sabato 25 dicembre 2021

"Mare fuori 2": grande successo per la seconda stagione della serie-tv in cui il mare grida speranza e riscatto



RECENSIONE - La posta in gioco era alta. Non era semplice o scontato soddisfare le aspettative create nel pubblico dopo la prima stagione. Eppure la fiction  "Mare Fuori 2" è riuscita perfettamente nell'impresa. I dodici episodi andati in onda il mercoledì sera su RaiDue nelle ultime sei settimane hanno riscosso incredibile successo. La serie - come i più già sanno - racconta delle vicende ambientate presso l’Istituto di Pena Minorile di Napoli in cui sono detenuti ragazzi e ragazze che hanno commesso dei reati prima del raggiungimento della maggiore età. Le trame non si fossilizzano esclusivamente sul problema della criminalità minorile da strada e su quello delle influenze territoriali della camorra. La sceneggiatura racconta anche della violenza domestica in famiglia, dello stalking, delle relazioni tossiche, dell'abuso sessuale, dei rapporti conflittuali fra genitori e figli, del bullismo e altro ancora.

Gran parte dei personaggi sono noti agli spettatori già dalla prima serie, ma non è mancata l'introduzione di nuovi volti per rivitalizzare le storylines. Eccellente il lavoro di tutto il cast che ha visto confermati i vecchi nomi: Carolina Crescentini, Carmine Recano, Valentina Romani, Nicolas Maupas, Massimiliano Caiazzo, Ar Tem, Matteo Paolillo, Serena De Ferrari, Domenico Cuomo, Antonio Orefice, Nicolò Galasso, Ludovica Coscioni. A questi sono stati aggiunti Filippo Soave nei panni di Sasà e Kyshan Clare come Kubra. Notevole le interpretazioni di ciascuno, ma magistrale in particolare quella di Massimiliano Caiazzo nel regalare al pubblico un Carmine allo stesso tempo devastato dal dolore e accecato dalla rabbia. Mirabile la scelta degli autori di approfondire il passato di tutti quei personaggi che nel corso della prima stagione erano rimasti un po' ai margini delle storie per dare più spazio ai protagonisti. È il caso di Totò e Tano o' Pirucchio che sono stati la vera rivelazione della stagione, fulcro chiave, ma anche della cara Silvia, l'estroversa amica di Naditza. Non sono mancati dei flashback per raccontare il percorso di vita degli stessi educatori (Lino, Beppe e Liz) conferendo loro maggiore spessore.

E poi il mare. 'O mar. 'O mar for. Il mare fuori le sbarre di Nisida. Indiscusso protagonista di tutta l'opera. L'immenso mare partenopeo che ha potere catartico ed è, per i giovani detenuti, il simbolo di speranza e possibilità di riscatto. Sullo sfondo meravigliose panoramiche della città che immortalano la bellezza di Napoli sullo schermo come su una tela. Merito della lodevole regia di Ivan Silvestrini Milena Cocozza che hanno guidato la fiction (prodotta da RaiFiction e Picomedia) verso un finale letteralmente "con il botto". Cosa ci si riserverà dunque la terza stagione che, a quanto pare, è stata ufficialmente confermata? Sicuramente ci saranno nuovi sviluppi psicologici per i ragazzi e non solo: nuove vendette, nuovi intrighi, nuovi amori, nuovi drammi. L'ultimo episodio (seguono piccole anticipazioni) ha lasciato aperte diverse porte, sollevando molti interrogativi. Ciò che possiamo immaginare è che il fantasma di Ciro continuerà ad aleggiare anche sugli avvenimenti della terza serie. Lo dimostra l'introduzione nel penitenziario della sfacciata Rosa Ricci (Maria Esposito), sorella di Ciro, che di certo smuoverà parecchio le acque. Il che non guasterà poiché, nonostante gli innumerevoli pregi, il rischio di inciampare in soggetti ripetitivi è sempre dietro l'angolo.

Come anche è vero che alcuni personaggi hanno purtroppo perso un po' di patina. Ad esempio Viola, ormai usata esclusivamente come noioso espediente narrativo per scuotere alcune situazioni con la sua cattiveria gratuita, senza neanche un vero tornaconto personale. Pertanto ben venga l'arrivo di nuovi personaggi e nuovi spunti per arricchire una fiction che regala colpi di scena, conversioni e nuovi reati inaspettati. Interessante è il lampante parallelismo fra Cardiotrap e la figura di Liberato, celeberrimo cantante trap partenopeo senza volto su cui a lungo si è vociferato fosse proprio un giovane detenuto di Nisida. E a tal proposito apriamo una breve parentesi sulle musiche della fiction curate da Stefano Lentini e Riaz che, come lo scorso anno, si rivelano essere una sorprendente hype.
"Mare Fuori 2" si presenta ancora una volta come un prodotto di eccellenza, una serie-tv di formazione, che approfitta della narrazione filmica per lanciare messaggi pedagogici preziosi. Per raccontare il carcere non solo come un luogo di punizione, ma anche e soprattutto - per citare Carolina Crescentini in una sua intervista - come "un luogo di trasformazione". L'Istituto di Pena Minorile ha in primis lo scopo di aiutare i ragazzi a comprendere i propri errori e poi a voltare pagina. Emblematiche infatti nella stagione due scene: una in cui Pino lascia scappare degli uccellini dalle loro gabbie e l'altra in cui Cardiotrap lancia in mare una pistola affinché più nessuno possa usarla. "Mare Fuori 2" è in conclusione proprio questo: un grande grido che urla al pubblico che tutti hanno delle alternative nella vita. Solo che alle volte bisogna insistere per mostrare a chi è perduto le strade dell'amore, dell'onestà e del perdono che sono più impervie di quel che si crede. E questo perché richiedono il vero coraggio dell'essere umano. 

Di Valentina Mazzella, pubblicato sul Napolisera.it in data 23 dicembre 2021.

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venerdì 24 dicembre 2021

"Blanca": la serie-tv sulla poliziotta cieca che "non ha paura del buio"



RECENSIONE - Una delle rivelazioni più piacevoli del palinsesto di RaiUno delle ultime settimane? Sicuramente la fiction italiana "Blanca" andata in onda in sei episodi fino a ieri sera e - per chi desiderasse recuperarla - disponibile sulla piattaforma di RaiPlay in streaming. Accolta con grande favore dal pubblico televisivo, la serie è liberamente tratta dagli accattivanti romanzi di Patrizia Rinaldi. È stata prodotta in comunione da Lux Vide e da Rai Fiction e potrebbe vendersi tranquillamente al mercato spagnolo o francese. La sua primissima presentazione ha avuto luogo, in anteprima, in occasione della "Mostra internazionale d'arte cinematografica di Venezia" lo scorso settembre 2021.

La storia racconta delle vicissitudini di Blanca Ferrando, una giovane consulente specializzata nel décodage di file audio. Nonostante sia cieca, Blanca viene assunta come stagista per sette mesi presso il commissariato di Genova. In un primo momento i colleghi e i superiori non hanno molta considerazione per le sue intuizioni, soprattutto a causa della sua disabilità. Tuttavia, in ogni episodio, Blanca accoglie la sfida e dà loro modo di ricredersi, dimostrando forza e determinazione nell'indagare e risolvere ogni caso. Blanca infatti è "una tosta", per dirlo in gergo, e, come ricorda a se stessa, "non ha paura del buio". Innumerevoli flashback rivelano allo spettatore il passato della ragazza, gli eventi che l'hanno portata a crescere e a rafforzarsi. In particolar modo l'incendio che le ha portato via la vista e la sorella maggiore Bea quando aveva appena dodici anni. Non manca inoltre un triangolo amoroso che permette al genere crime e poliziesco di mescolarsi con gli ingredienti elementari delle tradizionali fiction romantiche. Ciò permette di alleggerire le trame pur conservando il ritmo della narrazione e la suspense dei misteri da svelare.

I dialoghi sono ben scritti, spesso divertenti e infarciti della giusta dose di ironia e sarcasmo. I riferimenti alla cultura pop, fra una battuta e l'altra, sono molteplici, specialmente se a parlare è il Commissario Mauro Bacigalupo (il simpaticissimo Enzo Paci). Ogni volta che si affronta il tema della disabilità di Blanca, non si scivola mai nell'abilismo: pregio non da poco. Del resto, nonostante la serie racconti anche il dramma vissuto dalla protagonista nel perdere la vista, la cecità non viene giudicata esclusivamente come un ostacolo. Blanca si impone di "ballare sempre sotto la pioggia" (sia metaforicamente che letteralmente) e di ricavare dalla sua condizione delle nuove opportunità, sviluppando ad esempio al meglio gli altri sensi. Ovviamente è scontato sottolineare che in diversi momenti le capacità di Blanca appaiono quasi inverosimili, da supereroina. Il pubblico pena e si angoscia ogni qual volta questa stagista tutto pepe va a ficcare il naso in situazioni veramente troppo pericolose per una non vedente accompagnata a stento dal suo fedele bulldog americano, Linneo. Tuttavia si ha la consapevolezza di star guardando un'opera di finzione e la si apprezza lo stesso, anche quando Blanca diventa una Sherlock Holmes 2.0 con le sue incredibili deduzioni.

Un riconoscimento speciale va assolutamente alla regia di Jan Maria Michelini e di Giacomo Martelli che hanno deciso di mettersi in gioco e di regalare di frequente anche la singolare prospettiva della stessa Blanca nel percepire il mondo inghiottito dall'oscurità e delineato unicamente dai suoni e dagli odori. Magistrali il montaggio sperimentale di Alessio Doglione e Danilo Perticara e la fotografia di Alessandro Pesci.  In "Blanca" nulla è lasciato al caso. Tutto è perfettamente curato. Le musiche in ogni puntata sono capaci di caricare l'adrenalina nelle scene più opportune. Le panoramiche di Genova offrono agli spettatori una città meravigliosa, purtroppo non sfruttata adeguatamente dal cinema. Le scenografie e gli arredi dei set sono sempre ricchi di dettagli. Particolare è, nella maggior parte dei casi, anche la scelta dei costumi, in particolare quando si tratta della stessa Blanca il cui stile nel vestire, super colorato e stilizzato, spesso ricorda l'abbigliamento di un personaggio dei fumetti. Oppure si pensi al look della piccola Lucia (l'adorabile e talentuosa Sara Ciocca) che con il suo caschetto moro ci ricorda inevitabilmente una giovanissima Natalie Portman quando nel 1994 interpretava Mathilda nel film "León".

Sarà Ciocca. 


 
Natalie Portman in "León".

Dulcis in fundo i più sentiti complimenti al cast, a partire naturalmente dalla superba interpretazione di Maria Chiara Giannetta nel ruolo di BlancaGiuseppe Zeno, attore veterano di fiction, era il volto perfetto per vestire i panni di Michele Liguori, collega è fiamma di Blanca. Non da meno sono la performance recitativa di Pierpaolo Spollon che nella serie è Nanni, il cuoco rivale in amore di Liguori, e quella della già citata Sara Ciocca (Lucia Ottonello) che, nonostante la giovanissima età, domina egregiamente la scena. Per realizzare "Blanca" la produzione si è avvalsa dalla consulenza di Andrea Bocelli. Inoltre la serie è stata realizzata interamente in olofonia, ossia una particolare tecnica di registrazione del suono che permette la riproduzione in maniera similare a come viene percepito dall’orecchio umano. Insomma, "Blanca" è un prodotto veramente meticoloso che intrattiene e appassiona il pubblico in queste fredde sere di dicembre. Non si hanno dunque motivi per non sperare e attendere una nuova intrigante stagione per l'anno venturo.


Di Valentina Mazzella, pubblicato sul Napolisera.it in data 22 dicembre 2021.

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lunedì 6 dicembre 2021

"Carla": il film omaggio all'ineguagliabile Fracci su Rai Uno

 


RECENSIONE - L'omaggio cinematografico all'iconica e inarrivabile Carla Fracci - il biopic curato dalla regia di Emanuele Imbucci - è stato abbastanza elegante e leggiadro quanto la ballerina di cui si accinge a raccontare la vita? Una bella fetta della critica sostiene che il film "Carla" (2021) non sia stato all'altezza delle aspettative e non abbia reso giustizia alla genialità dell'artista. Sembrerebbe irremovibile, nonostante la produzione abbia ricevuto addirittura la benedizione della stessa Fracci in persona prima del suo addio avvenuto lo scorso maggio.
 

L'opera è figlia di una co-produzione Rai Fiction-Anele, realizzata con il patrocinio della Regione Lombardia, il contributo del Comune di Orvieto e con il contributo del MIC- Ministero della Cultura - Direzione generale Cinema e audiovisivo. Il film è stato distribuito in anteprima nelle sale già dall'8 al 10 novembre 2021, ma ieri sera - 5 dicembre - è stato trasmesso su Rai Uno raggiungendo il grande pubblico a casa che - diversamente dalla critica - sembra di aver gradito molto di buon grado il prodotto. In particolar modo l'interpretazione di Alessandra Mastronardi nei panni della protagonista a cui era stato invece recriminato di non essere abbastanza a suo agio nel ruolo. Eppure sul piccolo schermo la Mastronardi è apparsa incredibilmente somigliante alla Fracci nell'estetica, nelle espressioni e nelle movenze. Sicuramente anche merito di un notevole lavoro dietro le quinte che ha investito su ottime scelte in materia di trucco, stile e costumi. Nello specifico anche grazie a una predilezione per i vestiti bianchi e candidi ricorrenti nelle apparizioni della mitica ètoile. Non essendo Alessandra Mastronardi una vera ballerina de La Scala, il montaggio ha optato per un collage di immagini nelle sequenze in cui Carla danza per non rivelare, ovviamente, che i piedi fossero in realtà quelli di una professionista. Non è mancato chi avrebbe preferito una ballerina-attrice, magari un volto nuovo, per esaltare di più in quelle scene la grandezza delle potenzialità della Fracci sulle punte, mostrando la figura per intero in maniera nitida.

 

La trama è liberamente ispirata dall'autobiografia intitolata "Passo dopo passo. La mia storia" pubblicata dalla Mondadori nel 2013. Si raccontano gli eventi non in ordine banalmente cronologico. Si mostra un presente in cui per sfida l'étoile ha solo cinque giorni a disposizione per imparare una coreografia e tornare sul palco dopo un anno di pausa dal parto. Il presente si alterna alle vicissitudini attraversate dalla figlia di un semplice tramviere, Carlina, per diventare la prima ballerina de La Scala di Milano, appunto Carla Fracci. Il teatro è stato una scenografia di valore molto frequente nel film. La narrazione è arricchita in realtà anche di personaggi inventati, come l'amica Ginevra Andegari. Ciononostante non disdegna di essere veritiera per tanti altri aspetti. Del resto la produzione si è avvalsa delle preziosissime consulenze della stessa Carla Fracci, del marito Beppe Menegatti e di Luisa Graziadei. Non mancano anche filmati di repertorio degli archivi storici della Rai in cui compare una vera Carla giovanissima ballare. Rifacendosi al simbolismo della libellula, il film desiderava protendersi verso l'alto. Essere sempre in movimento, ma con fermezza ed eleganza.

 

"Carla" si rivela una visione godibile che restituisce agli spettatori l'immagine di un'artista instancabile, tenace, incredibilmente seria e dura con se stessa e il proprio lavoro. Un talento smisurato che "non si crogiola sugli allori" e si impegna per inseguire con forza la propria passione. Tuttavia viene anche evocato il ritratto di una ragazza umile di origini modeste che non è mai diventata arrogante. Il profilo di una donna legata ai suoi genitori, all'uomo di cui è innamorata e al suo sogno di maternità a cui non rinuncia e che rivendica senza esitazione come un diritto da conciliare con la carriera. Ma soprattutto ci regala il ricordo della ballerina per eccellenza per la quale danzare era in fin dei conti proprio come respirare: irrinunciabile.




Di Valentina Mazzella, pubblicato sul Napolisera.it in data 6 dicembre 2021.


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venerdì 26 novembre 2021

"Stanlio & Ollio": il commovente omaggio ai due uomini dietro gli artisti


 RECENSIONE - "Stanlio & Ollio" (2018) di Jon S. Baird è un commovente omaggio a due iconici nomi della storia di Hollywood, Stanlio e Ollio in Italia. Stan & Ollie in inglese. Due volti che probabilmente sono fra i più rappresentativi del cinema muto in bianco e nero nell'immaginario collettivo. Un duo che ha puntato sul slapstick come principale scuola della comicità. Eppure il film non ci regala esclusivamente sorrisi e risate. Propone innanzitutto il racconto dei due uomini nascosti nell'ombra degli artisti. La narrazione di chi fossero veramente Stan Laurel e Oliver Hardy fuori dalle scene. E lo fa scegliendo non il metodo tradizionale della biofilmografia che espone i fatti in ordine cronologico. Preferisce partire dalla celebrazione dell'amicizia fra i due attori, un rapporto quasi simbiotico, ma non privo di delusioni e incrinature. Il prodotto di Jon S. Baird non scava morbosamente nelle vite private delle due star, ma ne rievoca la complicità, i dissidi, il cinismo, le incomprensioni. Le eccellenti interpretazioni di Steve Cooganee e John C. Reilly riportano così sullo schermo la grandezza e le fragilità non solo di Stanlio e Ollio, ma soprattutto quelle di due persone autentiche. 


Valentina Mazzella


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lunedì 11 ottobre 2021

"Dolittle": ottimo film per bambini, meno per le famiglie

RECENSIONE - Abbiamo tutti presente il film cult con Eddie Murphy "Il Dottor Dolittle" (1998)? Bene, possiamo dimenticarlo. Con il nuovo "Dolittle" (2020) di Stephen Gaghan si torna alle atmosfere originali della serie di romanzi dello scrittore britannico Hugh Lofting da cui negli anni Novanta era stata estrapolata solo l'idea del dottore capace di interloquire con gli animali. Con Stephen Gaghan, per iniziare, vengono rispolverate le originarie ambientazioni vittoriane e si punta soprattutto a un pubblico di bambini. 

Il film gode di un cast eccellente. Annovera Robert Downey Jr nel ruolo del protagonista, reduce dal successo Marvel, Antonio Banderas e Michael Sheen nei panni dei cattivi e tanti nomi importanti nel doppiaggio originale degli animali: Emma Thomson è Polynesia, il pappagallo di Dolittle, John Cena presta la voce all'orso polare Yoshi, Marion Cotillard alla volpe Tutu, Ralph Fiennes è la tigre Barry, Selena Gomez la giraffa BetsyRami Malek il gorilla Chee-Chee e infine Octavia Spencer l'anatra Dab-Dab. Gli effetti speciali e l'estetica ora vittoriana ora esotica delle scenografie sono impeccabili. Tuttavia ciò che scricchiola è proprio la sceneggiatura la quale, fra l'altro, è stata a suo tempo revisionata e riscritta più volte. 


Come anticipato, trae spunto fedele dalle trame degli omonimi romanzi originali. Hugh Lofting aveva inventato il personaggio del Dottor Dolittle per riempire le lettere ai suoi bambini quando scriveva loro dalle trincee di guerra e non esser costretto a scrivere di cose orribili o noiose. Nacque così la figura di questo medico eccentrico che preferiva curare gli animali piuttosto che le persone, un singolare veterinario capace di parlare con i pazienti di qualsiasi specie. Robert Downey Jr gli dà vita con un'interpretazione egregia, ma da solo non riesce a sorreggere l'intera impalcatura assai debole. Il film cerca di essere una produzione per famiglie, fra la commedia e le storie di avventura, quasi sullo stile de "I pirati dei Caraibi". Gli spunti ci sono tutti, ma il potenziale non è sfruttato al meglio. La comicità è basata soprattutto sulle gag fra gli animali, sufficiente per far ridere un pubblico di piccini, ma non abbastanza per soddisfare l'umorismo di genitori e persone adulte. Il ritmo dell'avventura è, ahi noi, privo di adrenalina e noioso. "Dolittle" si rivela pertanto un film da far vedere almeno una volta ai bambini, ma per il resto una sfida persa nonostante gli ottimi presupposti di partenza. 


Di Valentina Mazzella


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venerdì 8 ottobre 2021

"Adalina - L'eterna giovinezza": commedia romantica e senza pretese con una raffinata Blake Lively


RECENSIONE - E se si potesse vivere per sempre? Se fosse possibile non invecchiare mai e restare eternamente giovani e belli? Il tema dell'immortalità rimbalza dalla letteratura al cinema da lunga data ed ecco che il film "Adalina - L'eterna giovinezza" (2015) di Lee Toland Krieger si inserisce perfettamente in questo filone narrativo. La sceneggiatura di Hugh Ross non brilla esattamente per i colpi scena a sorpresa e fa spesso ricorso a espedienti semplicistici, eppure la storia cattura lo stesso lo spettatore e le sue emozioni. Il film racconta la vita di Adaline come quella di un moderno Dorian Gray: la storia di una donna nata nel 1908 che a 29 anni smette di invecchiare ed è costretta ad attraversare le varie epoche storiche cambiando identità e documenti ogni dieci anni sotto falso nome per non diventare una cavia da laboratorio. Nel frattempo vive la sua condizione come una maledizione che di fatto la condanna a vedere la figlia invecchiare e a condurre un'esistenza di solitudine, ad eccezione di fugaci amori. Tuttavia, come in ogni fiaba che si rispetti, nel finale è l'amore che salva la protagonista. 

Si tratta dunque di una commedia sentimentale e un po' drammatica che avvolge il pubblico soprattutto grazie all'estetica raffinata che le scenografie, la fotografia e i costumi riescono a ricreare. Si pensi ai vestiti, alle acconciature e al trucco capaci di esaltare la bellezza e l'eleganza senza tempo di Blake Lively, il cui talento dà giustizia a un'ottima interpretazione dell'affascinante Adalina. Il cast di tutto rispetto vanta inoltre un impeccabile Harrison Ford e il giovane Michiel Huisman. Le atmosfere che si rincorrono alle volte riportano alla mente quelle de "Il curioso caso di Benjamin Button" (2008), ma senza profonde riflessioni sul senso dello scorrere del tempo. Forse è questa l'unica grande pecca del film: l'aver rinunciato a un'analisi psicologica dei personaggi più accurata di fronte all'immortalità per arroccarsi unicamente nella dimensione romantica della vicenda. L'aver sprecato l'opportunità di meditare sul modo in cui oggi le rughe e l'invecchiamento vengano demonizzati nell'era dei bisturi, della chirurgia estetica senza freni e della giovinezza a tutti i costi e a qualsiasi età. 


Di Valentina Mazzella


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mercoledì 29 settembre 2021

"Tutti parlano di Jamie”: il musical sul ragazzo diventato Drag Queen a 16 anni


 

RECENSIONE – Glitterato e glamour quanto promesso dalle anteprime. È il nuovo musical “Tutti parlano di Jamie” di Jonathan Butterell, disponibile sulla piattaforma di Prime Video dal 17 settembre. Il film è tratto dalla storia vera di Jamie Campbell, il cui vissuto nel 2011 aveva già ispirato il documentario della BBC3 “Jamie: Drag Queen at 16” e uno spettacolo teatrale nel 2017. Il soggetto conserva infatti le parole e il libretto di Tom MacRae, mentre le musiche sono di Dan Gillespie Sells.

L’estetica del film è colorata, eccentrica e di effetto. In perfetta sintonia con il ritmo del film. Le coreografie dei balli sono estroso e adeguate a ogni momento. Spiace soltanto per il fatto che nessuna delle canzoni si imprima nella memoria e si lasci canticchiare al termine della visione. Il cast è notevole. Soprattutto il giovane Max Harwood, l’attore esordiente nei panni di Jamie che si è già autodefinito davanti alla stampa come un promettente “Tom Cruise sui tacchi a spillo”. Incredibilmente espressivo nella mimica facciale e nella gestualità, si spera di poter presto apprezzare il suo talento in nuove future produzioni.


Le tematiche affrontate sono disparate. Il film lotta innanzitutto contro i pregiudizi, le discriminazioni e il bullismo. Senza tuttavia inciampare nei toni drammatici dei vecchi tempi sullo stile del caro “Billy Elliot”. Racconta di un ragazzo, al tempo stesso fragile e determinato, che cerca la propria identità sfidando il giudizio degli altri. Jamie non ha vergogna del proprio orientamento sessuale e insegna ai compagni prepotenti che la parola “gay” non è un insulto. Il musical promuove anche l’integrazione multietnica e culturale. Ad esempio con la migliore amica di Jamie, Pritti (Lauren Patel), che è una ragazza musulmana, eppure ha un nome indiano e studia per diventare medico. La sceneggiatura non dimentica la storia ardua della ribellione delle Drag Queen nei precedenti decenni, accennando anche alla piaga e allo stigma dell’AIDS nel mondo queer. Lo fa attraverso il personaggio di Hugo, magistralmente interpretato da Richard E. Grant. 

Di rilevante importanza l’approfondimento del rapporto fra gli adolescenti e gli adulti spesso e volentieri non necessariamente nel giusto. Non parliamo unicamente dei docenti che non permettono ai ragazzi di esprimere se stessi, ma anche della relazione con i genitori. Jamie ha un padre del tutto assente che lo ripudia perché impregnato di un mentalità retrograda e patriarcale. In compenso ha una madre, Margaret (Sarah Lancashire), lo ama e lo appoggia in ogni sua scelta. Si tratta forse del personaggio più bello di tutto il musical. Alle volte Jamie, per l’arroganza legata alla sua giovane età, può apparire immaturo e ineducato. Margaret invece è adorabile in tutte le scene in cui compare. Anche quando obiettivamente sbaglia perché lo spettatore sa che commette degli errori non per tornaconto personale. Proprio la madre di Jamie è la chiave del musical che insegna ad amare i propri figli in maniera incondizionata perché al mondo non c’è nulla di peggio del non sentirsi amati dalle persone che si amano. E solo quando si è amati si impara veramente ad amare e a rispettare chi ci circonda.



Di Valentina Mazzella, pubblicato sul Napolisera.it in data 29 settembre 2021.

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venerdì 17 settembre 2021

"Sorelle per sempre", il film-tv sullo scambio di culla di Melissa e Caterina


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ECENSIONE - Commovente e drammatico al punto giusto il nuovo film-tv di Rai1 andato in onda ieri sera, "Sorelle per sempre" di Andrea Porporati. Il soggetto racconta la storia vera di uno scambio di culla avvenuto in un ospedale siciliano, presso Mazara del Vallo, il giorno del Capodanno del 1998. Caterina e Melissa (nella fiction Costanza e Marilena) furono assegnate alla famiglia l'una dell'altra per un terribile errore. La verità è salita a galla all'inizio degli anni Duemila per pura casualità: il primo giorno di asilo una maestra cercò di dare una delle bambine alla madre biologica unicamente per la forte somiglianza estetica. Le stesse mamme scorsero una somiglianza particolare che sollevò in loro timori e dubbi che già avevano assalito loro anni addietro subito dopo il parto. Da questo momento in poi un calvario fatto di analisi del sangue, di test del DNA, di tribunali, di prove per rendere la situazione più indolore possibile per le bambine. Ciononostante l'evento è stato un trauma soprattutto per i genitori, per le donne che hanno dovuto separarsi dalla creatura che avevano allattato e cresciuto fino a quel momento. Senza contare che i responsabili dell'ospedale purtroppo ancora oggi sono impuniti.

La vicenda di attualità, non troppo distante nel tempo da noi, è stata riportata sulle scene da un eccellente cast. Notevoli in testa le interpretazioni di Donatella Finocchiaro e Anita Caprioli nei panni delle due mamme. A seguire non da meno sono stati Claudio Castrogiovanni, Francesco Foti, Noemi Pecorella, Viola Seggio, Marta Brocato, Viola Prinzivalli, Rosa Pianeta, Chiara Cavaliere, Fabio Galli e Andrea Tidona. Il film ha molto tatto e coinvolge il pubblico permettendo allo spettatore di immedesimarsi negli stati d'animo divisi dei protagonisti. Il format resta quello dei film-tv tipicamente italiani. Non è stato girato con la pretesa di essere una grande produzione, eppure tocca il cuore. I dialoghi sono semplici, ma profondi. Spesso gli sguardi fra i personaggi valgono più delle parole, come anche solo una pacca sulla spalla. Il film è ancora disponibile e recuperabile su Rai-Play e a ottobre uscirà il libro omonimo a cui hanno lavorato gli stessi autori.

Nello scegliere le interpreti delle bambine si è scelto di aumentarne l'età. Nella realtà Caterina e Melissa dovevano compiere ancora i tre anni. Oggi infatti, in molte interviste, dichiarano di non avere quasi ricordi dei primi anni di vita. Non escludono che ciò possa essere riconducibile al forte trauma che hanno subito. Motivo per cui la fantomatica scena dello scambio delle bambine nella realtà è stato straziante soprattutto per i genitori, ma meno consapevole - fortunatamente - per le bimbe. Questo è stato possibile in particolar modo grazie alla forza e al coraggio di due nuclei familiari, inizialmente estranei, che a un certo punto hanno scelto di ricavare un arricchimento da un avvenimento di sventura vivendo quasi come un'unica grande famiglia. Caterina e Melissa sono cresciute perciò come due sorelle in una calorosa famiglia allargata, come avessero due mamme e due papà. Nel presente sono molto unite e convivono nello stesso appartamento come studentesse universitarie fuorisede. È stato un percorso psicologico difficile e doloroso che ancora oggi comporta dei macigni sui cuori delle persone coinvolte. Eppure, a volerne trarre una morale come dalle favole, è anche una storia che insegna come l'amore riesca a far superare gli ostacoli più insormontabili.


Di Valentina Mazzella, pubblicato sul Napolisera.it in data 17 settembre 2021.

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giovedì 16 settembre 2021

"Cenerentola” con Camila Cabello: il musical della fiaba in chiave femminista


RECENSIONE - C'era davvero bisogno di un'ennesima trasposizione cinematografica di Cenerentola? Forse no, ma il nuovo musical "Cenerentola" di Kay Cannon è così piacevole che siamo contenti di guardare anche questa nuova versione. Il film è disponibile gratuitamente in streaming sulla piattaforma di Prime Video dal 3 settembre. Si tratta infatti di una produzione Amazon, non Disney. Le riprese erano iniziate nel febbraio 2020 e da principio la pellicola era destinata alla distribuzione nelle sale cinema. Poi c'è stata l'interruzione sul set a causa dell'emergenza Covid e infine si è optato per la trasmissione sul piccolo schermo di casa. Eppure ciò nulla toglie all'entusiasmante qualità di cui il film gode.

Il primo tocco di valore è conferito dal suo ottimo cast capeggiato dalla cantante e attrice di origine cubana Camila Cabello nei panni della protagonista. Emerge così, per dire, già il primo elemento di discostamento del musical dalla tradizione disneyana che ha sempre voluto la povera sciagurata bionda ed eterea. In questo film Ella, è questo il nome anagrafico di Cenerella, è una bellezza latina più vicina agli standard della ragazza della porta accanto. Nicholas Galitzine veste i panni del principe Robert, Pierce Brosnan è il re Rowan, Minnie Driver è la regina Beatrice e a sorpresa la famiglia reale conta anche una figlia femmina, la principessa Gwen interpretata da Tallulah Greive. Presta invece il volto alla matrigna Vivien l'attrice Idina Menzel che ricordiamo forse per essere stata Nancy, la rivale in amore di Giselle, nel film "Come d'incanto". Non è inoltre marginale sottolineare soprattutto la scelta di Billy Porter per il ruolo della Fata Madrina, noto attivista della comunità LGBT.

Ovviamente non si ha la pretesa di presentare "Cenerentola" come il capolavoro cinematografico dell'anno. È viva la consapevolezza dei suoi limiti e delle pecche su cui sarebbe stato possibile lavorare meglio. Ad esempio un po' la banalità dei costumi che di solito in questo genere di film fanno sognare. Non è questo il caso perché, sebbene siano belli, sono allo stesso tempo anche trascurabili. Inclusi quelli disegnati dalla protagonista, nonostante si tratti di un'aspirante stilista. Come già detto l'opera è un musical, eppure non eccelle neanche sotto l'aspetto musicale. Le poche canzoni originali sono gradevoli, ma dimenticabili. Le altre sono invece cover con i testi rivisitati di canzoni famose come “Material Girl” di Madonna, “Perfect” di Ed Sheeran e “Let’s Get Loud” di Jennifer Lopez.  Le stesse coreografie non sono particolarmente dinamiche. Le battute scritte nei dialoghi spesso sono scontate, ma si sorride lo stesso per il buonumore trasmesso dai colori e dalla bellezza dell'estetica della fotografia.

Il musical di Kay Cannon resta un film gradevolissimo da guardare, capace di regalare allo spettatore due ore di spensieratezza. La fiaba tradizionale è stata riscritta in chiave pop, come commentano tutti, per essere più attuale e più inclusiva. Sposa molto il politicamente corretto, non per forza un demerito, e resta al passo coi tempi nonostante l'ambientazione classica. Sicuramente la tematica più trattata è quella del girl power. Camila Cabello ci offre una Ella meno passiva e per nulla remissiva, discostandosi dalla tradizione della Cinderella china per terra a lavare i pavimenti con uno straccio. Va detto che anche la matrigna e le sorellastre in questa versione non sono particolarmente cattive. Anzi, in alcune scene sembra quasi che Vivien in fondo ci tenga alla figliastra. Cenerentola qui ha ambizioni da stilista e imprenditrice. È una ragazza audace che caratterialmente ricorda un po' più Belle de "La Bella e la Bestia". Del resto il film non disdegna di strizzare l'occhio ai live-action Disney con piccoli omaggi, come appunto le coreografie nel mercato del villaggio.

A questa Cenerentola il matrimonio non interessa. E a quanto pare al principe non interessa diventare re. Ma, per restare sull'onda del femminismo, è la sorella, la principessa Gwen, ad avere la passione per la politica e il governo. Non è da meno la Regina Beatrice che non tollera di essere trattata senza riguardo da suo marito il Re. Nonostante tutto il musical conserva il romanticismo dell'intramontabile fiaba. Non vengono bandite la cavalleria e le serenate. Cenerentola preferisce essere una donna indipendente, ma il principe non si farebbe problemi a portarla fra le braccia come una fanciulla leggiadra. Forse la morale è che l'emancipazione e la carriera non escludono l'amore e il lieto fine consiste nel ritrovarsi come compagni di vita. Nel film mancano purtroppo le zucche, ma non la magia. Ecco allora che dinnanzi alla millesima versione della storia della principessa con le scarpette di cristallo è ancora possibile emozionarsi e sognare.


Di Valentina Mazzella, pubblicato sul Napolisera.it in data 7 settembre 2021.

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mercoledì 8 settembre 2021

"Il sole a mezzanotte": film banalotto anche per essere solo un teen-movie

 


RECENSIONE - "Il sole a mezzanotte - Midnight Sun" è un film del 2018, non più fresco di sala cinema. In vena di teen-movie, mi sono lasciata corteggiare dal suo trailer che l'algoritmo di YouTube mi ha più volte consigliato. Sebbene fossi scettica, mi sono fatta persuadere dai commenti incredibilmente positivi sotto al video e alla fine ho ceduto. Ho visto il film e già a mezz'ora dall'inizio avevo la conferma di quanto avevo temuto: i feedback erano favorevoli probabilmente per la tenera e immatura età del pubblico. 

L'opera infatti cavalca la scia delle storie d'amore drammatiche in pieno stile "Love Story" e "I passi dell'amore", senza aggiungere assolutamente nulla di nuovo. Senza grinta, senza sapore. Il soggetto, scritto da Eric Kirsten, è il remake di un film giapponese. Non possiamo commentare l'originale, ma la versione americana è sicuramente annegata in un mare di banalità. Piuttosto grave è soprattutto la narrazione inverosimile e romanzata che il film propone di una malattia tremenda come la xeroderma pigmentosum. Non c'è bisogno di essere medici per saperlo. Basta digitare su Google immagine e vedere le foto di vere persone affette da questo male, totalmente distanti anni luce dalla protagonista del film. 

Qualche punto a favore la produzione lo guadagna grazie alla regia di Scott Speer e alle interpretazioni valide del cast. Ma per il resto il film è di fatto noioso. Sarebbe stato più interessante anche approfondire le vicende della migliore amica della protagonista, personaggio con più pepe e potenziale. E invece no. La storia d'amore di per sé è scontata, un continuo déjà vu. La trama non è neanche ravvivata da qualche triangolo amoroso o da dei colpi di scena qua e là. Nella sua prevedibilità la storia non tocca le corde giuste e non riesce nemmeno a far commuovere veramente. Il film risulta eccessivamente trito e delude le aspettative anche nel suo essere semplicemente un film d'amore di intrattenimento per un pubblico di adolescenti. 


Di Valentina Mazzella


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martedì 17 agosto 2021

La farfalla nel sacchetto blu - racconto breve

 


"Liberala. È fatta per essere libera. Così muore" ripeteva la madre china sul figlio. 

Lui, un bambino di circa sette anni, si disperava sotto l'ombrellone per averla vinta. Stringeva in una mano un sacchetto di carta blu. "No, no, no! Non voglio! Voglio portarla a casa. Se la libero poi sono triste e piango". Il capriccio aveva tutto il sapore di una minaccia. 

"Ma non ci arriverà a casa. Morirà. Sarai felice se muore?" chiese la donna. Cercava di conservare un tono di voce dolce e pacato, ma nel mentre si guardava attorno. Spiava i bagnanti e i vicini di ombrellone che, fingendosi distratti, osservavano la scena. 

Il bambino infilò una manina nel sacchetto e ne estrasse una farfalla di un giallo pallido. La tratteneva stringendone le delicatissime ali fra l'indice e il pollice. Agitava il braccio in aria. "Non mi interessa. Se la libero piango! Non voglio che sia libera. Poi piango. Voglio portarla a casa". 

Intervenne il padre. Con maggiore fermezza invitò il bambino a essere più ragionevole. "Dai, che ti insegno a guardare i pesciolini sott'acqua con la maschera" promise. 

Il figlio ripose la farfalla nel sacchetto blu con i lacrimoni agli occhi. Lo fece con gesti lenti ed esitanti. Non era convinto della propria scelta. Singhiozzava e tirava su con il naso. 

Il padre lo accarezzò sulla testa. Prese il sacchetto e lo aprì con garbo. La farfalla ne uscì con scarso equilibrio e un volo instabile. Aveva perso un po' della sua grazia, ma finalmente era salva. Si allontanò lentamente. Volava basso, a non più di un metro da terra. Come fosse già stanca, si posò presto su uno scoglio a due passi dall'ombrellone della famiglia. Forse per riposare, per riprendere le energie. 

"Non voglio che sia libera! Non voglio! Non voglio!" iniziò a gridare il bambino a squarciagola. Piangeva rosso in viso. Seguì la farfalla fino alla roccia. "Adesso sono molto triste! Molto molto triste!".

"Ma è nata per essere libera. Non puoi tenerla prigioniera" spiegò la madre sbirciando sempre attorno. Probabilmente cercava approvazione oppure temeva di apparire una madre incapace di educare il figlio. Era in imbarazzo. 

"La rivoglio! La rivoglio!" protestava il bambino piangendo sempre più forte. 

"Ma morirà".

"La voglio! La voglio!".

Il padre esausto, stanco di quella scenata, raggiunse lo scoglio con in mano il sacchetto di carta blu. Catturò la farfalla gialla per le ali tremanti e la intrappolò di nuovo. Consegnò il sacchetto al figlio e in silenzio tornò all'ombrellone. Si accomodò su lettino disposto all'ombra. Non pronunciò una parola. Con gli occhiali da sole sul naso, si isolò dal mondo. 

La moglie si guardò ancora attorno con un'espressione colpevole. Abbassò lo sguardo. Il bambino corse felice e soddisfatto verso la riva con il sacchetto stretto nella manina. Il mare era limpido e fresco per giocare. 


Di Valentina Mazzella


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lunedì 22 marzo 2021

"In arte Nino”: il delicato omaggio a Nino Manfredi andato ieri in onda

RECENSIONE – Un delicato omaggio al grande Nino Manfredi è stato il film “In arte Nino” trasmesso ieri sera in prima visione su Rai1. E soprattutto un eccezionale successo che ha quasi raggiunto i 6 milioni di spettatori, rivelano i sondaggi. Il film, prodotto proprio dalla Rai Fiction, è stato diretto fra l’altro da Luca Manfredi (figlio di Nino Manfredi ed Erminia Ferrari… E scusate se è poco!). Pertanto racconta episodi e fatti in maniera abbastanza veritiera e ricca di dettagli.

Le deliziose musiche leggere di sottofondo, le gradevoli scenografie anni ’40 e l’imponenza delle architetture storiche dell’antica Roma hanno sicuramente conferito un loro tocco speciale alla produzione. Tuttavia la sceneggiatura semplice è stata valorizzata in particolar modo dall’ottima interpretazione di Elio Germano, già noto al grande pubblico per il talento di cui ha dato prova in precedenti pellicole quali “Mio fratello è figlio unico”, “La nostra vita” e “Il giovane favoloso”. La mimica facciale, la gestualità, l’impostazione del modo di parlare e l’atteggiamento nel camminare hanno dimostrato come Germano nei panni di Manfredi sia stato all’altezza del ruolo, rivelando tutte le sue doti recitative.

La trama ha ripreso gli anni fra il 1939 fino al 1959. La storia infatti parte dagli anni del sanatorio in cui Manfredi restò per tre anni perché malato di tubercolosi negli anni della scuola superiore. Segue il racconto dei suoi sacrifici fra gli studi universitari per prendere la laurea in Giurisprudenza, come desiderato dal padre, e la formazione presso l’Accademia Silvio D’Amico per inseguire una passione in cui la sua famiglia non credeva. Poi i primi provini, le prime comparse… l’incontro e il matrimonio con la moglie Erminia Ferrari, interpretata da Miriam Leone. Infine la prima presenza a Canzonissima e la sua consacrazione come Nino Manfredi.


Un ritratto fedele e poetico di un grande artista, commovente e divertente allo stesso tempo. Una riverenza ben riuscita a un mostro sacro della televisione e del cinema italiano, ma anche la ricostruzione della vita del padre di un figlio devoto.


Di Valentina Mazzella, pubblicato sul Napolisera.it in data 26 settembre 2016.

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sabato 20 marzo 2021

"Carosello Carosone”: un omaggio al genio musicale del grande artista e uomo


RECENSIONE – Leggero, spensierato e colorato il film “Carosello Carosone” con la regia di Lucio Pellegrini trasmesso ieri sera su Rai1 in prima serata. Secondo i migliori pronostici, il prodotto ha pienamente soddisfatto le aspettative più ottimiste del pubblico. È un altro piccolo bijou realizzato dalla Rai Fiction in collaborazione con la Groenlandia, capace di trasmettere buonumore agli spettatori. Un omaggio al grande maestro Renato Carosone che è uno dei musicisti della storia italiana più famosi a livello internazionale. Non solo, è stato anche un artista capace di portare la canzone napoletana a spasso per il mondo.

Pregevole l’interpretazione del cast che del resto ha annoverato nomi già sinonimi di garanzia. Attori giovani, ma di talento. Presta il volto al protagonista Eduardo Scarpetta, trisnipote omonimo del commediografo napoletano e volto già noto per aver recitato in tv ne “L’amica geniale” e al cinema in “Capri-Revolution” di Martone. Non da meno sono Vincenzo Nemolato (Paradise, Gomorra – La serie) nei panni di Gegè Di Giacomo, il batterista-fantasista sempre con Carosone, e la splendida Ludovica Martino (Eva di “Skam Italia” e non solo) come Lita Levidi, la moglie del musicista.

La sceneggiatura si è concentrata sugli eventi dall’anno del diploma a Napoli in pianoforte presso il conservatorio di San Pietro a Majella fino al ritiro dalle scene nel picco del successo a 39 anni. Sono stati narrati i viaggi, i sacrifici, piccoli aneddoti, gli incredibili traguardi e i piccoli drammi familiari di Carosone. Il tutto con un ritmo incalzante e un montaggio alle volte frenetico, ma sempre perfettamente in linea con le musiche del maestro che si rivelano squisitamente il cuore pulsante del film. Musiche che per l’occasione sono state curate da Stefano Bollani con notevole diligenza.

La nota più preziosa sicuramente è stata la scelta di porre attenzione non solo sulla figura di Renato Carosone in qualità di personaggio pubblico. Si è posto l’accento anche sull’uomo che è stato lontano dal palco e dai riflettori, sul Renato Carosone persona che nel privato era un figlio, un marito e un padre devoto alla famiglia e agli amici. Tenerissima la sua storia d’amore con Lita che decise di sposare nonostante i pregiudizi del tempo che non giudicavano con riguardo una ragazza-madre. Da lì in poi un matrimonio durato 63 anni durante i quali Carosone ha sempre fatto da padre al figlio di lei, Pino. Una verità fra l’altro emersa solo di recente, in quanto a lungo insabbiata a causa della mentalità retrograda dell’epoca. Una notizia che evidenzia il valore aggiunto di un artista brillante che innanzitutto è stato un’anima generosa oltre che un indiscusso genio della musica. 


Di Valentina Mazzella, pubblicato sul Napolisera.it in data 19 marzo 2021.


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sabato 13 marzo 2021

"Il principe cerca figlio": sequel celebrativo, simpatico e tranquillamente dimenticabile


RECENSIONE – Non inaugurerò il discorso ponendo la domanda retorica: “C’era davvero bisogno di questo sequel?”. Sarebbe una polemica sterile: i sequel si fanno. Punto e basta. Si fanno e, ovvio, campano di rendita grazie al successo dei film che li precedono. Puntano in maniera inconfutabile al pubblico affezionato a un determinato prodotto cinematografico, ne cavalcano l’onda nostalgica e confidano nella fedeltà e nella curiosità degli spettatori. Non è assolutamente un segreto di Stato. E il nuovo film “Il principe cerca figlio” (“Coming 2 America”) di Craig Brewer, disponibile sulla piattaforma Prime Video dal 5 marzo, non è da meno. Si tratta innegabilmente di un’operazione commerciale, interessante da guardare se non altro per la piacevolissima reunion del vecchio cast de “Il principe cerca moglie” di John Lendis del 1988. Nel nuovo racconto il caro Akeem a distanza di trent’anni diventa re e scopre di avere un figlio illegittimo negli USA. Per gestire alcuni conflitti politici, parte ancora per il Queens per recuperare il suo unico erede maschio e portarlo a Zamunda (la nazione africana di fantasia di cui, ricordiamo, è sovrano) dove un matrimonio combinato attende il giovane.


Nulla da contestare all’interpretazione impeccabile degli attori. Sotto questo aspetto il pubblico italiano è rattristato unicamente dal doppiaggio di Eddie Murphy a cui per anni ha prestato la voce e l’iconica risata Tonino Accolla, venuto purtroppo a mancare nel 2013. La faccenda diventa più spigolosa nel momento in cui si desidera commentare la trama e l’umorismo del film in toto. A questo proposito formuliamo innanzitutto la premessa che, se confezionati bene, non è detto che i sequel rappresentino sempre il male in terra a prescindere. Come in questo caso, spesso l’importante sta nell’approcciarsi alla visione del seguito con aspettative molto molto basse. È forse questa la soluzione per attutire il sentimento di delusione che ha pervaso in tanti al termine delle due ore. Il film è una grandissima celebrazione dei fasti della pellicola di Lendis. Tant’è che, con la scusa dell’omaggio cinematografico, ne cita pedissequamente battute, gag e addirittura alcuni spezzoni inseriti nel montaggio sotto forma di flashback ed evocazioni narrative.



La sceneggiatura è fortemente prevedibile, ma non è veramente questo il suo vero problema. Del resto anche “Il principe cerca moglie” non ha mai brillato per originalità e colpi di scena. Ciononostante è diventato ugualmente un cult del cinema perché è una commedia scritta bene, con equivoci e intrecci scanditi dai tempi giusti della comicità. Esattamente quanto non accade ne “Il principe cerca figlio” in cui la storia non si sforza nemmeno di giocare con il dubbio e i grovigli. Inoltre, nonostante si trattasse di una commedia soprattutto comica, nel film di Lendis il corteggiamento di Akeem per conquistare il cuore di Lisa faceva ugualmente sognare. La scena della dichiarazione d’amore nel vagone della metropolitana in corsa era commovente e zuccherosa al punto giusto. Sfido chiunque a non ricordarla. Non c’è invece particolare romanticismo nell’avvicinamento del nuovo principe Lavelle (Jermaine Fowler) alla sua bella amata. E se gli spettatori adorano i vecchi personaggi, a questo giro non ci si affeziona per nulla ai nuovi che non sono caratterizzati in maniera adeguata. In aggiunta nella vicenda sono inserite tantissime scene di ballo e canto immotivate che non hanno nemmeno la carica e l’estro delle danze di presentazione de “Il principe cerca moglie”. Alle volte è sembrato di essere davanti a un musical che non ha creduto abbastanza in se stesso per essere tale.


Il film prova in più occasioni a far ridere attraverso l’inserimento di situazione nonsense (esempio a caso un funerale senza vero defunto). L’umorismo ha davvero un tono basso per tutta la narrazione. Sarebbe stato interessante contare le risate in sala durante una proiezione collettiva al cinema. Precisiamo: non è un prodotto pessimo, ma neanche eccellente. Per dirla in breve il fatto che sia un sequel non giustifica la sua mancanza di personalità. Tuttavia è da considerare almeno un pregio la consapevolezza della produzione che non si prende troppo sul serio ed è la prima, durante un dialogo fra due personaggi nel corso della storia, a ironizzare sull’inutilità di certi sequel. E lo dimostra anche la sfrontatezza con cui fa ricorso a un product placement a dir poco spudorato. Magistrale l’insolenza con cui in alcune scene si promuove ad esempio la Pepsi, per dirne una fra tante.



Sarebbe stato molto stimolante invece approfondire la satira dei temi appena accennati nei dialoghi fra gli anziani nella bottega del barbiere nel Queens. Lanciare più frecciatine alla politica, all’attualità e all’evoluzione del quartiere in trent’anni. Invece si è preferito sorvolare, sprecando delle preziose opportunità. Sicuramente perché anche la sceneggiatura de “Il principe cerca figlio” è stata imbavagliata dall’imperante politicamente corretto del presente. Anche se meno di quel che si è indotti a pensare a primo impatto. Certo, sono calate vertiginosamente le battute a sfondo sessuale e il film accarezza teneramente argomenti importanti come la parità di genere e l’emancipazione femminile. Ciò accadeva anche nel primo film in realtà, ma questa volta ciò avviene in maniera molto più superficiale. Si poteva fare di meglio.


(Segue una piccola anticipazione!)


 


Eppure d’altro canto lo stesso film sminuisce la gravità di un episodio a proposito di cui, a parti inverse – se Akeem fosse stato una donna – avremmo parlato senza se e senza ma di un abuso sessuale. Di uno stupro sotto effetto di droghe. Ma poiché il protagonista è un uomo, l’aneddoto può essere serenamente oggetto di risate. Un grosso scivolone… In conclusione “Il principe cerca figlio” è un film simpatico, gradevole da guardare una sola volta. Meglio se gratis. Fa sorridere, fa compagnia. Ciononostante è tranquillamente dimenticabile.



Di Valentina Mazzella, pubblicato sul Napolisera.it in data 12 marzo 2021.


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martedì 23 febbraio 2021

Il bicchiere vuoto - racconto breve



"Ma guarda! Non ci posso credere!" ripeteva Anna davanti al televisore in cucina. Sedeva al tavolo in pigiama, con le gambe incrociate sulla sedia. Aveva preparato una grossa tazza di latte caldo che adesso gustava in tutta calma con dei cereali. Nel frattempo guardava l'edizione notturna dell'ennesimo telegiornale che mostrava le immagini degli assembramenti per le compere natalizie. 
"Siamo in pandemia! Cosa non capiscono?" cantilenava ancora agitando una mano contro il televisore. 
Alle sue spalle Serena stava in piedi appoggiata al lavello. Sorseggiava una tisana e seguiva anche lei apaticamente le ultime notizie. Non si indignava con lo stesso pathos dell'amica. 
La cucina era avvolta nella penombra. A far luce solo lo schermo del televisore e la lampadina della cappa sopra i fornelli. 
"A casa! A casa dovete restare" insisté di nuovo Anna, come se la folla di quelle riprese potesse ascoltare la sua voce. 
Serena scostò lo sguardo a sinistra e si sorprese a fissare il panorama di palazzi illuminati moderatamente a festa oltre il vetro della portafinestra del loro balcone. 
"Anna, mi stavo chiedendo..." disse all'improvviso. Poi esitò. 
L'amica si voltò di poco verso di lei: "Dimmi".
"Secondo te... Cosa bisogna fare se non si riesce a entrare in casa?".
Anna la guardò un po' stranita. Afferrò il telecomando e abbassò il volume del televisore. "In che senso?" le chiese. "Da dove ti viene questa domanda?".
"Niente" disse evasiva Serena. "Hai detto la parola casa e ci ho semplicemente pensato..." cercò di giustificarsi ancora.
Anna socchiuse gli occhi come due fessure e assottigliò le labbra. Sembrava sospettosa e allo stesso tempo pensierosa. "Beh... Chiamo i pompieri" rispose infine. 
"No, senza chiamare i pompieri... Ad esempio ho un mazzo di chiavi e le provo tutte, ma la serratura non vuole proprio saperne. La porta d'ingresso non si apre" spiegò Serena stringendo il bicchiere della sua tisana calda a due mani. 
La sua coinquilina scoppiò a ridere. Come faceva sempre, arricciando il naso con una scintilla buffa negli occhi: "Sei sicura allora di non essere ubriaca? Non è che stai cercando di entrare in casa di qualcun altro? Magari è per questo che le chiavi non funzionano!".
"Ma no..." sbottò Serena, piuttosto infastidita dell'umorismo dell'amica. Si sentì incompresa e abbassò lo sguardo. 
"Non essere permalosa. Scherzavo..." disse Anna tornando sull'attenti. Smise di ridere. Non aveva pensato di poter essere inopportuna solo per una banale battuta. 
Serena rimase in silenzio. 
"Comunque in tal caso farei come i pompieri. Se non posso chiamarli, farei almeno quello che farebbero loro. Proverei a entrare dal balcone. Si può entrare dal balcone... Non posso mica buttare giù la porta. Entrerei dal balcone o da una finestra... È possibile? È una casa al pian terreno?" provò a ragionare e ad argomentare Anna in preda a un forte desidero di ingraziarsi di nuovo l'amica. Davvero non sopportava vederla di cattivo umore. 
Serena strinse le labbra e iniziò ad annuire da sola, come a se stessa. "Dal balcone o da una finestra..." prese a borbottare. 
"Sere, ma di che cosa parli in realtà? È per caso un altro dei tuoi sogni? A me puoi dirlo" la incoraggiò Anna. 
Serena non rispose. Si era completamente estraniata. Complice la luce soffusa, l'amica iniziava ad avere un po' paura. Non le piaceva vedere una persona così assorta in se stessa. 
"Nei sogni funziona diversamente... Io una volta ho sognato che percorrevo un vialetto. Camminavo, camminavo, camminavo... E poi? Raggiungevo una piccola rampa di scale: stretta stretta. A sinistra una parete ricoperta di muschio e a destra una vecchia ringhiera in ferro. Salivo i gradini e alla fine mi ritrovavo davanti a un cancelletto. Non avevo la chiave, sai. Eppure indovina cosa c'era oltre quel cancelletto?" chiese Anna. 
"Cosa?" domandò Serena. L'amica era contenta di aver destato nuovamente la sua attenzione. 
"Beh, il nulla. Un dirupo. Non era veramente necessario che io aprissi quel cancelletto. Avevo fatto tanta strada a vuoto..." concluse Anna con tono molto delicato. 
"Ma il mio esempio non era un sogno..." mormorò Serena. Poi sollevò il bicchiere con la tisana e aggiunse: "Stasera mi sento un po' strana. Forse sarà l'atmosfera natalizia... Hai mai l'impressione di essere intrappolata sul fondo di un bicchiere vuoto?".
"Un bicchiere vuoto?" ripeté Anna sgranando un attimo gli occhi. Le sembrava un'immagine molto triste. 
"Sì... Sei lì che provi a risalire, ma le pareti sono lisce e ogni volta ricadi sul fondo". Forse Serena non se ne rendeva conto, ma dicendo queste cose la voce aveva iniziato a tremarle. Gli occhi le erano diventati lucidi. Anna non si sarebbe stupita se avesse cominciato a piangere. 
"Ma Sere... Se allora non si può uscire in questo modo dal bicchiere, bisogna rovesciarlo".
"In che senso rovesciarlo?".
"Se non è possibile risalire le pareti in verticale, ci sarà un modo per far cadere il bicchiere di lato. Probabilmente girerà un po' su se stesso, ma poi si fermerà. A quel punto le pareti saranno in orizzontale e sarà possibile uscire!" chiarì Anna con particolare convinzione e il suo solito ottimismo.
Serena rimase colpita. Riprese ad annuire con il mento e spostò di nuovo lo sguardo sul vetro della portafinestra del balcone. Fuori la città era illuminata a festa per il Natale. 



Racconto di Valentina Mazzella


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