RECENSIONE - C'è una ragione molto semplice per cui si è diffuso l'uso dell'aggettivo "kafkiano" anche per descrivere situazioni non pertinenti al celeberrimo scrittore di Praga: se ne avvertiva un'esigenza viscerale. Per commentare un'opera di Franz Kafka si possono usare svariate parole, ma si ha sempre l'impressione che nessuna ne descriva a dovere lo spessore. Perché, banalmente, Kafka è Kafka e i suoi scritti sono kafkiani in ogni loro sillaba o virgola che sia. Il romanzo incompiuto "Il processo" non è da meno. Racconta la storia di un impiegato di banca, un certo Joseph K., che una mattina scopre di essere in arresto per un reato la cui natura non gli verrà mai rivelata. Così, libero di condurre la propria vita, attraverserà capitolo dopo capitolo un calvario fra avvocati e convocazioni in tribunale in attesa di un processo che mai avrà luogo.
Si tratta di una lettura claustrofobica e asfissiante come il labirinto di corridoi della cancelleria in cui Joseph K. si aggira affranto. Surreale e paradossale come la situazione e i dialoghi che ci vengono proposti con uno stile scorrevole e lineare. È facile empatizzare con il protagonista e avvertirne sulla pelle l'angoscia e il disagio crescenti nell'affrontare un incubo. Non si riesce a non cercare di dare un senso all'assurdo e si finisce con l'interrogarsi: di cosa sta veramente scrivendo Kafka? Cosa si cela dietro le atmosfere grottescamente oniriche di questo libro? Si tratta unicamente di una critica all'inefficienza di certi uffici burocratici e del sistema giudiziario?
Il suo amico Max Brod azzardava a leggerci una seconda interpretazione, quella che orienta lo sguardo a una Giustizia divina e a un Dio distante dall'uomo. Non è tuttavia da escludere neanche la possibilità che l'alienazione di Joseph K. rappresenti la sgradevole sensazione che ognuno di noi almeno una volta ha sperimentato nell'affrontare le difficoltà della vita quotidiana, come se stessimo subendo una punizione senza conoscerne la ragione. In fondo è proprio qui che risiede la grandezza del genio di Kafka: la capacità di dare la luce a storie che racchiudano in sé una vasta complessità di prospettive. Un groviglio tale che non si può neanche avere la presunzione di riuscire a coglierne davvero tutte le sfumature in maniera adeguata. Oggi possiamo solo ringraziare Max Brod per il dono che ha fatto alla letteratura mondiale rendendo possibile la pubblicazione di questo capolavoro incompiuto. Non ci interessa nemmeno che l'opera non abbia un finale perché in un certo senso anche la sua stessa incompiutezza contribuisce a sottolineare l'essenza indefinita del romanzo e della vita di ogni uomo.
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