RECENSIONE - "Noi invece è diverso […] perché io ho te che mi stai dietro, e tu hai me per star dietro a te": sono le parole semplici e rassicuranti ripetute a più riprese da George e Lennie, i due protagonisti del romanzo "Uomini e topi" di John Steinbeck. La storia è quella di due amici che attraversano la California degli anni Trenta prestando lavoro in diverse fattorie con lo scopo di racimolare abbastanza soldi e acquistare un giorno un ranch tutto loro. George e Lennie sono l'uno l'opposto dell'altro: il primo è fisicamente molto minuto, ma dotato di acume e scaltrezza. Il secondo, in antitesi al proprio cognome che è Small (un lampante esempio di ossimoro), è molto grosso e forzuto. Purtroppo però ha un ritardo mentale. Per questo motivo tocca a George occuparsi di Lennie, nonostante il peso e le grane che questa responsabilità spesso comporta.
Steinbeck, Premio Nobel per la Letteratura nel 1962, è stato un importante esponente della "Lost Generation", la generazione di scrittori statunitensi che intorno agli anni Venti annoverò fra le proprie file Ernest Hemingway, Francis Scott Fitzgerald, Henry Miller, Ezra Pound e altri autori. Pilastro portante del loro movimento letterario è la narrazione del celeberrimo "sogno americano" infranto e della disillusione di cui la società era impregnata nel primo dopoguerra. Sentimenti di rassegnazione e amarezza pertanto permeano anche le pagine di questo capolavoro. In "Uomini e topi" Steinbeck racconta ai lettori cosa siano il senso di alienazione, la solitudine, l'emarginazione, la discriminazione, l'ingiustizia sociale, l'impossibilità di cambiare la propria condizione. Lo fa attraverso la storia di un'amicizia molto tenera, destinata tuttavia anch'essa a soccombere in un mondo in cui anche solo sognare una realtà migliore appare sciocco agli occhi dei più cinici. Lo stile è sobrio e scorrevole; i dialoghi curati e schietti: insieme regalano una rappresentazione nitida delle situazioni in cui tutti i personaggi si muovono e agiscono in maniera quasi palpabile. Una prosa che tocca il cuore senza ricorrere a moralismi e toni melensi.
Ogni tentativo di riscattarsi da una vita di stenti si rivela invano e destinato inevitabilmente al naufragio. I sogni, le aspirazioni e le ambizioni sembrano le fantasie dei poveri illusi, di chi non ha sale in zucca e senso pratico. La disarmante ingenuità del grande e grosso stupido Lennie è struggente. La sua fiducia riposta nell'intelligente e astuto George così profonda che il lettore stesso forse gli affiderebbe la propria vita. Le tematiche affrontate da Steinbeck sono molteplici: c'è ad esempio Crooks, uno stalliere nero escluso da tutti nella fattoria in linea con la mentalità razzista diffusa ancora nell'America del Sud all'epoca della Grande Depressione. Un'esistenza di frustrazione e insoddisfazione quella della moglie del prepotente e spietato Curley, una donna che da giovane avrebbe desiderato diventare un'attrice del cinema e si ritrova invece nel presente a girovagare nel ranch del marito violento in cerca di attenzioni e qualcuno con cui relazionarsi. Descritta dagli uomini della fattoria come una poco di buono e "un'esca per la galera", la malinconia e la solitudine di questo personaggio passa quasi in sordina.
Di rilievo è il vecchio Candy, un anziano bracciante con una sola mano che ormai non può più lavorare come gli altri. Candy offre interessanti spunti di riflessione sulla concezione puramente utilitaristica di frequente ricorrente nel lavoro, nei rapporti umani e in altri ambiti. L'episodio in cui gli amici lo persuadono a un certo punto ad abbattere il suo fedele cane, perché ormai vecchio e puzzolente, è forse la vera chiave di lettura di tutto il romanzo. Del resto è emblematico il titolo dell'opera con cui probabilmente l'autore ha voluto rammentare al lettore come gli uomini e i topi siano legati dalla medesima condizione e dallo stesso incontrovertibile destino. Un po' come i topini che nelle prime pagine il povero Lennie ammazzava accidentalmente quando li infilava nelle tasche di nascosto solo per accarezzarli un po' col dito. Con le migliori internazioni, senza tuttavia esser capace di calibrare la forza delle sue manone.
Recensione di Valentina Mazzella
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