lunedì 18 aprile 2022

"Strappare lungo i bordi”: la serie animata di Zerocalcare da recuperare prima del COMICON


RECENSIONE – Divertente, riflessiva e soprattutto vera. Sono i tre aggettivi che descrivono al meglio “Strappare lungo i bordi”, la serie animata di Zerocalcare che ha riscosso molto successo da novembre 2021. Prodotta per la nota piattaforma di streaming Netflix, la storia rientra perfettamente nel genere della commedia drammatica. Racconta al pubblico le vicende di Zero con i suoi amici Sarah, Secco e Alice. Alterna la narrazione del presente a una serie di aneddoti del passato mostrati attraverso dei flashback. In sei episodi da una ventina di minuti l’uno, il protagonista riesce sempre a trovare un motivo per rimanere invischiato in un labirinto di paranoie. Paranoie e ragionamenti contorti che lo risucchiano come fossero delle sabbie mobili.

Il tutto grazie anche al continuo dialogo con il suo amico Armadillo, una sorta di Grillo Parlante cinico e sarcastico. Un amico immaginario, invisibile e inudibile per tutti meno che per ZeroArmadillo ha propriamente le sembianze antropomorfi dell’animale di cui porta il nome ed è la personificazione delle paure e delle insicurezze del protagonista. Si tratta di un personaggio già noto al pubblico di Zerocalcare perché compare in quasi tutte le strisce e i lavori dell’autore. Nel 2018 ha raggiunto il cinema con il film “La profezia dell’armadillo” di Emanuele Scaringi, la trasposizione dell’omonimo fumetto la cui trama condivide diversi punti in comune con “Strappare lungo i bordi”. 


Armadillo
 parla con uno spiccato accento romano ed è l’unico a cui presta la voce Valerio Mastandrea. Tutti gli altri personaggi sono doppiati, sempre con accento romano, dallo stesso Zerocalcare che scimmiotta voci diverse in maniera esilarante e con effetti acustici. Almeno fino all’ultimo episodio, quando avviene un cambio di rotta per esigenze narrative. Sicuramente la serie, da questo punto di vista, dà soddisfazione a coloro che hanno debole per il dialetto romano e per le espressioni in romanesco. Ci sono però anche altri molteplici motivi per recuperare “Strappare lungo i bordi” prima del Napoli COMICON che si terrà dal 22 al 25 aprile. Non solo perché è breve e godibile. Non solo perché Zerocalcare sarà presente alla fiera tra gli ospiti e sarebbe interessante non essere completamente a digiuno della sue opere.

Guardare “Strappare lungo i bordi” è innanzitutto un’esperienza per leggersi dentro e scoprire che alla fine la propria esperienza di vita spesso è una condizione comune a tantissimi. Nel corso della storia il protagonista Zero si abbandona a innumerevoli elucubrazioni in cui gli spettatori riescono a immedesimarsi e a riconoscersi. Riflessioni intime sul senso di inadeguatezza e di smarrimento, sulle paure e le ansie. Il protagonista condivide i problemi della sua quotidianità con Armadillo, specchio della sua coscienza. Con esempi iperbolici, accende il focus sul perenne senso di insoddisfazione causato dalle pressioni della società.


A fare da contrappeso alle preoccupazioni di Zero, c’è fortunatamente Secco, il suo migliore amico. Il suo personaggio è completamente agli antipodi dei vaneggiamenti del protagonista. Secco incarna alla perfezione il menefreghismo e la capacità di lasciare che tutto scivoli addosso senza alcuno stress. “A me non me ne frega un ca***, annamo a pijà er gelato?” è la frase che Secco ripete tante volte diventando una delle battute più iconiche della serie. In “Strappare lungo i bordi” la dose di leggerezza è garantita dall’autoironia che contraddistingue Zerocalcare. Le conversazioni paradossali con Armadillo oppure con Secco riescono a far ridere nonostante la loro apparente semplicità. Le battute ciniche nascondono sempre una buona dose di acume e di umorismo brillante.

In molti sostengono che “Strappare lungo i bordi” sia la voce di una generazione, il ritratto incredibilmente fedele della condizione dei Millennials. Racconta i loro disagi, le loro aspettative deluse, il disorientamento, l’instabilità economica, l’incertezza del futuro, la mestizia dei bilanci e dei rimpianti. I molteplici timori e il malessere di coloro che, per l’appunto, “non sanno strappare lungo i bordi”. Tutta questa amarezza viene resa al pubblico con un gioco di equilibrismo tra risa spassose e momenti di profonda drammaticità. Una malinconia resa dalla notevole sigla di Giancane insieme a una forte carica di energia. Eppure in alcune interviste Zerocalcare ha dichiarato di non farne un discorso esclusivamente generazionale. Spiega che nelle medesime sensazioni da lui rappresentate spesso si riconoscono anche suoi lettori della generazione X o della generazione Z che alle volte gli scrivono. Pertanto ritiene di raccontare non unicamente i Millennials, alcuni dei quali – d’altro canto – potrebbero non condividere il senso di inadeguatezza. “Strappare lungo i bordi” evoca lo sbandamento di tutti coloro che si sentono incompleti e calpestati dalle convenzioni della società di cui tuttavia sono figli. Di tutti coloro che nella vita sono ancora in viaggio nel loro percorso di crescita, alla ricerca di punti di riferimento che restino finalmente fermi.



Di Valentina Mazzella, pubblicato sul Napolisera.it in data 16 aprile 2022.

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mercoledì 13 aprile 2022

"Noi”, la serie: il remake di “This Is Us” racconta la famiglia con le sue luci e le sue ombre

RECENSIONE – A pesare sull’ultima serie di RaiUno, “Noi”, è stato un macigno non da poco. La responsabilità di essere il remake della celebre e pluripremiata serie-tv americana “This Is Us” di Dan Fogelman. Il continuo confronto con la versione originale da parte dei numerosissimi fan della serie statunitense è stata purtroppo una pesantissima nota dolente. Come capita spesso in questi casi, il pubblico non è mai contento. Non è contento quando riproponi in maniera fedele il prodotto e non è contento nemmeno quando introduci delle modifiche creative. Certo, alle volte ci sono le eccezioni come nel caso di “Skam Italia” che viene considerato tra i migliori remake europei dell’omonima serie norvegese. Ma non è il caso di “Noi”, una serie molto valida ed estremamente piacevole da seguire, su cui tuttavia è gravato un giudizio troppo severo e ingiusto.

La storia si snoda in dodici episodi, prodotti da Cattleya in collaborazione con Rai Fiction e 20th Television. È andata in onda in sei serate su RaiUno tra marzo e aprile. Le puntate sono ancora disponibili in streaming su RaiPlay. La regia è stata diretta da Luca Ribuoli, mentre le sceneggiature sono state a cura di Sandro Pettaglia insieme a Flaminia Gressi e a Michela Straniero. Il cast americano vantava nomi di rilevanza come Milo Ventimiglia, Mandy Moore e Sterling K. Brown che hanno vinto Emmy e Golden Globe per i ruoli interpretati. Il cast italiano ha annoverato attori all’altezza e altri un po’ più giovani e acerbi, ma comunque talentuosi.

La trama racconta le vicende della famiglia Peirò nell’arco di circa quarant’anni, dagli anni Ottanta al 2018. Esattamente come avviene nell’originale “This Is Us”, la narrazione avviene su più linee temporali. Non si tratta di semplici flashback. È proprio una nuova formula peculiare della serie statunitense che prevede un montaggio alternato delle diverse fasi della vita dei protagonisti. Il tutto per rendere la visione più agile e meno statica, rivoluzionando quello che da decenni era il classico “family drama”. Ecco allora che in “Noi”, in contemporanea, ci viene presentata la coppia Pietro e Rebecca all’inizio degli anni Ottanta, in procinto di diventare genitori di ben tre pargoli. Poi tutti e cinque ancora negli anni Novanta, quando i bambini hanno nove anni, e ancora nei primi anni Duemila, quando i figli sono adolescenti. Il passato si intreccia con il presente, dove i tre ragazzi sono ormai persone adulte di 34 anni alle prese con i loro problemi e la loro vita.

Quella dei Peirò non è affatto una famiglia normale. Non rispetta assolutamente gli standard classici della “Mulino Bianco” per intenderci. È piuttosto “un dramma shakespeariano” per usare la definizione pronunciata con sarcasmo da uno dei personaggi stessi della serie. Pietro (Lino Guanciale) e Rebecca (Aurora Ruffino) si incontrano e si innamorano. Decidono di mettere su famiglia insieme, nonostante le scarse risorse economiche e l’iniziale diffidenza di lei verso la maternità. Rebecca resta incinta di tre gemelli, ma purtroppo durante il parto ne muore uno. Pietro convince la moglie ad adottare un bambino nero abbandonato proprio quel giorno fuori una questura. I due novelli genitori torneranno così a casa con “i fantastici tre”, tre figli ognuno con le proprie difficoltà.

Abbiamo Daniele (Livio Kone) che cercherà per tutta la vita tra i neri chi possa essere il suo vero padre biologico. Incontrerà Mimmo (il bravissimo Timothy Martin) quando il tempo a disposizione da condividere sarà ridotto. Poi c’è Caterina, detta Cate (Claudia Marsicano, vera rivelazione della serie), che dall’infanzia lotta contro il suo eccessivo peso. Anche quando incontrerà un amore importante, Teo (Leonardo Lidi). Infine Claudio (Dario Aita), sempre insicuro, il cui problema probabilmente è sempre stato l’essere il più trascurato tra i tre fratelli perché quello apparentemente senza difficoltà. Tra i personaggi secondari compare anche Massimo Wertmüller nei panni del dottor Roberto Castaldi che assiste Rebecca durante la nascita dei bambini. Senza contare il cameo di Michele Placido come se stesso.

Come ha dichiarato Livio Kone (Daniele) alle telecamere, “Noi” è una serie con cui “si ride, si piange e si empatizza”. Certo, nel paragonarla alla serie originale è possibile trovare mille peli nell’uovo. Tuttavia è innegabile che, soprattutto senza aver guardato “This Is Us”, la fiction riesca a emozionare i suoi spettatori. Ci si commuove nei vari momenti drammatici, ma allo stesso tempo ci si diverte grazie all’umorismo e alla leggerezza di molti dialoghi. Ad esempio con le battute di Teo, il fidanzato tenero e burlone di Cate, o con quelle di quel combinaguai di Claudio, attore di teatro alla prima esperienza, che in ogni episodio viene riconosciuto per aver interpretato il Maestro Rocco nell’omonima fiction di fantasia.

Sullo sfondo la storia di un Paese, dell’Italia. Non solo i Mondiali di calcio dell’82. Sia Rebecca che Cate amano cantare e, servendosi della loro passione, la serie ci regala l’interpretazione di diverse canzoni italiane attraverso i decenni. Ascoltiamo “T’appartengo” di Ambra Angiolini cantata dalla piccola Cate e ballata con il suo babbo, ma non mancano anche eccezionali “Se telefonando” di Mina, “Almeno tu nell’universo” di Mia Martini e altre canzoni ancora. La colonna sonora è la pregiata “Mille stelle” cantata da Nada che ne ha curato anche le musiche insieme ad Andrea Farri. Il brano si ispira al tema musicale di “This Is Us”, composta completamente con la chitarra.

In molti non hanno apprezzato la scelta di far interpretare Betta, la moglie di Daniele, a Angela Ciaburri piuttosto che da un’attrice nera come nella serie originale. L’accusa è quella di aver snaturalizzato i personaggi e il loro forte senso di appartenenza alla comunità nera. La regia di “Noi” ha prontamente risposto alle critiche spiegando che la decisione è stata dettata dall’esigenza di conservare il copione verosimile. Purtroppo per il tessuto sociale italiano, diverso per motivi storici da quello made in USA, sarebbe stato più complicato per Daniele trovare nelle vicinanze un’altra famiglia nera di pari estrazione sociale. Tuttavia il risultato è ugualmente ben riuscito: la famiglia di Daniele, con le due bellissime bambine Teresa (Isabel Fatim Ba) e Anna (Sofia Bendaud), è un esempio di famiglia multietnica e felice. 

In conclusione possiamo accogliere le parole di Lino Guanciale che in “Noi” ci regala il padre che a ogni persona piacerebbe aver avuto come genitore: “La famiglia non dipende dal sangue, ma dipende dalle scelte che si fanno per amore”. Ed è proprio questo che “Noi” ci insegna. La famiglia ha sempre delle luci e delle ombre. Tutti matrimoni hanno dei momenti di “alto e basso", tutti i fratelli e le sorelle litigano, le incomprensioni nelle relazioni sono frequenti. Alla famiglia Peirò non interessano le apparenze. Affrontano i problemi, si interrogano, cercano soluzioni, non si arrendono. Eppure, nonostante i tormenti quotidiani di ciascuno, insieme riescono ugualmente a ricreare la serenità di un’atmosfera domestica. Qualsiasi cosa accada, restano pur sempre una famiglia.



Di Valentina Mazzella, pubblicato sul Napolisera.it in data 11 aprile 2022.

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venerdì 1 aprile 2022

"Alice e Peter", un delizioso crossover fiabesco per i nostalgici e i curiosi


RECENSIONE - Il film "Alice e Peter" può essere tranquillamente definito un delizioso crossover fiabesco. Una narrazione che accarezza la nostalgia degli adulti e solletica la curiosità dei più piccoli o fanciulleschi. Protagonisti sono due dei personaggi più noti della letteratura dell'infanzia: Alice e Peter Pan. Precisamente prima che lei precipiti nel Paese delle Meraviglie e prima che lui voli sull'Isola Che Non C'è. La trama ci spiega fin da subito che sono fratello e sorella, che vivono in campagna con la loro famiglia. La classica famiglia della middle class britannica del periodo a cavallo tra Ottocento e Novecento. La storia può essere considerata dunque anche un prequel dei due romanzi, un prequel in cui però appunto le due fiabe si intrecciano. 

Non mancano innumerevoli richiami sia al libro di Lewis Carroll che a quello di James M. Barrie. Del resto la creatività è invenzione, capacità di osare. Anche possibilità di scardinare i punti fermi per mescolarli e dare nuova vita all'arte. Desiderio di dialogo con le opere e tra le opere. Da questo punto di vista l'esperimento degli sceneggiatori può dirsi affascinante. Apprezziamo tantissimo l'ambizione. L'intuizione della fusione è incredibilmente accattivante. Ciononostante la fortunata idea non viene sfruttata fino in fondo e non decolla mai come si vede. La visione è piacevole, ma si gode esclusivamente del già noto. Da presupposti così ghiotti poteva sbocciare un fiore ancora più maestoso. 

In ogni caso la resa sullo schermo, curata nella regia da Brenda Chapman, è ottima. Le scenografie, la fotografia e la costumistica regalano un'estetista irresistibile. Un vero richiamo per le sirene per chi è affascinato dalle atmosfere fiabesche che ricordino l'epoca vittoriana. Il montaggio è incalzante. Le interpretazioni degli attori sono assolutamente all'altezza. Il cast vanta bei nomi: Angelina Jolie, David Oyelowo, Gugu Mbatha-Raw, Clarke Peters, Derek Jacobi. Alice ha il volto di Keira Chansa, Peter il viso di Jordan A. Nash e infine David quello di Reece Yates. La pellicola doveva essere proiettata nelle sale nell'anno della pandemia, il 2020, ma alla fine è stato distribuito in streaming sul piccolo schermo. È ancora oggi disponibile su Prime Video.



Le tematiche affrontate sono diverse: il valore della famiglia, la morte del fratello maggiore David, la disperazione del lutto, il passaggio dall'infanzia alla maggiore maturità richiesta dalla crescita, la fuga dalla realtà, l'immaginazione come ancora di salvezza. Per abbracciare la corrente del politicamente corretto, tuttavia il film falsifica la società del periodo storico in cui ambienta la vicenda. La narrazione evidenzia unicamente le disparità tra le estrazioni sociali, tralasciando le amare discriminazioni razziali dell'epoca. È un'occasione sprecata, probabilmente per non appesantire ulteriormente il tiro. Un modo per offrire rappresentazione alla pluralità etnica senza soffermarsi sempre sulle diversità. Un proposito lodevole che stride unicamente con la narrazione della realtà sociale e storica di allora. È possibile chiudere un occhio sulla considerazione semplicemente perché il film si presta a modo suo al genere fantasy

In generale non si tratta però dell'unica pecca della trasposizione. In alcuni passaggi il prodotto appare un po' emotivamente caotico. Come le api di fiore in fiore, lo spettatore salta da uno stato d'animo all'altro in maniera frenetica, senza approfondire degnamente le emozioni. Come davanti a un ricco buffet di prelibatezze, il pubblico assaggia tanti sentimenti confondendo i sapori. Eppure, mettendo da parte le osservazioni più puntigliose, "Alice e Peter" resta un film delicato e molto carino da vedere insieme sul divano, per far sentire più vicini grandi e piccini.


Recensione di Valentina Mazzella.


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