mercoledì 31 luglio 2019

"Blu" di Sergio Bambarén: mare, ottimismo e noia



RECENSIONE - Mi era stato a lungo più volte consigliato con entusiasmo da mia madre e, incoraggiata anche dalla fama che acclama lo scrittore, alla fine l'ho fatto: ho letto "Blu - Una storia di vita e di mare" di Sergio Bambarén, il noto autore de "Il Delfino". L'ho letto e purtroppo mi ha delusa. Anche per questo preferisco scrivere in merito una recensione un po' più informale. Il racconto è breve e scritto bene. Si legge in poche ore, anche con la testa altrove. Il ritmo assai scorrevole è farina dell'autore, ma sicuramente merito anche della traduzione curata da Marina Marini nell'edizione Mondolibri in mio possesso. 

Le immagini di Tobago, dei paesaggi naturali, degli ipnotici fondali marini e delle misteriose creature che vi abitano prendono forma nella mente del lettore in maniera nitida parola dopo parola. Il libro è una raccolta di ricordi e riflessioni su luoghi, persone e incredibili coincidenze in cui Bambarén si imbatte di volta in volta giunto in Venezuela per staccare la spina. È il diario di una vacanza che si rivela essere un viaggio dentro se stessi, un viaggio che chi legge scopre di poter far accanto allo scrittore grazie al suo inchiostro.



E allora cos'è che non mi ha soddisfatta? L'estenuante ottimismo di Bambarén in ogni singola frase, la morale positiva dietro ogni angolo e ogni sasso, il buonumore a tutti i costi... Non c'è pathos, non c'è suspense, non c'è crisi, non c'è inquietudine, non ci sono problemi da superare o colpi di scena a ravvivare la vicenda... Fondamentalmente perché non si tratta proprio di un romanzo che si propone questo taglio. Non ha fra le sue aspettative e le sue intenzioni quella di creare tensione nel lettore. Tutto il panigirico su quanto meravigliosa e ricca di sorprese la vita possa essere non è, almeno nel percorso del libro, una verità acquisita dopo un travaglio. Nessun cielo sereno dopo la tempesta. Solo tanta tanta tanta fiducia gratuita nel mondo, nella gente e nella vita. Gratuita. Messaggio che io assolutamente condivido in prima persona. 

Tuttavia abbandonato in questo modo sulla carta - fra una bella descrizione del mare e l'altra - perde, almeno per i miei personali gusti, attrattiva. Diventa un piccolo cumulo di frasi scontate che, per quanto vere e belle possano essere, ci si annoia a leggere. In conclusione quanto recrimino a Bambarén è la banalità con cui ha confezionato la storia. La lettura di questo romanzo è davvero un po' come un'immersione a diversi metri di profondità: scopri retroscena bellissimi, eppure dopo un po' ti manca l'ossigeno. Per la noia...

Di Valentina Mazzella


Copyright © 2019 L'albero di limonate by Valentina Mazzella. All rights reserved

sabato 20 luglio 2019

"Spider-Man: Far from home": Bimbo-Ragno passa per Venezia

             

RECENSIONE - "Casa dolce casa" si dice, eppure nel suo ultimo film il nostro amichevole Spider-Man di quartiere dimostra di sapersela cavare egregiamente anche dall'altra parte del mondo. Bimbo-Ragno attraversa l'oceano Atlantico per un semplice viaggio scolastico e si ritrova ad affrontare minacce, a combinare come al solito guai e a compiere grandi imprese in varie città europee. Questa è stata la prima sfida accettata "Spider-Man: Far from home" di Jon Watts: portare il nostro supereroe lontano dalla sua abituale comfort-zone del Queens.

E già a questo punto si lasci affermare che sensazionali sono in particolar modo le sequenze girate a Venezia. Dimostrazione lampante del fatto che, se mai in Italia decidessimo di investire seriamente grandi budget nel cinecomics, le nostre location non avrebbero nulla da invidiare alle scenografie americane per le storie di supereroi! Altro che grigi grattacieli newyorchesi... Vedere gli effetti speciali applicati ai canali di Venezia con le possibilità dell'architettura tricolore e delle nostre peculiarità è stato spettacolare! D'altronde lo sa bene, ad esempio, Gabriele Mainetti che nel 2015 ambientò "Lo chiamavano Jeeg Robot" nell'italianissima Roma con tanto di eroe in cima al Colosseo. Un po' più scettico Gabriele Salvatores che per "Il ragazzo invisibile" a suo tempo in un dibattito al Napoli COMICON ammise di aver scelto Trieste come sfondo perché "visivamente la meno italiana delle città in Italia". Pertanto la fantastica fotografia di "Spider-Man: Far from home", inconsapevolmente, offre anche una piccola riflessione anche per il nostro panorama cinematografico.


Per il resto tante cose bollono in pentola in questo episodio della saga. C'erano tante spiegazioni da rendere al pubblico dopo "Avengers: Endgame" e non è per nulla di poco peso la proposta di un Peter Parker chiamato a raccogliere l'eredità di Iron-Man. Fra l'altro la presenza del fantasma di Tony Stark si respira per tutti i centodieci minuti di proiezione. Quindi siamo di fronte a una trama ricca, ma ben costruita con situazioni e dialoghi spesso esilaranti. Una sceneggiatura che mira a decostruire abbastanza l'immaginario classico che il personaggio di Spider-Man ha avuto per settant'anni per reinventarne uno un po' più fresco. Si pensi ad esempio alla giovane età della zia May e alla totale assenza dello zio Ben.

Tuttavia ciò che resta inalterato è lo spirito e la psicologia di un ragazzo normale alle prese con responsabilità apparentemente più grandi di lui. Comune infatti è la quotidianità condotta da Peter, interpretato da Tom Holland ancora una volta egregiamente. Non a caso il film non si preclude spezzoni da commedia amorosa-adolescenziale oltre alle obbligate scene d'azione da mitologia Marvel. Il tutto senza risultare smielato, strappando sempre una risata dei presenti in sala. Anche la netta divisione fra buoni e cattivi, non troppo originale, non disturba. Il finale lascia i giusti elementi per creare suspense e accattivare la fiducia nei prossimi episodi che attendiamo con trepidazione.

Di Valentina Mazzella, pubblicato sul Napolisera.it in data 20 luglio 2019.

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