domenica 5 aprile 2020

La giacca nello stagno - racconto breve



Un muschio giovane e umido ricopriva la superficie rude della roccia, proprio all'uscita della caverna sulla cui bocca le due ragazze si trovavano. Alle loro spalle il buio inghiottiva una galleria che Giselle non ricordava assolutamente di aver percorso. Era come se avesse aperto gli occhi d'improvviso dopo un grosso sbadiglio e si fosse ritrovata lì senza apparente spiegazione razionale. Un susseguirsi di piccoli suoni acuti le fece accapponare la pelle. Era uno stridio corale accompagnato da battiti di ali. Il timore che in quelle tenebre potessero esserci nascosti dei pipistrelli le fece istintivamente portare le mani ai capelli. Indietreggiò di un passo, sfregando la suola in gomma delle scarpe da ginnastica su una ghiaia bianca, sottile, polverosa. 
La ragazza che le era accanto cercò in quel momento di attirare la sua attenzione. Con le braccia allungate verso di lei, le tendeva un lungo bastone verde. Probabilmente una canna di bambù raccattata per terra. 
Giselle la guardò. Riconosceva i suoi capelli color miele, ma non capiva cosa ci facesse con lei adesso in quel posto. Eppure non le chiese nulla. Dalla sua mascella serrata e dallo sguardo rigido, Giselle comprese che la ragazza bionda non le avrebbe risposto. Non avrebbe mai parlato. Forse era diventata muta oppure sarebbe rimasta in silenzio per scelta. Lo sguardo era deciso, privo della timidezza che Giselle ricordava di avervi intravisto tante volte prima di quell'occasione. Le sorse il dubbio di essersi sbagliata. Poteva darsi che non fosse lei.
La ragazza annuì con un lieve movimento della testa. Le braccia ancora tese in avanti nell'offrirle il bastone. Con uno sbrigativo cenno del mento, le indicò qualcosa in basso. Giselle si voltò e le si spalancò innanzi agli occhi un angolo di natura incontaminata. A neanche mezzo metro dai suoi piedi il terreno terminava gettandosi nelle acque scure e impenetrabili di uno stagno. La superficie immobile era uno specchio nero che rifletteva fedelmente il verde delle chiome pigre e rigogliose degli alberi lungo le rive. Nessun fiore di ninfea risaliva a galla per regalare eleganza e frivolezza a quella visione tanto selvatica. Ammassi di foglie filtravano la luce, creavano zone d'ombra e incorniciavano spicchi di cielo di un celeste tenuo. Non era un lago. Sembrava una palude, ma Giselle non avrebbe saputo dirlo con certezza.
L'unica cosa che riuscì a notare fu piuttosto una macchia di colore rosso magenta nella cui direzione puntava irremovibile lo sguardo della ragazza dai capelli come il miele. Era un "qualcosa". Un qualcosa di estraneo alla natura. Giselle aguzzó la vista per vederci meglio. Voleva capire se si trattasse di un rifiuto. Galleggiava sul filo di quell'acqua stagna. Sembrava essere della stoffa.
Giselle si voltò verso la ragazza che ancora le tendeva il bastone. Allora comprese. Afferrò la canna di bambù e l'allungó fino a toccare l'oggetto non identificato. Qualsiasi cosa fosse non oppose resistenza.
"Sì, sembra proprio stoffa" mormorò Giselle rendendosi conto di quanto fosse facile avvicinare a riva quello straccio. A quel punto temeva unicamente di scivolare e cadere in quell'acqua melmosa. Non riusciva a immaginare quanto potesse essere profonda. Aveva fatto a stento un passo in avanti e già aveva avvertito il terreno rivelarsi più friabile e instabile sotto i piedi. Non sarebbe stato difficile perdere l'equilibrio accidentalmente nello sporsi.
"Ma è una giacca!" commentò infine quando la macchia rosso magenta fu più vicina. Guardò la ragazza accanto che, fedele al suo immotivato voto di silenzio, si limitò ad annuire di nuovo col capo. Questa volta più energicamente, tradendo un pizzico di entusiasmo umano.
Era una di quelle giacche leggere da donna tagliate secondo il gusto elegante di un tailleur. Giselle riuscì a guidarla fino a riva. A quel punto la ragazza bionda si piegò per terra ed estrasse impaziente la stoffa bagnata dall'acqua putrida.


Fu allora che inspiegabilmente comparve una barchetta. Sì, una barchetta da pescatore bianca, con i bordi di un azzurro carico. A bordo un giovane dalla pelle abbronzata, i tratti asiatici e un caschetto di capelli neri e lucidi. Era venuto a prenderle. Il perché e per portarle dove questo Giselle proprio non lo sapeva. Ciononostante seguì la ragazza con i capelli miele. Nel salire sulla barca prestò attenzione a non scivolare nell'acqua nera dello stagno. Il ragazzo dai tratti asiatici le porse un braccio e una mano per aiutarla a conservare l'equilibrio.
Una volta a bordo Giselle si sedette accanto alla bionda e iniziò a osservare entrambi. Nessuno parlava. Nel silenzio più assoluto il giovane eseguiva con meticolosa concentrazione i gesti ripetitivi necessari per remare. Di tanto in tanto si scrutava attorno come se temesse di sbagliare percorso. A tratti aveva tuttavia lo sguardo vago di chi è immerso nei propri pensieri.
La ragazza seduta accanto si limitava invece a starsene immobile in una posa composta e le mani congiunte in avanti. Col capo chino sembrava quasi assorta in preghiera. Eppure aveva sul viso un'espressione vuota, distratta. Probabilmente stava semplicemente fissando le proprie scarpe rapita da chissà quali fantasie.
Giselle non osò rompere la quiete di quel momento. Senza proferire parola, alzò dunque la testa per ammirare meglio lo stagno. Tuttavia, quando alzò occhi, scoprí con stupore di non trovarsi più in una sorta di palude, ma nel bel mezzo di un mare aperto. L'acqua era diventata di un blu intenso. Non c'erano più rive fangose, ombra, alberi e muschio. Il cielo era di un turchese intenso e in lontananza si avvistava la costa di una spiaggia.
"Ma non è davvero possibile!" balbettó Giselle sconvolta. Con gli occhi sgranati strinse i pugni lungo i bordi della barchetta. Iniziò a sporgersi a tal punto che il giovane temette potesse cadere in acqua. Le disse perciò qualcosa in una lingua che Giselle non conosceva. Pur non comprendendo il significato di ciascuna parola, dai gesti concitati, la ragazza comprese di essere stata rimproverata. Tornò a sedersi in maniera corretta, continuando a osservare lo strabiliante e improvviso cambio di panorama. La ragazza dai capelli miele non sembrava per nulla sorpresa. Osservava l'orizzonte come fosse assente. Al contrario Giselle non sapeva davvero spiegarsi come potesse essere razionalmente fattibile un evento simile. Socchiuse le palpebre e lasciò che la brezza marina le accarezzasse il viso.
Dopo un po' la barca si fermò. Avevano raggiunto la costa e il giovane aveva ancorato presso una banchina in legno. Aiutò entrambe ad abbandonare la barca senza fare un tuffo indesiderato in acqua. Una volta a terra la ragazza bionda la fissò negli occhi con fare placido e Giselle comprese che si trattava di un ennesimo invito a seguirla. Decise di fidarsi.
Sotto a un cocente sole estivo, percorsero la banchina in legno raggiungendo una strada di città. Lungo il marciapiede più vicino c'era un taxi che sembrava aspettare proprio loro due. La ragazza bionda avanzò con passo deciso in quella direzione. Giselle non protestò e le trottorellò dietro. In breve si ritrovò così seduta all'interno di una sorta di taxi d'epoca, di quelli tipici delle località vacanziere. Non era un'auto con un abitacolo chiuso. Era un veicolo aperto e le loro teste erano sormontate da una tendina blu.
Probabilmente per risparmiare, Giselle e la bionda stavano condividendo il viaggio con una giovane coppia. Erano tutti seduti su dei sedili blu, l'uno di fronte all'altro. Quale fosse la destinazione era un altro mistero di quella strana e assurda situazione. Poi a un certo punto la giovane coppia iniziò a litigare in una lingua incomprensibile. Forse si trattava di turisti stranieri, ipotizzò Giselle senza riuscire a indovinare né la nazionalità e né il motivo della lite. Cadde subito un velo di imbarazzo nel taxi. Fatto sta che il ragazzo nella sua lingua chiese all'autista di interrompere la corsa. La fidanzata non cercò di fermarlo e lui scese dal veicolo. Giselle lo vide allontanarsi, poi fermarsi e guardarsi indietro. Forse in preda a un fugace ripensamento o per verificare se lei lo stesse guardando. Poi, mosso dell'orgoglio, riprese a camminare in avanti, agitando le braccia. Senza più voltarsi.


Racconto di Valentina Mazzella



Copyright © 2019 L'albero di limonate by Valentina Mazzella. All rights reserved

Nessun commento:

Posta un commento