venerdì 25 ottobre 2019

"La Tempesta": lo Shakespeare pirandelliano di Luca De Fusco al Teatro Mercadante


RECENSIONE – La stagione del Teatro Mercadante di Napoli quest’anno si è aperta in grande stile con la rappresentazione de “La tempesta” di Shakespeare. Con la zelante regia di Luca De Fusco lo spettacolo sarà in scena fino al 10 novembre, proponendo al pubblico un capolavoro del XVII secolo con il giusto pizzico di Novecento che ne ravviva il sapore senza tradirlo.
Sul palcoscenico ammiriamo un profondo Shakespeare pirandelliano con cui vengono rievocati immagini e miti del mondo più squisitamente moderno. Il protagonista Prospero viene presentato come una sorta di burattinaio che tira con la sua magia i fili dei destini di tutti i personaggi. I suoi poteri derivano dalla conoscenza e il suo antro da mago non a caso è una biblioteca. In una sorta di nuova Isola Che Non C’è, Prospero è scrittore delle vicende, nonché autore della tempesta che dà avvio al racconto.

                  

Egregia è la scenografia che mescola elementi fisici presenti sul palco con proiezioni finalizzate a intrecciare le arti del teatro e del cinema. I costumi di scena volutamente appartengono alle più disparate epoche e a diversi contesti. Non c'è stranezza nel vedere una coppia con indosso tenute da tennis ammirare una seducente Marilyn. Sublime l’interpretazione di Eros Pagni, quanto quella della magnifica Gaia Aprea del cui talento è impossibile non innamorarsi a ogni rappresentazione. In quest’occasione si è addirittura destreggiata fra due personaggi dalle sembianze maschili, Ariel e Calibano, che altro non sono che due facce di un’allegorica dualità. Lo spettatore viene così catapultato nel buio del teatro in una piccola preziosa esperienza di metateatro in cui tutto ciò che è ammirevole e meraviglioso come Miranda si contrappone a ciò che è losco e basso. Poi Prospero si rivolge alla platea per liberare con un applauso gli attori e l’ultimo grande incantesimo si spezza riportando i presenti alla realtà.

Di Valentina Mazzella, pubblicato sul Napolisera.it in data 25 ottobre 2019.

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lunedì 21 ottobre 2019

"La grande magia” di Eduardo De Filippo incanta il pubblico al Teatro San Ferdinando


RECENSIONE – «Ho voluto dire, che la vita è un giuoco, e questo giuoco ha bisogno di essere sorretto dall’illusione, la quale a sua volta deve essere alimentata dalla fede. Ed ho voluto dire che ogni destino è legato al filo di altri destini in un giuoco eterno: un gran giuoco del quale non ci è dato di scorgere se non particolari irrilevanti»: le parole dello stesso Eduardo sono più che mai indispensabili in questo occasione se si desidera cogliere al massimo quella che è un po’ la morale dello spettacolo “La grande magia”. L’opera tratta dal gruppo “Cantate dei giorni dispari” di De Filippo è in scena al Teatro San Ferdinando di Napoli fino al 10 novembre con la regia di Lluis Pasqual.
È la storia di un illusionista che durante un numero di magia fa sparire una signora del pubblico per aiutarla, dietro pagamento, a scappare con l’amante sotto al naso del marito estremamente geloso. Per evitare problemi il mago riuscirà a convincere il coniuge tradito a credere possibile che sua moglie si trovi in una scatola. Basterebbe aprirla per far ricomparire la donna, ma solo se si ha fiducia nella fedeltà di lei e fede nel giuoco. La decisione è ardua: meglio l’idea di una moglie fedele chiusa in una scatola che quella di una adultera che ci ha abbandonati?
La recitazione degli attori è notevole. Del resto il cast vanta nomi di valore come Nando Paone, Claudio Di Palma, Alessandra Borgia, Gino De Luca, Angela De Matteo, Gennaro Di Colandrea, Luca Iervolino, Ivana Maione, Francesco Procopio, Antonella Romano, Luciano Saltarelli e Giampiero Schiano. Le musiche sono eseguite dal vivo da Dolores Melodia e Raffaele Giglio che coinvolgono con maestria la platea. Suggestiva è invece la scenografia nelle scene del numero di prestigio durante le quali un gioco di specchi, luci e riflessi proietta lo spettatore in una dimensione irreale.
“La grande magia” è senz’altro un soggetto molto pirandelliano per le tematiche e l’ambientazione scelte. Non a caso nel ’48 non fu accolto con calore dal popolo che negli anni successivi alla guerra era affamato di storie di povertà e non tanto di intrighi della borghesia. Ciononostante resta una vicenda ancora oggi di grande attualità, in cui tutto è teso a riflettere sulla propensione dell’essere umano a preferire spesso le proprie convinzioni false a verità scomode che feriscono. È una commedia profonda, filosofica quanto basta, che rivela l’amarezza del rapporto fra illusione e realtà. 
Di Valentina Mazzella, pubblicato sul Napolisera.it in data 21 ottobre 2019.
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mercoledì 2 ottobre 2019

"Penelope alla guerra" e il diritto della donna di perdersi per mare come Ulisse


RECENSIONE - "Ma tu non sei Ulisse, sei Penelope. Lo vuoi capire, sì o no? Dovresti tessere la tela, non andare alla guerra. Lo vuoi capire, sì o no, che la donna non è un uomo?" sono le parole rivolte a Giovanna, la protagonista di "Penelope alla guerra", dal suo fidanzato. Le più esaustive probabilmente se si desidera intendere pienamente il titolo e il messaggio di fondo che attraversano il libro. Tuttavia il romanzo è sicuramente fra i meno ideologici di Oriana Fallaci, senza che ciò rappresenti un demerito. Semplicemente, rispetto ad altre sue opere, "Penelope alla guerra" si presta moltissimo a essere una lettura meno impegnativa, più creativa e ricreativa. Complice lo stile di scrittura anche un po' acerbo di una Fallaci molto giovane alla pubblicazione del suo primo romanzo di fantasia. Anche se la curiosità di sapere quanto di autobiografico fra le pagine ci sia difficilmente non seduce qualsiasi lettore affezionato alla scrittrice fiorentina.



Del resto Oriana Fallaci era una donna audace, cinica eppure romantica quanto Giò/Giovanna, personaggio che per molti potrebbe tranquillamente coincidere con la protagonista senza nome di "Lettere a un bambino mai nato", edito all'incirca dieci anni dopo. Sebbene sia stato pubblicato per la prima volta nel 1962, “Penelope alla guerra" si rivela una storia moderna per la schiettezza dei rapporti e le tematiche affrontate. Ci riportano negli anni Sessanta di tanto in tanto l'assenza dei cellulari e i riferimenti alla Seconda Guerra Mondiale necessari nel racconto dell'incontro di una Giò appena dodicenne con un americano, Richard. La storia raccontata è fondamentalmente una vicenda d'amore. Per la precisione un intreccio di vicende amorose che si lasciano leggere con coinvolgimento. Una giovane sceneggiatrice italiana viene inviata per due mesi a New York per trovare idee e scrivere un soggetto ambientato nella Grande Mela. Nonostante un fidanzato a Roma, qui Giò andrà alla ricerca di un fantasma, il soldato statunitense che durante la guerra si era nascosto in casa sua dai Tedeschi quando lei era poco più che una ragazzina. Riesce a scovarlo, a incontrare questo fantomatico Richard Baline, per anni creduto morto e che anni addietro con i suoi racconti era riuscito a farla innamorare del mito dell'America. Tra i due nasce una relazione, ma non tutto torna.


Se Giò appare in certe situazioni troppo testarda, affascinano la psicologia, la fragilità e i silenzi di Richard. A intervalli fanno sorridere le considerazioni di Martine, l'amica di Giò. Capitolo dopo capitolo, si ha voglia di sciogliere la matassa dei punti interrogativi in cui di volta in volta il lettore inciampa.
La "morale" della storia - se di morale è concesso parlare - è la delineazione di un profilo di donna che incarna il concetto di femminismo che Oriana Fallaci ha continuato a proporre senza remore fino alla fine. Un prototipo di donna che lei stessa ha incarnato: una donna che è forte non perché vuole essere uomo, come ingenuamente Giovanna ripete a più riprese. Una donna che è forte non perché può fare a meno dell'uomo e dell'amore. Una donna che è forte perché non ha bisogno di essere protetta e può permettersi di scoprire l'uomo nelle sue debolezze. Una donna che è forte perché resta donna e che nel suo restare donna decide di vivere. Decide di affrontare la vita. Una donna che è Penelope, non un Ulisse in gonnella. Sempre Penelope, ma al pari di Ulisse posa la tela e sceglie di andare alla ricerca di se stessa anche attraversando l'oceano.

Di Valentina Mazzella


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