amore con Teresa (Ludovica Coscione)Nel corso delle tre stagioni ci sono stati degli alti e bassi che addirittura fanno riporre la speranza in una remota possibilità che in futuro Edoardo comprenda i suoi errori e si riscatti. Alla luce di ciò lo charme esercitato da lui sul pubblico appare più plausibile. Al contrario, nei vari episodi, non c’è stato un eguale approfondimento psicologico di una presunta sensibilità di Ciro in un’ottica che non sia da “guappo”Per questo la devozione nei suoi confronti resta un bel dilemma da grattarsi il capo.


Articolo di Valentina Mazzella, pubblicato sul Napolisera.it in data 28 marzo 2023.

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martedì 18 aprile 2023

"Mare Fuori 3”, elogio a Cardiotrap e al suo messaggio contro l’amore possessivo


NAPOLI – “È un’anima innocente che lotta per il bene mettendo al primo posto sempre l’altro”: sono le parole spese dall’attore partenopeo Domenico Cuomo per descrivere Cardiotrap, il personaggio di cui veste i panni nella serieTV di successo “Mare Fuori 3”. Il giovane interprete (19 anni) l’ha dichiarato durante un’intervista condotta dal QuotidianoNazionale il mese scorso. Cuomo è originario della provincia di Napoli e ha già lavorato in altre produzioni note al grande pubblico come “Gomorra La serie 3”, “L’amica geniale”, “Catch 22” di George Clooney e “Il Commissario Ricciardi”.

Raccontare la profondità di Gianni Cardiotrap non è banale. Nella pluralità delle storie raccontate in “Mare Fuori” da tre stagioni, sicuramente ogni detenuto ha una sua peculiare complessità. Nessun personaggio appare piatto e bidimensionale. Alle spalle c’è quasi sempre un trascorso che apre la finestra su una zona grigia che denuncia la fragilità e l’umanità dell’individuo. Quella stessa umanità su cui il penitenziario minorile desidera investire per inseguire il riscatto di tante giovani vite. Eppure, tra i tanti protagonisti, senz’altro Cardiotrap è il personaggio più puro. È una personalità sensibile, vittima di un sistema e delle dinamiche sociali di un contesto sociale disfunzionale con cui non desidera allinearsi.

In tre stagioni impariamo a conoscerlo progressivamente meglio. È un adolescente finito in prigione inizialmente a causa di un episodio di criminalità di cui ha compreso l’errore. Un episodio ingigantito dalle circostanze sfortunate che gli sono costate una pena più dura. In realtà è un ragazzo che proviene da una situazione familiare di disagio in cui la madre è purtroppo vittima di frequenti violenze domestiche. Episodio dopo episodio, apprendiamo la sua grande passione per la musica. Ama scrivere e comporre canzoni. È per questo che Gianni viene chiamato da tutti Cardiotrap. Il suo personaggio spesso strizza l’occhio alla figura di Liberato, il noto cantautore napoletano dall’identità segreta. Non è casuale: in passato a lungo si è vociferato che si trattasse proprio di un detenuto dell‘IPM di Nisida. Nella fiction la musica simboleggia per Gianni un’ancora di salvezza, quella per continuare a sognare un futuro diverso, migliore. Fuori dal carcere.

Cardiotrap è un personaggio che nel tempo matura. Soprattutto è un ragazzo che riconosce grande valore all’amicizia, alla giustizia, all’onestà e in particolare all’amore. All’amore vero, quello sano che desidera il bene e il benessere della persona amata. Un amore che non ammette violenza, possesso ed egoismo. Ciò emerge dalla storia romantica che il suo personaggio intreccia con Gemma (interpretata da Serena Codato), una detenuta a lungo vittima degli abusi di un fidanzato violento e stalker. I discorsi di Cardiotrap spesso si contrappongono a quelli di Pino (Artem Tkachuck), il cui personaggio propone un adolescente non cattivo, ma sicuramente più immaturo sotto molteplici aspetti. Pino è meno riflessivo, accecato da una gelosia opprimente che lo spinge ad assumere spesso atteggiamenti da attaccabrighe.

Cardiotrap non concepisce gabbie per l’amore. Ripudia le dinamiche nocive frequenti spesso nei primi amori più acerbi e in alcuni infelici rapporti disfunzionali in età adulta. In una serieTV seguita da tantissimi spettatori giovanissimi, Gianni diventa un punto di riferimento estremamente funzionale per educare il pubblico alla ricerca di relazioni improntate sul rispetto, sulla fiducia, sul sostegno reciproco, l’equità e una buona comunicazione. Impersona un ragazzo di coscienza, contrario alla logica della violenza e della prevaricazione. Un’anima candida che in un mondo disonesto incassa moltissimi colpi sleali, ma continua a scegliere l’onestà. Un personaggio che si spera possa diventare esempio e ispirare il pubblico per una realtà più empatica, votata alla vera giustizia e agli affetti più genuini e sani. 


Recensione di Valentina Mazzella, pubblicata sul Napolisera.it in data 21 marzo 2023.

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domenica 16 aprile 2023

"Mare Fuori 3”: dalla criminalità al riscatto la tortuosa strada della speranza


RECENSIONE – Anche in questa terza stagione il mare si conferma indiscusso protagonista della serieTV “Mare Fuori”. L’incantevole mare delle panoramiche del Golfo di Napoli. Lo stesso che bagna le sponde dell’isolotto di Nisida. Ma qual è il suo significato? Naturalmente nella fiction non si parla banalmente di acque salate. Il mare simboleggia la redenzione. La speranza di un futuro alternativo e migliore per i giovani dell’Istituto Penale Minorile di Napoli in cui sono detenuti ragazzi e ragazze che hanno commesso dei reati prima del raggiungimento della maggiore età.

Dopo le prime due stagioni di grandissimo successo, le aspettative circa “Mare Fuori 3” erano altissime. Fortunatamente non sono state deluse. Il risultato non era scontato. Oggi parliamo già di una serie cult nel suo genere. Ciò è stato possibile grazie all’eccezionale regia di Ivan Silvestrini e alle sceneggiature di Cristiana Farina (ideatrice) e Maurizio Careddu. Trasmessa nelle ultime sei settimane con doppio appuntamento il mercoledì su RaiDue, in realtà “Mare Fuori” è stata già distribuita per intera su RaiPlay dal 1° febbraio 2023. Nonostante l’esorbitante numero di visualizzazioni in streaming, il pubblico ha avuto piacere nel riguardare i dodici episodi anche in TV.

La serie è stata prodotta, come negli anni precedenti, da Rai Fiction e Picomedia. Di recente è stata inoltre acquistata per la distribuzione da Netflix: era un piatto troppo ghiotto per lasciarlo raffreddare sul davanzale. “Mare Fuori” è stata, infatti, trasmessa e molto apprezzata anche all’estero. Precisamente in oltre venti Paesi, alcuni dei quali hanno addirittura avanzato la richiesta per l’acquisto dei diritti perché avrebbero piacere a realizzarne dei remake ambientati nei loro territori. In Italia, invece, gli autori sembrano confermare i lavori almeno fino alla sesta stagione.

Con l’ingresso in campo di Netflix, in tutta sincerità aleggiava il timore che la vorace società statunitense potesse in qualche modo influenzare più del dovuto la produzione della serie. Non è un mistero che i prodotti della sua piattaforma siano spesso omologati. Più incentrati sulla fruibilità che sulla qualità cinematografica in sé. Tutto sommato “Mare Fuori 3”, invece, conserva perfettamente la propria identità filmica e narrativa. Fanno forse eccezione alcuni aspetti e dettagli, utili per rendere la serie allineata con i tempi e più vendibile in termini di immagine ed eventuale merchandising.

Da tre stagioni la serie viene accompagnata da uno stigma. In tantissimi – nove casi su dieci senza averla seguita – associano “Mare Fuori” al panorama narrativo di “Gomorra – La serie”, accusando la fiction di infangare la reputazione di Napoli. In realtà è vero che nelle sue trame non siano mai mancate scene di scippi, spaccio, furti e vera criminalità organizzata. Tuttavia non cavalca l’esaltazione della violenza e della delinquenza. Invita il pubblico a un’attenta analisi sociologica delle dinamiche criminali del tessuto camorristico e del pessimo codice non scritto da cui esse derivano. Sprona gli spettatori a un continuo esercizio di empatia nei confronti dei personaggi, ciascuno con una personale complessità. 

Nelle precedenti stagioni la molteplicità di storie raccontate approfondivano diverse tematiche: la violenza domestica in famiglia, lo stalking e il femminicidio, la tossicodipendenza, l’abuso sessuale e la consapevolezza del consenso. Di base, trattandosi per diversi aspetti, di un teen-drama la sceneggiatura tratta i conflitti genitori-figli, le disparità sociali ed economiche, la discriminazione etnica, le prime cotte e i primi amori, i sogni infranti, la maternità, la pedagogia, il valore della famiglia e dell’amicizia. Tutti argomenti universali. “Mare Fuori” non disdegna nemmeno storylines con protagonisti adulti diventando così un format godibile a qualsiasi età.

Siamo di fronte a un’opera di alto impatto emotivo. Sicuramente non privo di strafalcioni, ma che è capace a modo suo di lasciarsi perdonare. In questa stagione in particolare, ad esempio, i primi sei episodi sono stati “esasperanti”. Va ammesso. La serie avvertiva l’esigenza di forti scossoni. Scossoni necessari, dal punto di vista narrativo, a innalzare il livello critico di certe situazioni in modo che più dolente fosse la caduta – metaforica – dei personaggi. La prima metà di “Mare Fuori 3”, sì, ha moltissimo estremizzato circostanze, atteggiamenti e soluzione in chiave malavitosa. Ahinoi, “in stile Gomorra. Molta violenza e criminalità gratuita, trame marginali più povere e trascurate. Espedienti narrativi e risvolti alle volte poco verosimili, poco credibili. Alcuni inseriti quasi “per allungare il brodo”.

Dall’ottavo episodio in poi si registra un nuovo decollo. La serie torna in carreggiata sui suoi binari. In una visione più vasta lo spettatore comprende. C’era il bisogno di rimescolare le carte. Molti personaggi escono inaspettatamente di scena. Alcuni con un lieto fine, altri con una tragedia. Tutti però dovevano concludere un percorso. Del resto nessuno dei detenuti è un ergastolano. Allo stesso tempo c’era l’esigenza, soprattutto in vista delle prossime stagioni, di introdurre nuovi volti con spunti tematici diversi. Anche solo per evitare “l’effetto minestra riscaldata”.

Per scrivere i soggetti gli autori non hanno disdegnato attingere anche dai classici sempreverdi, un po’ come la storia d’amore tra Carmine Di Salvo (Massimiliano Caiazzo) e Rosa Ricci (Maria Esposito) che interpretano quasi Romeo e Giulietta in una versione Nisida 2.O. Figli di clan avversari, sembra che il loro sentimento non possa essere vissuto in tranquillità. E con questo e altri dubbi, “Mare Fuori 3” ha salutato il pubblico con un finale col botto. Una conclusione aperta che regala suspence e la formulazione di innumerevoli teorie.

Cavallo di battaglia della serie è – innegabile – il settore musicale. Non soltanto l’incredibile sigla di apertura “Mare Fuori” (feat Icaro, Lolloflow, Raiz), ma anche le altre musiche curate da Stefano Lentini. A questo giro si è aggiunta una nuova hit: “Origami all’alba” di Matteo Paolillo – Icaro, Lolloflow, CLARA.

E poi c’è l’impeccabile cast. Il pubblico letteralmente adora i più giovani Nicolas Maupas, Valentina Romani, Matteo Paolillo, Artem, Massimiliano Caiazzo, Giuseppe Pirozzi, Giovanna Sannino, Maria Esposito, Clotilde Esposito e Giacomo Giorgio. Abbiamo poi Vincenzo Ferrera, Agostino Chiummariello, la tenerissima Anna Ammirati, Pia Lanciotti e Raiz. Dulcis in fundo Carolina Crescentini, Carmine Recano, Antonio De Matteo e Lucrezia Guidone. Degna di menzione addirittura la breve comparsa di Chiara Iezzi (del mitico duo Paola e Chiara) nel ruolo della madre di Giulia/CrazyJ (Clara Soccini).

“Mare Fuori 3″ è diventato così, in poco tempo, un fenomeno virale. Ciascun personaggio ha il suo approfondimento. Nessuno è in bianco e nero. E per gli aspetti positivi e i barlumi di umanità ogni protagonista riesce a farsi amare. Perché è in quella fessura che può fiorire la salvezza, la possibilità di una redenzione. Quella riflessa dal mare. E quando non è possibile guardare il mare dalla finestra, allora l’importante è portarlo almeno dentro.



Recensione di Valentina Mazzella, pubblicata sul Napolisera.it in data 22 marzo 2023.


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giovedì 23 marzo 2023

Teatro Mercadante, “Il giardino dei ciliegi” di Anton Čechov in scena con la regia di Rosario Lisma

 


RECENSIONE – “Il giardino dei ciliegi” di Anton Čechov è in scena al Teatro Mercadante di Napoli fino a domenica 19 marzo 2023. Ne firma l’adattamento e la regia, curati in maniera creativa, Rosario Lisma. La commedia a suo tempo fu l’ultima opera teatrale dell’autore russo prima di morire per tubercolosi nel 1904. La trama trae spunto da alcune vicende biografiche che colpirono Čechov da vicino nella prima giovinezza, lasciando in modo evidente un segno.

Racconta la storia di una famiglia di possidenti costretta a mettere all’asta e poi a lasciare la casa per l’impossibilità di pagare l’ipoteca sulla proprietà. Una bella tenuta affiancata da un meraviglioso giardino di ciliegi (di amareni in lingua originale) che Lopachin, un arricchito discendente di contadini, desidera disboscare per far spazio alla costruzione di una schiera di villette per villeggianti.

Il cast è ridotto a sei personaggi interpretati egregiamente da Milvia Marigliano, Rosario Lisma, Giovanni Franzoni, Eleonora Giovanardi, Tano Mongelli e Dalila Rea. Si aggiunge fuoricampo la voce di Roberto Herlitzka. In particolare Milvia Marigliano ci regala una Ljuba eccelsa: infantile e immatura al punto giusto da lasciarsi trascinare dalle emozioni forti, dall’amore e dalla nostalgia.

Non è forse un caso che gli oggetti della scenografia conservata più a lungo siano esattamente quelli giganti di una camera per bambini. Bastano un armadio, un grande orsacchiotto e dei grossi dadi a rievocare l’innocenza di un passato felice che non c’è più.


“Il giardino dei ciliegi” tratta temi che erano di grande attualità nella Russia a cavallo tra XIX e XX secoloNel 1861 era stata abolito il sistema feudale e questo comportò lo sviluppo di nuove dinamiche economiche e sociali. Da un lato il declino dell’aristocrazia, incapace di conservare i propri privilegi senza più i servi della gleba. Dall’altra l’ascesa avida, determinata e alle volte sleale della nuova borghesia, disposta a tutto per inseguire il proprio riscatto sociale.

Rosario Lisma, però, evidenzia nell’opera anche dell’altro: la contrapposizione tra le generazioni. Gli adulti si lasciano maggiormente travolgere dalla nostalgia dei ricordi, ma i giovani no. La figlia più piccola di Ljuba, Anja, rappresenta la giovinezza e l’entusiasmo con cui custodisce la speranza nell’immaginare il futuro come una nuova avventura. Ed è proprio questo il tasto che rende la commedia ancora intensa da apprezzare oggi e in ogni epoca.


Recensione di Valentina Mazzella, pubblicata sul Napolisera.it in data 18 marzo 2023.

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