giovedì 17 dicembre 2020

"Le memorie di un pazzo" di Gogol' e il realismo fantastico


RECENSIONE - Se qualcuno avesse voglia di una lettura breve e sfiziosa, sicuramente dare un'occhiata a "Le memorie di un pazzo" di Nikolaj Vasil'evič Gogol' potrebbe rivelarsi un'ottima soluzione. È un racconto lungo pubblicato per la prima volta nel 1835 nella raccolta "Arabeschi" e poi nel 1842 all'interno della raccolta successiva e selezionata nota col titolo "Racconti di Pietroburgo". 

La narrazione è un esempio di realismo fantastico. La storia è scritta in prima persona come si trattasse di un diario e racconta la graduale perdita di lucidità e raziocinio del protagonista. Aksentij Ivanovič Popriščin è infatti un semplice consigliere titolare insoddisfatto del proprio lavoro, della propria vita e della propria condizione sociale. Tormentato da innumerevoli complessi di inferiorità, inizierà poco alla volta a mostrare segnali di squilibrio mentale. Innamorato, senza essere corrisposto, della figlia del suo capoufficio, Aksentij Ivanovič Popriščin si convincerà di riuscire a parlare con la cagnetta della ragazza, Maggie, fino a plocamarsi infine il Re di Spagna con il nome di Ferdinando VIII. 

Una storia di assurdo delirio di cui Gogol' si serve per rappresentare su carta tutta la mediocrità del genere umano. Dà libero sfogo alla sua fantasia per creare un realismo che è gioiello della letteratura russa. Un realismo che coniuga una certa vena di comicità con il racconto e la denuncia severa di un'amarezza che avvelena veramente la realtà di tutti i giorni. 


Recensione di Valentina Mazzella

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martedì 15 dicembre 2020

La gazza ladra - racconto breve

 


C'era un piccione ai piedi del tavolino accanto. Aveva un'unica zampetta e un piumaggio in condizione pessime. Beccava briciole di biscotti sull'asfalto. Serena lo osservava con sguardo spento, eppure con attenzione. Si chiedeva in quale circostanza quel pennuto fosse rimasto menomato e con quale frequenza i piccioni siano soliti azzuffarsi fra loro. 
Al tavolino da cui cadevano le briciole era seduta una famigliola. Un uomo e una donna che non si parlavano. Lei era molto presa da una bambina intrappolata in un passeggino. Sicuramente sua figlia, una bimba che sbocconcellava un biscottino con le manine imbrattate di saliva. Era lei a fare l'elemosina al piccione.
Con gli occhi bassi di chi preferisce non parlare, all'improvviso la madre le alzò il cappuccio e la cerniera del giubbottino rosa. Lo fece con scatti irruenti, conducendo il cursore fino al collo. Si era levato un soffio di vento ed effettivamente si avvertiva un po' di freschetto. Ciononostante Serena percepì un accanimento prepotente in quelle premure materne.

Sospirando tornò a posare lo sguardo su Anna che sorseggiava un tè fumante da una grossa tazza bianca. Come al solito aveva la testa fra le nuvole, questa volta rapita dagli aromi della tisana calda.
"La prossima volta dentro al bar, non all'aperto" borbottò Serena alzando il collo del maglione fino al mento.
"Perché? Non stai bene qui? Dai, ci sono ancora dei raggi di sole tiepidi!" commentò entusiasta Anna. L'amica si limitò a rispondere con una mezza smorfia.
"Hai fatto qualche sogno strano di recente?" chiese Anna girando il cucchiaino nella tazza del tè.
"Non saprei... Ti ho raccontato quello di un paio di notti fa in cui...?". Prima di proseguire Serena esitò. Raccontando il sogno sapeva bene a cosa sarebbe andata incontro. La coinquilina avrebbe iniziato a ciarlare, a spezzettare minuziosamente ogni dettaglio della storia per analizzarlo e provare a dare un'interpretazione. E lei non era esattamente di buonumore. Non aveva molta voglia di ascoltare i vaneggiamenti di Anna quella mattina. Tuttavia lo sguardo vispo e curioso dell'amica la spronò. Il nasino arricciato, la pacatezza con cui sorrideva in attesa e la calma con cui aveva smesso di girare il cucchiaino nella tazza comunicavano tutto il desiderio di Anna di ascoltare il sogno.
Serena si arrese e iniziò a raccontare senza troppi preamboli: "Beh... Sono nella mia vecchia casa. Entro in camera mia e vedo subito che sul mio letto ci sono disseminati tantissimi oggetti. È giorno, ma non mattina. La luce è quella un po' fiacca del tardo pomeriggio. Sul mio letto c'è una gazza ladra. Oddio, è un uccello nero lucido con sfumature colorate e la coda lunga. Non sono un'esperta, ma credo che le gazze siano fatte così... In ogni caso io nel sogno ero super convinta che si trattasse proprio di una gazza che inizia a beccare fra le mie cose e... Prende qualcosa, non so cosa e vola via! Esce dalla finestra aperta. Non ho potuto fare nulla per fermarla. Allora corro a controllare gli oggetti sparsi sul mio letto, soprattutto nel punto in cui ho visto la gazza beccare. Oh, c'è di tutto... Cianfrusaglie varie, cose importanti: gioiellini, collane, elastici per capelli, documenti... Sembra che qualcuno abbia rovesciato il contenuto dei miei cassetti. Improvviso una sorta di inventario mentale e non manca nulla. Verifico se ci siano ad esempio gli orecchini di perla o il punto luce o altra roba preziosa perché ricordo che alle gazze ladre piacciono le cose che luccicano... Però non manca nulla! C'è tutto! Quando il sogno sta per concludersi mi guardo attorno smarrita perché sono sicura che la gazza mi ha derubata e ha portato via qualcosa, ma non so cosa... Poi mi sono svegliata".
Pur senza alzarsi in piedi, Anna iniziò a saltellare con il sedere sulla sedia. A tal punto da far urtare le ginocchia sotto al tavolo. La tazza del suo tè e il caffè di Serena tremarono con un lieve tintinnio dei cucchiaini. 
"Una gazza ladra!" disse Anna con gridolino acuto. Era letteralmente in preda all'entusiasmo.
Di fronte a quella inaspettata reazione, Serena sobbalzò dallo spavento. "Ma che ti prende?" esclamò di getto.
"Una gazza ladra" ripeté Anna lentamente e con voce più bassa. Il tono di chi dà per scontato che quelle tre semplici parole valgano una risposta piuttosto ovvia. Peccato che il significato, a quanto pare tanto scontato per Anna, non fosse così lampante anche per l'amica.
"Sì, e allora? C'è bisogno di capovolgere il tavolo?" brontolò Serena. Nel frattempo lanciò delle occhiate furtive agli altri clienti, come per controllare se quei gridolini avessero attirato l'attenzione di qualcuno. Di lato i genitori della bambina proseguivano placidamente a ignorarsi.
"É un'immagine onirica molto interessante! Come sempre anche questa può avere mille sfaccettature... Per alcune culture esoteriche rappresenta il simbolo del nostro spirito guida..." spiegò Anna con voce sommessa, piegandosi sulla tazza del tè. 
"Non mi interessa l'esoterismo, lo sai..." le ricordò Serena per troncare sul nascere qualsiasi discorso potesse degenerare in credenze arcaiche prive di fondamento scientifico.
"... oppure potrebbe essere espressione di una tua esigenza presente. Il tuo subconscio magari ti sta comunicando che devi selezionare meglio i tuoi obiettivi. Non devi rincorrere false idee, falsi sogni... Sai, per la storia che le gazze siano attratte soprattutto da oggetti luccicanti. Eppure...".
"... non tutto ciò che luccica è oro" concluse Serena pensierosa. 
"Esatto" disse Anna, annuendo animatamente con la testa.
"Mi sembra abbastanza plausibile come interpretazione... Però non ero io la gazza" commentò Serena grattandosi la testa. 
"Potrebbe essere stata una tua proiezione" rispose l'altra. Serena aggrottò la fronte un po' scettica. 
"In ogni caso, stando al metodo di Freud, anche la tua opinione è molto importante. Nell'interpretazione più o meno corretta di un sogno, gioca un ruolo decisivo anche l'associazione che lucidamente il soggetto fa da sveglio. A te ad esempio a cosa fa pensare comunemente una gazza ladra?" le domandò Anna sorseggiando finalmente il suo tè. Aveva smesso di fumare già da un po' e a Serena venne il dubbio che non fosse diventato solo tiepido, ma addirittura freddo.
"Non saprei...".
"Pensaci".
"Mh... La gazza mi fa pensare alla natura, al massimo ai tetti. Non è un uccello che vedo tutti i giorni per strada in città come i piccioni" rifletté Serena posando lo sguardo su dei colombi grigi in cerca di briciole nei paraggi del loro tavolino.
"Ecco, nel tuo sogno la gazza potrebbe dunque essere emblema di un aspetto di te stessa più selvatico e autentico..." ipotizzò Anna assumendo una postura quasi professionale. 
"Ma non saprei... Al risveglio avevo soltanto la sensazione di essere stata derubata di un qualcosa" replicò Serena con rassegnazione. 
"Ma nello stesso sogno hai detto di aver controllato e che c'era tutto".
"Sì...".
"E allora è solo una sensazione. Hai tutto" insisté Anna con un'inflessione della voce molto dolce. Per un attimo fu difficile stabilire se stesse parlando ancora del sogno o della realtà. "E se anche fosse, hai perso qualcosa di esterno. Tu sei tutta intera".
Serena sollevò lo sguardo. In cuor suo comprendeva il valore rassicurante di quelle parole, ma detestava quando l'amica giocava a farle da terapeuta. Scelse di non rispondere. Posò gli occhi su dei piccioni per terra che muovevano ritmicamente il collo. Con passo spavaldo stavano per avvicinarsi alla sua sedia. Serena pensò ancora alla gazza ladra dalle piume lucenti e la coda lunga. Ingoiò una sensazione spiacevole e con un calcio nel vuoto fece volare via i piccioni.


Racconto di Valentina Mazzella


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giovedì 19 novembre 2020

"Uomini e topi": il sogno americano infranto secondo Steinbeck


RECENSIONE - "Noi invece è diverso […] perché io ho te che mi stai dietro, e tu hai me per star dietro a te": sono le parole semplici e rassicuranti ripetute a più riprese da George e Lennie, i due protagonisti del romanzo "Uomini e topi" di John Steinbeck. La storia è quella di due amici che attraversano la California degli anni Trenta prestando lavoro in diverse fattorie con lo scopo di racimolare abbastanza soldi e acquistare un giorno un ranch tutto loro. George e Lennie sono l'uno l'opposto dell'altro: il primo è fisicamente molto minuto, ma dotato di acume e scaltrezza. Il secondo, in antitesi al proprio cognome che è Small (un lampante esempio di ossimoro), è molto grosso e forzuto. Purtroppo però ha un ritardo mentale. Per questo motivo tocca a George occuparsi di Lennie, nonostante il peso e le grane che questa responsabilità spesso comporta. 

Steinbeck, Premio Nobel per la Letteratura nel 1962, è stato un importante esponente della "Lost Generation", la generazione di scrittori statunitensi che intorno agli anni Venti annoverò fra le proprie file Ernest Hemingway, Francis Scott Fitzgerald, Henry Miller, Ezra Pound e altri autori. Pilastro portante del loro movimento letterario è la narrazione del celeberrimo "sogno americano" infranto e della disillusione di cui la società era impregnata nel primo dopoguerra. Sentimenti di rassegnazione e amarezza pertanto permeano anche le pagine di questo capolavoro. In "Uomini e topi" Steinbeck racconta ai lettori cosa siano il senso di alienazione, la solitudine, l'emarginazione, la discriminazione, l'ingiustizia sociale, l'impossibilità di cambiare la propria condizione. Lo fa attraverso la storia di un'amicizia molto tenera, destinata tuttavia anch'essa a soccombere in un mondo in cui anche solo sognare una realtà migliore appare sciocco agli occhi dei più cinici. Lo stile è sobrio e scorrevole; i dialoghi curati e schietti: insieme regalano una rappresentazione nitida delle situazioni in cui tutti i personaggi si muovono e agiscono in maniera quasi palpabile. Una prosa che tocca il cuore senza ricorrere a moralismi e toni melensi. 

Ogni tentativo di riscattarsi da una vita di stenti si rivela invano e destinato inevitabilmente al naufragio. I sogni, le aspirazioni e le ambizioni sembrano le fantasie dei poveri illusi, di chi non ha sale in zucca e senso pratico. La disarmante ingenuità del grande e grosso stupido Lennie è struggente. La sua fiducia riposta nell'intelligente e astuto George così profonda che il lettore stesso forse gli affiderebbe la propria vita. Le tematiche affrontate da Steinbeck sono molteplici: c'è ad esempio Crooks, uno stalliere nero escluso da tutti nella fattoria in linea con la mentalità razzista diffusa ancora nell'America del Sud all'epoca della Grande Depressione. Un'esistenza di frustrazione e insoddisfazione quella della moglie del prepotente e spietato Curley, una donna che da giovane avrebbe desiderato diventare un'attrice del cinema e si ritrova invece nel presente a girovagare nel ranch del marito violento in cerca di attenzioni e qualcuno con cui relazionarsi. Descritta dagli uomini della fattoria come una poco di buono e "un'esca per la galera", la malinconia e la solitudine di questo personaggio passa quasi in sordina. 

Di rilievo è il vecchio Candy, un anziano bracciante con una sola mano che ormai non può più lavorare come gli altri. Candy offre interessanti spunti di riflessione sulla concezione puramente utilitaristica di frequente ricorrente nel lavoro, nei rapporti umani e in altri ambiti. L'episodio in cui gli amici lo persuadono a un certo punto ad abbattere il suo fedele cane, perché ormai vecchio e puzzolente, è forse la vera chiave di lettura di tutto il romanzo. Del resto è emblematico il titolo dell'opera con cui probabilmente l'autore ha voluto rammentare al lettore come gli uomini e i topi siano legati dalla medesima condizione e dallo stesso incontrovertibile destino. Un po' come i topini che nelle prime pagine il povero Lennie ammazzava accidentalmente quando li infilava nelle tasche di nascosto solo per accarezzarli un po' col dito. Con le migliori internazioni, senza tuttavia esser capace di calibrare la forza delle sue manone. 


Recensione di Valentina Mazzella


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giovedì 29 ottobre 2020

"Mare Fuori": la serie tv che promuove la speranza




 RECENSIONE - Il mare. Il mare di Napoli. Il mare contemplato attraverso le sbarre delle finestre di Nisida. È proprio lui il veicolo del grande messaggio di speranza e riscatto promosso da "Mare Fuori", la serie televisiva italiana trasmessa dal 23 settembre ogni mercoledì su RaiDue. La fiction, guidata dalla regia di Carmine Elia, è ambientata infatti presso l'Istituto di Pena Minorile della città partenopea in cui sono detenuti ragazzi e ragazze che hanno commesso dei reati prima del raggiungimento della maggiore età. Al pubblico viene proposto un intreccio di storie molto diverse fra loro, ognuna delle quali sposa un  particolare argomento di attualità. Il ventaglio delle tematiche affrontate non si fossilizza esclusivamente sul problema della criminalità minorile da strada e quello delle influenze territoriali della camorra. La serie racconta infatti anche della violenza domestica in famiglia, dello stalking e del femminicidio, della tossicodipendenza, dell'autolesionismo e dell'uso irresponsabile dei social fra i più giovani. I protagonisti sono pur sempre degli adolescenti, motivo per cui "Mare Fuori" appare in primis essere una serie di formazione. Pertanto sterili sono le critiche di quanti, con tono polemico, l'hanno additata come l'ennesima fiction sulla scia di "Gomorra", ingiuriando inoltre che sia un prodotto infangante per la reputazione della città. Sebbene non manchino scene di scippi, spaccio, furti e vera criminalità organizzata, "Mare fuori" non sceglie Napoli come location unicamente per gli spunti narrativi che offre, ma anche per la suggestione scenografica dei suoi panorami e per la teatralità della sua gente.

I conflitti genitori-figli, le disparità sociali ed economiche, la discriminazione etnica, le prime cotte e i primi amori, i sogni infranti, la maternità, la pedagogia, il valore della famiglia e dell'amicizia sono problematiche universali che in contesti diversi e dimensioni ridotte magari molti spettatori possono aver sperimentato sulla propria pelle. Al di là di ciò ogni storia in "Mare fuori" scuote le coscienze sollevando dilemmi etici. Niente è banalmente solo nero o solo bianco. Divorato dal dubbio, la fiction costringe il pubblico a riflettere e a interrogarsi. In preda a un confuso discernimento fra cosa sia giusto o sbagliato fare, lo spettatore si immedesima nei personaggi e si domanda cosa avrebbe fatto nei loro panni in situazioni analoghe.

La sceneggiatura di Cristiana Farina e Maurizio Careddu è scritta egregiamente. Con tempi accattivanti, le dosi giuste di drammaticità e azione e la suspense inserita nei momenti più opportuni, riesce a catturare l'attenzione per tutta la durata degli episodi. In realtà ci sono alcune scelte narrative abbastanza discutibili. Parliamo di determinati espediente che risultano poco credibili, necessari solo per forzare lo svolgimento delle vicende. Ad esempio la mancata assistenza psicologica per i detenuti con evidenti problemi di tossicodipendenza (Serena) e problemi di personalità dissociate (Viola) o l'inesistenza degli assistenti sociali in tante situazioni. Tuttavia "Mare Fuori" propone trame così coinvolgenti e dall'impatto emotivo così grande che alla fine si perdona alla serie anche qualche strafalcione. Accurata in generale è invece l'analisi sociologica delle dinamiche criminali del tessuto camorristico e del pessimo codice non scritto da cui derivano. Molto cruda la narrazione della violenza fisica, degli abusi e dei rapporti tossici basati unicamente sulla prevaricazione, il potere e la paura principalmente nel reparto maschile. Altrettanto inquietante la messa in scena della violenza psicologica, delle relazioni costruite su istigazione e manipolazione fra le ragazze.

Fiore all'occhiello sono sicuramente le musiche: non solo l'eccezionale sigla di apertura "Mare Fuori" (feat Icaro, Lolloflow, Raiz), ma anche le altre canzoni che fanno da sottofondo alle sequenze più toccanti.
Il cast è notevole, soprattutto considerando la giovane età e la poca esperienza di molti attori. I personaggi portano sullo schermo le movenze, gli atteggiamenti e le espressioni colorite tipiche di certi contesti di degrado sociale dei quartieri più critici. Convince poco l'accento napoletano della romanissima Valentina Romani nel ruolo di Naditza, eppure la sua interpretazione è così ricca di passione che non si può fare a meno di amarla lo stesso. In egual modo le fragilità di Filippo, il desiderio di Carmine di proteggere sempre gli altri, il legame paterno del Comandante con Carmine in cui rivede se stesso da ragazzo, la spensieratezza immatura di Edoardo, la sensibilità di Cardiotrap, il desiderio di affetto mal manifestato e inappagato di Pino e degli altri detenuti o l'apparente durezza della Direttrice sono tutti elementi che entrano nel cuore. Pertanto attendiamo sicuramente la seconda stagione perché molte storylines sono state lasciate in sospeso. L'evoluzione di molti personaggi non è stata completata e il finale apre le porte a nuovi scenari di speranza. Speranza che molti di loro imparino dagli errori, comprendano le proprie colpe perché in fondo, come di frequente il Comandante ripete nel corso delle puntate, lo scopo dell'Istituto di Pena Minorile è quello di salvare i ragazzi, non semplicemente di punirli. E le coscienze si salvano scuotendo gli animi, ricordando a ogni cuore che per il futuro esistono delle alternative, alternative costruite sull'amore e l'onestà.


Di Valentina Mazzella, pubblicato sul Napolisera.it in data 29 ottobre 2020.


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sabato 17 ottobre 2020

La bimba - racconto breve



La bimba stringeva le manine attorno alle sbarre sottili della ringhiera in ferro. Si reggeva in piedi con sguardo curioso, sorretta dalla madre seduta là accanto sul pavimento di mattonelle verdi. La stessa madre che la contemplava contenta, come l'artista soddisfatto della propria creazione. Le aggiustò le pieghe della gonna a balze che le copriva il pannolino. Il tessuto era rosso come il fiore di stoffa applicato sulla fascia che abbelliva la testolina con pochi capelli della bimba.
La madre sorrise. Eppure qualcosa inquietava la sua serenità. Era tesa. Guardava la sua bimba e non poteva fare a meno di pensare quanto fosse simile a lei nelle sue foto di infanzia. Eppure gli occhi no, erano come quelli del babbo. 
"Adesso arriva papà" disse la mamma alla bambina. Dal tono però sembrava volesse rassicurare se stessa. 
Erano sul balcone della casa della nonna di lei. Delle veneziane verdi abbassate a metà riparavano entrambe dal sole del pomeriggio. La madre gettò uno sguardo in basso e vide per strada due persone avvicinarsi al portone del palazzo. Un uomo e una donna. 
"È arrivato papà" disse la mamma alla figlioletta. "È qui per il tuo compleanno" le spiegò. La bimba compiva un anno. Guardò la madre arricciando il nasino. Un sorriso vispo le guizzò sul viso morbido. Poi sembrò chiedere il ciuccio. 
Sentirono suonare il citofono e qualcuno percorrere di corsa il corridoio per andare all'ingresso ad aprire la porta. Il padre non tardò a comparire sul balcone davanti alle due. Diede un cenno di saluto freddo, imbarazzato, alla madre della bimba. Era distante e allo stesso tempo appariva a disagio. Non pronunciò una parola. Si limitò ad abbassarsi e a sollevare con dolcezza la figlia. La prese in braccio con tenerezza e gli occhi solo per lei. Afferrò le manine e le baciò con gioia pazza. 
La madre restò impassibile. Per orgoglio non chiese: "E lei? Dov'è?". Si limitò ad alzarsi in piedi. Con gesti nervosi si sistemò il vestito. Poi ignorando l'uomo, lo lasciò da solo con la bimba e attraversò la portafinestra. Rientrò in casa. Dentro di sé era furiosa. Quella donna, ospite in casa sua, non si era presa la briga nemmeno di raggiungerla per salutarla. Avrebbe magari preteso di essere attesa e ricevuta con tappeto rosso e onori all'ingresso. E adesso sembrava essere scomparsa, quasi stesse giocando a nascondino nella sua abitazione! Era inaccettabile! Soprattutto nel giorno del compleanno di sua figlia! 
La madre della bambina continuava a contorcersi le mani. Poi finalmente la trovò. Nella camera da letto degli ospiti, distesa su un letto su cui alle volte lei stessa era solita riposarsi. Cercando di preservare la rabbia, esclamò: "Che succede? Qualcuno non si sente bene?". Sapeva di apparire provocatrice e sgarbata, ma non le importava. 
La donna si limitò a guardarla con occhi gelidi, ma non rispose. Si toccava il ventre come se avvertisse dolore in quel punto. Forse dei crampi. Poi sulla porta comparve l'uomo con la bambina in braccio. Guardò la madre della bimba con severità e contemporaneamente un senso di vergogna. Vergogna per l'atteggiamento dell'altra. Era consapevole del comportamento scorretto della donna che aveva portato in casa, ma scelse ugualmente di difenderla in silenzio come se fosse quello il ruolo che gli spettava. 
La madre della bimba non disse nulla. Si irrigidì, ferita dentro. Si abbassò allora sul letto per chiedere all'orecchio della donna con falsa premura: "Sono i dolori del ciclo?". Tuttavia in risposta fu allontanata con uno schiaffo leggero, come si cacciano le mosche. 
"Hai visto?" sbottò la madre scattando all'indietro. Gli occhi fissi sull'uomo che, con la bambina fra le braccia, la guardava completamente inerme. 


Racconto di Valentina Mazzella


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giovedì 23 luglio 2020

Le caramelle al limone




Le cose non sempre sono come appaiono. Per anni il martedì e il venerdì sono stati i giorni in cui mio nonno era solito venirmi a prendere al termine delle lezioni scolastiche. Mi attendeva fuori l'istituto, davanti a una cartolibreria che oggi non c'è più. Io oltrepassavo i cancelli con un'orda di studenti. Lo raggiungevo ed entravo in auto con un grosso zaino pesante sulle spalle. Ogni volta, per darmi il benvenuto, il nonno apriva la mano mostrandomi sul palmo una manciata di caramelle da mangiare insieme. Era il suo modo per regalarmi un piccolo sollievo dolce dopo cinque ore sui banchi. Con delle caramelle del resto aveva conquistato anche la nonna la prima volta in cui le aveva rivolto la parola in gioventù. Ogni volta mi offriva dunque delle caramelle. Ogni volta rosse, arancioni e gialle. Rispettivamente al gusto di arancia, mandarino e limone. Lasciava che fossi io la prima a scegliere. A seguire mio fratello, seduto sul sedile posteriore. In tanti anni non ho mai chiesto a mio nonno quale fosse il suo gusto preferito. Tuttora non lo so. La nonna ha ormai la demenza senile e ha perso i ricordi. Ho chiesto a mia madre e non ha saputo rispondermi. Per anni, in silenzio, ho sempre attribuito al nonno i miei gusti. Ho sempre preferito le caramelle con la carta arancione o rossa. Così, per lasciare a lui le caramelle che io ritenevo fossero le più buone, ogni volta tacitamente sceglievo le caramelle al limone. Non gli ho mai confessato di preferire il sapore meno aspro dell'arancia e del mandarino. Un giorno poi il nonno è morto. Un mese prima del mio diciottesimo compleanno, dieci anni fa. Tuttora, come dicevo, non so quale sia stato veramente il suo gusto preferito fra le caramelle. Me lo domando ancora e mi domando soprattutto perché non lo abbia mai chiesto a lui quando ne ho avuto per anni la possibilità. Forse perché la reputavo una sciocchezza, una banalità. Ci siamo voluti tanto bene. Oggi mi manca e penso spesso che per anni avrà creduto che le mie preferite fossero le caramelle al limone.


Di Valentina Mazzella


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lunedì 22 giugno 2020

L'anguria rossa - racconto breve



George le dava le spalle. Sedeva alla sua scrivania con il viso rivolto alla parete bianca. Il capo chino su un foglio su cui stava scribacchiando qualcosa con una penna stilografica. 
Annie non sapeva veramente cosa stesse scrivendo. Le suggeriva l'impressione unicamente di una persona intenzionata ad alienarsi. Forse addirittura stava fingendo per apparire indaffarato e non essere disturbato. Poteva trattarsi di uno stratagemma per negare a tutte loro pretesti per rivolgergli la parola e tirarlo in ballo. Annie fissava con insistenza la linea un po' curva della schiena di lui e più si convinceva dell'ipotesi che George in realtà, in quei frangenti, stesse desiderando soltanto scomparire. Diventare invisibile. In fondo fino a quel momento non aveva proprio aperto bocca. Era stata solo lei, Nancy, a parlare. 
Ancora adesso proseguiva a farlo, con la lingua fra i denti. 
Annie scostò lo sguardo dai capelli di George per posarlo su quella ragazza insofferente che percorreva irrequieta la stanza andando avanti e indietro. Era vestita di nero e da quando erano entrati in casa ancora non si era tolta gli occhiali da sole dal viso. Guardarla apertamente negli occhi non era dunque possibile, ma si percepivano in maniera nitida tutte le vibrazioni negative che emanava. 
Annie assunse un sorriso beffardo, senza curarsi di provocarla. Non le importava del modo in cui Nancy avrebbe potuto interpretare i suoi atteggiamenti. Erano terminati quei tempi. In quel momento banalmente le scappava da ridere e non aveva alcuna intenzione di trattenersi per una persona che avrebbe trovato del marcio in qualsiasi caso. La sua non era una sfida. Semplicemente trovava motivo di ilarità nell'incapacità di controllo di quella ragazza. 
Annie era seduta sul bordo del letto di George. Alla sua sinistra, poco distante, c'era Candice. Entrambe sembravano due bambine in punizione. Ferme immobili in un posto, con le mani conserte in avanti. Candice aveva lo sguardo basso, gli occhi puntati sulle scarpe per il disagio. 
George e Nancy le avevano letteralmente raccolte sul ciglio della strada sotto la pioggia. Quella mattina era scoppiato un temporale senza preavviso. Annie e Candice si erano ritrovate sul marciapiedi in attesa dell'autobus mentre pioveva a dirotto. Non avevano con sé nemmeno un ombrello con cui ripararsi. Le auto sfrecciavano lungo la carreggiata schizzando in alto l'acqua delle pozzanghere. Poi a un tratto Annie riconobbe un profilo noto attraverso il vetro annebbiato di un finestrino. Era il viso di George alla guida di un'auto. Accanto a lui, seduta sul posto di fianco a quello del conducente, c'era Nancy con il solito paio di occhialoni neri a nasconderle lo sguardo. Il veicolo sfrecciò avanti per la sua strada. 
In un primo momento Annie si era convinta che George avesse finto di non vedere lei e Candice alla fermata dell'autobus. Un impercettibile movimento del mento le aveva infatti suggerito che lui le avesse intraviste almeno con la coda dell'occhio. 
Rimase in ogni caso sorpresa quando, dopo qualche minuto, l'auto tornò indietro. Sotto una pioggia incessante, lo sportello del sedile posteriore fu aperto per invitare le due ragazze a salire per ripararsi. 
Prima di ripartire, George e Nancy mangiarono un'anguria rossa. Così, dal nulla. Lei ne tirò fuori delle grosse e succose fette da una borsa termica azzurra che aveva davanti ai piedi. Non offrì loro nemmeno uno spicchio, sebbene Annie e Candice non avrebbero ugualmente accettato. George e Nancy divorarono l'anguria sotto i loro occhi in maniera disgustosa, quasi animalesca. Ad ogni morso Nancy, con i suoi occhialoni, sputava dei semi piccoli e neri davanti a sé. Annie poteva sentire il rumore dei loro rimbalzi quando urtavano il cruscotto prima di cadere per terra, sul tappetino e la borsa termica. Trovava volgare, bestiale, schifoso e insopportabile il suono che Nancy produceva risucchiando l'acqua di cui ogni fetta era ricca. Le salì addirittura un conato quando osservò i pugni di George stringere il volante con le dita impiastricciate del succo rosso, zuccheroso e appiccicoso del cocomero. Lo stesso succo che ricopriva e sporcava tutta la sua barba. 
Poi finalmente quella scena intollerabile ebbe fine e l'automobile ripartì. Nel pieno silenzio George condusse Annie e Candice a casa propria dove ora se ne stavano in attesa che il cellulare di Annie suonasse. La ragazza aveva infatti chiesto a suo padre di andare lì a recuperare lei e Candice appena fosse stato possibile. 
Nella stanza si avvertivano solo i passi di Nancy che camminava davanti alle due come fosse una secondina, come se dovesse controllarle. Era evidente che non fosse per nulla contenta della loro presenza. Non si sforzava nemmeno di nascondere la sua avversità. 
Qualcuno bussò alla porta. George sollevò la testa dal foglio e rivolse il naso verso l'uscio su cui comparve sua madre. In mano reggeva una piccola boccia d'acqua in cui nuotava un indifeso pesciolino rosso. 
"George, volevo solo portarti questo..." disse sua madre esitante. Il figlio la guardò ancora senza muoversi, senza spiccicare parola. 
Allora Annie si alzò e le andò incontro, lieta di rivederla. Le prese la boccia dalle mani con delicatezza e con cura la ripose sul ripiano di un caminetto spento, accanto alla scrivania di George. 
"È davvero carino! Sai, ho scritto un racconto di recente su un pesciolino rosso..." commentò Annie con voce vivace. Con le mani e le braccia libere poté finalmente abbracciare la madre di George che la strinse a sé con sincero calore. Erano entrambe molto felici di rivedersi. 
Quando la donna uscì di nuovo dalla stanza, Nancy era più inviperita di prima. Il suo umore era visibilmente peggiorato, ma George non faceva nulla per placarne la rabbia. 
Candice proseguiva a star ferma, con lo sguardo perso nel vuoto davanti a sé. Annie conservava il sorriso, nonostante fosse consapevole della natura grottesca di quella situazione. 
"Qui qualcuna vuole fare la birichina, si crede furbetta" sbottò Nancy su due piedi. Aveva parlato con un tono acido, sarcastico. Si era piantata davanti ad Annie che non capiva a cosa la ragazza si stesse riferendo. Ne fissava gli occhialoni neri, senza aver la tempra di rispondere tempestivamente a modo. Nancy veramente credeva che lei e Candice si fossero fatte trovare di proposito sotto la pioggia? A quale pro? Era stata una casualità. Era assurdo credere il contrario. Soprattutto perché lei e George avrebbero anche potuto scegliere di non tornare indietro a raccattarle.
Annie non rispose. Vide Nancy esasperata uscire sul balcone e sedersi su una vecchia sedia da mare. Si accese una sigaretta e iniziò a fumare nervosamente con la testa fra le mani. Odio, astio e altri sentimenti rancidi la stavano divorando da dentro. 
Annie non sapeva come comportarsi. Per un momento pensò fosse il caso di uscire per parlarle, per cercare un confronto. Tuttavia tornò a guardare la schiena di George, ancora intento nello scrivere chissà cosa. Allora si decise. Si alzò dal letto per sgranchirsi un po' le gambe e abbandonò la stanza con un sorriso compiaciuto. Non chiese il permesso a nessuno, sebbene fosse casa di George. Non le spettava. Poteva fare quello che le pareva, come se si spostasse in casa propria. Anche se Nancy si torturava per questo. 
Raggiunse dunque la cucina. Aprì la credenza in alto e afferrò un bicchiere di vetro. Si avvicinò al frigorifero per prendere la bottiglia dell'acqua. Aveva sete. 
Fu proprio mentre stava bevendo che sentì però un rumore di passi alle sue spalle. Il bicchiere le scivolò dalla mano e si infranse in mille pezzi sul pavimento. Si voltò spaventata e vide George sulla porta della cucina. Solo George che l'aveva seguita. Annie iniziò a scusarsi frettolosamente. Stava per piangere, convinta che il ragazzo si fosse recato in cucina già infastidito a prescindere. Convinta che adesso si sarebbe infuriato per il bicchiere rotto. 
Annie si abbassò per raccogliere i pezzi di vetro, ma George la fermò: "No - disse. - Faccio io con la scopa. Non c'è bisogno". Era la prima volta che le parlava in tutto il giorno. 
Il ragazzo iniziò a spazzare. Poi aggiunse: "Prendi un altro bicchiere. Non ti preoccupare se devi ancora bere".
Annie si limitò a sedersi al tavolo della cucina. George terminò di pulire e gettò i cocci nella pattumiera. Dopodiché si sedette accanto a lei, offrendole un nuovo bicchiere d'acqua. Annie allungò il braccio per accettare e in silenzio si guardarono negli occhi. 



Racconto di Valentina Mazzella



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venerdì 22 maggio 2020

La botola - racconto breve



"È pericoloso!".
"Dici?" chiese Marta pensierosa. 
"Certo! Qualcuno potrebbe sigillare di nuovo la botola dall'esterno mentre percorri il sotterraneo" le spiegò Andrea. Era stato proprio lui a suggerirle la soluzione. Eppure adesso cercava in tutti i modi di farle cambiare idea, di desistere dall'intraprendere una missione che considerava scellerata. 
Marta alzò la testa. Puntò lo sguardo oltre le spalle di Andrea. Lontano. Vide la possenza dell'antico Castello dell'Orologio dalle pareti gialle. Sorgeva sulla vetta di una montagna che si scagliava contro un cielo plumbeo, cosparso di nuvoloni grigi. L'arcaico quadrante enorme sul muro di cinta dell'edificio possedeva delle eleganti lancette nere grosse quanto tronchi di albero. In una delle torri di quel Palazzo c'era il prigioniero. Marta sapeva che avrebbe corso dei rischi per salvarlo, ma lei si sentiva pronta per affrontarli. Lo avrebbe liberato. 
Andrea le aveva detto che, sollevando una delle botole della Terrazzo Grigliata, fosse possibile introdursi in un cunicolo sotterraneo lungo diversi chilometri. Un passaggio segreto che attraversava il lago e la montagna. Collegava il Palazzo di Terrazza Grigliata all'imponente Castello dell'Orologio. Con buone probabilità, se le leggende non mentivano, conduceva infine proprio alla Torre di Prigionia. Il cunicolo era stato costruito in un passato remoto da alcuni monaci per far scappare all'occorrenza un loro confratello. Nelle epoche precedenti capitava di frequente che la Regina imprigionasse ingiustamente dei religiosi. 
Andrea aveva detto a Marta che le leggende erano vere. Quel cunicolo esisteva. Bastava entrare in quella botola. "Però - aveva aggiunto - non sappiamo se il cunicolo nei secoli sia stato chiuso o se, peggio ancora, sia stato puntellato di ostacoli, trappole di morte, animali e atrocità simili".
Marta rifletteva. Sapeva bene che Andrea avesse ragione. Mangiucchiava le unghie delle mani preoccupata. Eppure non aveva alternative. Il prigioniero in quel momento giaceva sul pavimento di una cella. Probabilmente al buio, affamato, senza acqua e dignità. 
"Anche solo avvicinarsi alla botola non sarà per niente un gioco da ragazzi! Ci sono le guardie armate che marciano avanti e indietro sulla Terrazza Grigliata" sentenziò Andrea. 
"Basterà che tu le distragga!".
"Come?".
"Con qualche dardo infuocato ad esempio" ribatté Marta. 
Andrea non rispose subito. Esitò qualche istante prima di protestare ancora: "Ma non è solo questo. Ho già condiviso il mio timore: se sigillassero la botola mentre sei dentro?".
"Questo non accadrà!".
"Marta, ragiona! Come fai a dirlo?".
"Perché ci sarai tu fuori!".
"Io non voglio che tu scenda lì sotto da sola! E io potrei essere catturato" replicò Andrea con tono duro. Un nodo gli strozzò la gola perché sapeva che Marta non era preoccupata da quell'eventualità. A lei non importava se fosse stato lui a finire dietro le sbarre. A lei interessava unicamente del prigioniero. Riusciva a essere in pena esclusivamente per lui. "Non puoi fare affidamento su di me" mormorò. Poi strinse i pugni. 
Marta allungò una mano verso l'amico. Con le dita sfiorò le sue nocche serrate. 
"Mi fido di te - esitò qualche istante. - Sai che devo andare...".
Andrea si ritrasse. Era arrabbiato e offeso. Si avvolse nella sua coperta di tela marrone e si voltò dall'altra parte senza pronunciare una singola parola. Ormai era giunta la sera. Disteso per terra, finse a lungo di dormire. 
Marta ravvivò il fuoco accanto a loro. Gettò fra le fiamme alcuni rami secchi. Restò in ascolto del crepitio per alcuni minuti, in religioso silenzio. Quello seguente sarebbe stato un giorno atteso da mesi. 
Afferrò anche lei una coperta di tela e precipitò subito in un sonno agitato. Sognò di percorrere il cunicolo. Nei suoi incubi era tutto avvolto dalle tenebre, sebbene lei procedesse con una torcia in mano. Udiva suoni sinistri, sibili, strida e urla. Ma procedeva perché doveva raggiungere il prigioniero. Doveva liberarlo. Infine un rumore metallico gli rimbombò nella testa. Aveva camminato già per un chilometro dall'ingresso. Ciononostante si voltò indietro e dentro di sé seppe che quel suono fosse la botola che qualcuno aveva richiuso sopra di lei. Altri cring cring metallici e fu certa che la botola era stata sigillata. 


Racconto di Valentina Mazzella


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mercoledì 20 maggio 2020

Lady Susan e l'antieroina della narrativa di Jane Austen



RECENSIONE - La vedova Susan Vernon è una donna manipolatrice e arrivista, una persona falsa, un concentrato di egoismo e ipocrisia. È così cinica, calcolatrice e insensibile che alla fine è impossibile non trovarla adorabilmente esilarante. Ovviamente stiamo parlando della meschina protagonista del libro "Lady Susan", uno dei romanzi giovanili della intramontabile Jane Austen che è stato pubblicato post-mortem. Si tratta di un volumetto tascabile che si legge davvero tutto in un fiato. La breve storia viene raccontata in formato epistolare. Perlopiù si tratta delle lettere che la pessima Lady Susan invia alla sua amica Mrs Johnson e di quelle che la cognata Mrs Vernon scrive invece alla propria madre a proposito della stessa Lady Susan. La trama non è eccessivamente contorta, ma la costruzione dei personaggi valorizza al cento per cento gli intrecci. Nonostante sia un'opera ancora un po' acerba dell'autrice, come dimostra il finale un po' troppo sbrigativo, è già un esempio lampante dell'irriverente e pungente ironia della Austen

Tra pettegolezzi e imbrogli vari, Lady Susan si presenta come un personaggio immorale, furbo, scaltro e senza scrupoli. Una civetta con i fiocchi che, grazie al suo avvenente fascino, ha fatto della seduzione una vera e propria arte. In un contesto sociale in cui un buon matrimonio è per il gentil sesso la migliore delle fortune, deride ogni forma di sentimentalismo e romanticismo. A tal punto che non le importa nulla di rendere infelice la stessa figlia, una povera ragazza di sedici anni nei cui confronti non prova un briciolo di affetto materno. Eppure Lady Susan riesce quasi sempre a raggirare il prossimo, in particolar modo gli uomini di cui conquista irreparabilmente i cuori che non le importa calpestare a proprio piacimento a tempo debito. È una pericolosa Medusa, un'antieroina iconica... ma ciononostante il lettore non può fare a meno di amarla. Pagina dopo pagina certamente si rivela una persona che nella realtà disprezzeremmo senza riserve. Tuttavia non si trattengono il sorriso e l'ilarità dinnanzi all'orgoglioso opportunismo di Lady Susan che potremmo quasi definire "sorella cattiva" delle eroine più classiche e famose della stessa Jane Austen

Recensione di Valentina Mazzella


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giovedì 30 aprile 2020

"Pirati dei Caraibi - La vendetta di Salazar”: ancora in mare con Jack Sparrow



RECENSIONE - Guardi il nuovo film della saga e ti assale la voglia di partire in mare alla ricerca di avventura. Si può dire a voce alta: "Pirati dei Caraibi - La vendetta di Salazar" non tradisce l'attesa e conserva il livello di epicità a cui il pubblico è stato abituato. Anche se la grande critica non è della stessa opinione. Diretto da Joachim Rønning e Espen Sandberg, il film regala l'intramontabile humor del Capitan Jack Sparrow, una trama che incuriosisce e dei momenti commoventi.
Grandiose come al solito le scenografie, accuratissimo il lavoro di grafica computerizzata e calzanti le musiche. Nonostante gli anni scorrano, ancora esemplare la performance recitativa di Johnny Depp al cui personaggio, a testimonianza del tempo che passa, sono state concesse almeno delle ciocche vagamente nel biondo. Ottima anche l'interpretazione di Javier Bardem nei panni di Salazar e interessanti quelle dei due volti freschi e poco noti che sono stati aggiunti al cast in questa produzione: Brenton Thwaites (Henry Turner) e Kaya Scodelario (Carina Smyth). Peccato che il profilo psicologico dei loro personaggi sia stato poco sviluppato e che la loro love-story lasci molto a desiderare perché troppo prevedibile e fiacca. Degna di nota, tra l'altro, è la presenza per una breve sequenza di una special guest star: Paul McCartney dei Beatles. Proposta, per quanto bizzarra, che poco stupisce i fan della saga considerando che già nei precedenti film avevamo visto Keith Richards dei Rolling Stones nei panni di Capitan Teague Sparrow.



La sceneggiatura è semplice e briosa. Arguti come sempre i dialoghi e ingegnose le soluzioni trovate di volta in volta per affrontare le minacce. Ci sono in realtà delle scene non propriamente necessarie allo sviluppo narrativo, così come dei flashback in contraddizione con quanto raccontato negli episodi precedenti. Sono questi gli aspetti su cui i critici, a ragione, non hanno potuto chiudere un occhio etichettando il film come "un sequel per far soldi senza la grinta dei primi capitoli". Tuttavia la pellicola si lascia ugualmente apprezzare. Racconta un'avvincente storia di bucanieri, di ricerca delle origini e leggende dei mari. Si avvisa in ultimo gli spettatori di non lasciare la sala perché dopo tutti i titoli di coda - ma proprio tutti - attende gli appassionati un'inaspettata sorpresa.


Recensione di Valentina Mazzella, pubblicata sul Napolisera.it in data 22 giugno del 2017.

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martedì 28 aprile 2020

Il nuovo Spider-Man della Marvel: un ottimo Bimbo Ragno!


RECENSIONEDalla scelta della colonna sonora alla caratterizzazione dei personaggi, dall’umorismo dei dialoghi ai colpi di scena: il nuovo “Spiderman: Homecoming” è davvero un film ben riuscito! Non a caso si tratta di un prodotto che vanta la firma Marvel.
Dopo la celebre trilogia con Tobey Maguire di Sam Raimi e i due “The Amazing Spiderman” di Marc Webb, a questo giro la regia di Jon Watts ci ha regalato una nuova avventura dell’Uomo Ragno senza mostrarci per l’ennesima volta la parte in cui Peter Parker assume i poteri. Tale scelta di per sè ha reso la pellicola più dinamica permettendo allo spettatore di seguire fin da subito il giovane supereroe nelle sue primissime imprese. E giovane non lo si fa tanto per dire: per la prima volta Peter Parker è stato davvero interpretato da un viso fresco e non da un quasi trentenne infilato a tutti i costi nei panni di un liceale. Lodevole la recitazione di Tom Holland calato nel ruolo di uno Spiderman quindicenne che si improvvisa difensore dei deboli nel suo quartiere del Queens, mentre va alla ricerca di farabutti di grossa portata per far colpo su Tony Stark. 

Il contesto scolastico non è semplicemente uno sfondo marginale. Anzi, la vita da adolescente di Peter con i suoi problemi, le interrogazioni, i richiami in presidenza, le prime cotte e la voglia di diventar grande è parte integrante della narrazione. Fra l’altro interessante è stata la decisione di mostrare una scolaresca multietnica, valorizzando anche un certo impegno sociale che la pellicola in maniera più o meno latente si propone.
Stordisce non poco l’assenza di zio Ben e la presenza di una zia May così giovane ed avvenente. Del resto la metamorfosi della vecchietta ci aveva già stupito in “Captain America: Civil War” di Joe e Anthony Russo (2016), tuttavia la produzione lascia intendere che tale cambiamento rispetto al fumetto possa riservarci accattivanti svolte nella trama dei prossimi sequel. Il risultato è un film frizzante e divertente che soddisfa il pubblico raccontando di un Bimbo-Ragno che attendiamo di rivedere sul grande schermo il più presto possibile.

Racconto di Valentina Mazzella, pubblicato sul Napolisera.it in data 3 agosto 2017.


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domenica 19 aprile 2020

"Animali fantastici – I crimini di Grindelwald”: bene, ma non benissimo


RECENSIONE - Con "Animali fantastici e dove trovarli" era stata avviata così bene la nuova saga della Rowling che forse abbiamo finito con il covare davvero troppe aspettative nell'attesa del secondo capitolo. Allora oggi eccoci qua a commentare un tantino delusi "Animali fantastici - I crimini di Grindelwald", il nuovo film di David Yates la cui sceneggiatura porta immancabilmente la firma della mamma di Harry Potter. Chiariamo: il film resta ugualmente un prodotto di qualità e un buon suggerimento per riempire due ore di tempo libero. Eppure sono diversi gli aspetti che non soddisfano per nulla lo spettatore più pignolo o forse troppo esigente.
Apriamo e chiudiamo una breve parentesi sulla dimensione tecnica. In alcune scene l'applicazione del greenscreen è quasi imbarazzante perché si percepisce la sovrapposizione degli attori su immagini realizzate a computer. Ed è strano considerando il budget della Warner Bros. Inoltre ci sono dei momenti in cui la regia di Yates ha scelto di inserire nel montaggio delle soggettive, ossia delle inquadrature che permettono al pubblico di guardare attraverso gli occhi dei personaggi. Nella fattispecie abbiamo delle soggettive per Newt (Eddie Redmayne) e Leta (Zoe Kravitz). Il risultato è disturbante.


Per quanto riguarda la storia il film è ricco di effetti speciali ben riusciti quanto è povero di vere emozioni che riesca a regalare. Non si avverte infatti particolare trasporto o simpatia per alcun personaggio in particolare, non ci si affeziona realmente a nessuno. E che si tratti di un racconto corale in cui non vi sia un vero e proprio protagonista non regge come giustificazione. La realtà è che, nonostante le eccellenti interpretazioni degli attori e i nomi importanti che il cast annovera, nessun personaggio vive o mostra uno sviluppo concreto. Non vi è approfondimento adeguato nella loro psicologia. E lo dimostrano le scelte di Queeney (Alison Sudol) che sembrano buttate lì come una forzatura necessaria alla trama.
Fa forse eccezione proprio Grindelwald (Johnny Depp) che, a differenza di Voldemort, non ci viene presentato come il super cattivo dalla lampante malvagità. Con i suoi modi posati ed educati e le sue capacità persuasive in pubblico, non è un tiranno che impone la propria autorità con la paura. È un talentuoso oratore capace di parlare alla folla toccando i tasti giusti, di cavalcare i dubbi e le angosce della massa. Esattamente come avviene in politica nella realtà con chi fa tesoro dei populismi. Molto apprezzabile è stata anche l'intuizione di inserire un dilemma etico a proposito della disumanità babbana durante la Seconda Guerra Mondiale.

Una grave pecca banale, che poteva essere evitata, è data dall'incredibile incongruenza anagrafica dei personaggi in relazione alle date di nascita che da sempre conosciamo grazie ai libri di Harry Potter e alle informazioni rilasciate dalla Rowling ad esempio per Pottermore. Nel 1927 Silente (Jude Law) non sarebbe dovuto essere così incredibilmente giovane e la professoressa McGranitt, presentata come una maestrina alle primarie armi, in realtà non era neanche ancora nata in quell'anno. Un vero strafalcione.
Interessante l'introduzione di alcuni personaggi come Nagini e Nicolas Flamel, sebbene gli autori non li abbiano sfruttati al meglio. La speranza è che ci riservino grandi sorprese nei prossimi film. Da evidenziare è come Claudia Kim (Nagini) reciti perfettamente anche solo con lo sguardo, nonostante il copione le assegni a questo giro poche battute. Al contrario, al di là del siparietto comico, non comprendiamo la decisione di rappresentare in maniera tanto incartapecorita l'alchimista, considerando che l'eternità concessa dalla Pietra Filosofale a queste condizioni convinca poco.


Purtroppo per il resto la trama è piuttosto piatta. Riceve finalmente uno scossone solo alla fine con la rivelazione di un paio di colpi di scena. La Rowling in passato ci aveva sempre abituati a un crescendo di suspense lungo tutta la storia. Molte rivelazioni sembrano amalgamarsi davvero poco bene con quanto da sempre sappiamo sulle biografie dei personaggi. Siamo ancora di fronte al secondo film di una pentalogia, vero. Tuttavia ciò non toglie che "I crimini di Grindelwald" di per sé presenti molte lacune e diversi difetti. È di fatto un anello di passaggio semplicemente necessario per il decollo dei futuri capitoli. Qui risiede la sua povertà. Ci auguriamo pertanto che molti spunti verranno sviluppati adeguatamente nelle prossime pellicole che aspettiamo già da adesso con intrepida curiosità.



Recensione di Valentina Mazzella, pubblicata sul Napolisera.it in data 28 novembre 2018.


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martedì 14 aprile 2020

"Animali fantastici e dove trovarli": la magia nella Grande Mela


RECENSIONE- Niente scuola di magia, niente maghetto con cicatrici a forma di saetta, niente streghe dai tradizionali cappelli a punta e maghi dai lunghi mantelli che spazzano il pavimento, niente scope volanti, niente Cioccorane, niente Diagon Alley e malinconiche brughiere del Regno Unito. Con “Animali fantastici e dove trovarli” la musica rimane letteralmente la stessa, ma si cambia ambientazione, stile, storia e personaggi. Soprattutto storia e personaggi. E di fondo è esattamente per questo che il film ci piace. Sono proprio queste le prime fra le svariate apprezzabili qualità dell’ultimo geniale parto di J.K. Rowling. Una pellicola segnata dall’inconfondibile impronta dell’autrice, con un sano tocco di familiarità e il grande pregio di essere allo stesso tempo una ventata di freschezza.
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La storia infatti, come dovrebbe ormai essere chiaro a tutti, non ha nulla a che fare con le peripezie di Harry Potter. Si tratta di un prequel e le vicende narrate si svolgono settant’anni prima di “Harry Potter e la pietra filosofale“. Non solo il nostro caro Harry non era ancora nato e né in programma, ma addirittura neanche i suoi genitori, i celeberrimi James e Lily Potter, erano venuti al mondo. Pertanto la trama è incentrata su un protagonista a noi nuovo, più o meno. Un certo Newt Scamander (Eddie Redmayne), autore del libro “Animali fantastici e dove trovarli” che gli studenti di Hogwarts usavano come testo da cui studiare nella saga con cui siamo cresciuti. Manuale enciclopedico a cui fra l’altro la Rowling ha dato anni or sono concretezza pubblicando per beneficenza un libricino omonimo (in Italia edito da Salani) con tanto di note esilaranti apportate da Harry e Ron.
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Scamander è un magizoologo che sbarca a New York con un’infinità di curiosi animali magici nella valigia. Un vero e proprio zoo, o meglio un safari considerata l’assenza di gabbie. I problemi non tarderanno ad arrivare perché Newt non è esattamente preparato circa le severe leggi dei maghi in vigore oltreoceano per nasconderli dai no-mag (nome a quanto pare usato negli USA per indicare i più noti babbani) ed evitare guerre. Da qui in poi il film è tutto da guardare e semplicemente da gustare.
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Tuttavia era necessario anticipare quanto per le considerazioni che seguono. Innanzitutto “Animali fantastici e dove trovarli” è una pellicola notevole per la sua capacità di camminare da sola sulle proprie gambe e rivendicare dignitosa indipendenza dalla saga più famosa di cui è indubbiamente figlia. È il film con cui la Rowling ha dimostrato che il mondo di Harry Potter possa essere grandioso anche senza Harry Potter. Per questo siamo dinnanzi a un prodotto che può tranquillamente risultare godibile anche per chi non ha mai visto un film basato su una storia della Rowling. Inutile però dire che la trama non perda tempo a spiegare la funzione di ogni formula magica, cosa sia un Auror o un elfo domestico perché queste, sì, sono nozioni che lo spettatore avrebbe già dovuto apprendere con Harry Potter.
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È quindi il primo capitolo di una pentalogia che dimostra di avere una propria identità, ma anche piacevolmente un’autonomia relativa. Non essendo un episodio autoconclusivo, “Animali fantastici e dove trovarli” presenta una sceneggiatura disseminata di elementi-semi che sicuramente germoglieranno in futuro. È caratteristico della Rowling d’altronde non lasciare nulla al caso. Qualsiasi dettaglio apparentemente marginale, dopo essere stato messo in disparte per un periodo più o meno lungo, ritorna sempre rivelando la propria utilità. Ne abbiamo avuto prova nella saga di Harry Potter con gli armadi gemelli di Sinister e della Camera delle Necessità, con il medaglione-Horcrux, con il diadema di Priscilla Corvonero e con tanti altri esempi. Fra le insignificanti cianfrusaglie risiede sempre la chiave. Ciò che sembra lasciato in sospeso è stato invece lasciato a lievitare. Ed è abbastanza prevedibile che la storia finirà prima o poi con il gettare luce sul passato di Silente che abbiamo appena sfiorato in “Harry Potter e i doni della morte“. Ecco, probabilmente la prevedibilità, che in buona parte abbiamo percepito anche in “Harry Potter e la maledizione dell’erede“, è l’unica pecca a cui la Rowling sembra essersi abbandonata dopo la fine della saga che le ha dato la gloria. Tuttavia è troppo presto per esprimere un giudizio ponderato ed è meglio aspettare i prossimi capitoli.
animali-fantastici-e-dove-trovarli-07Intanto altro aspetto interessante è che la Rowling abbia in un certo senso cambiato destinatario. Il film si rivolge infatti soprattutto a un pubblico di adulti. Certo, adulti amanti del fantasy e novanta su cento cresciuti con Harry Potter, ma pur sempre a persone mature. La trama non si presta più al genere dei romanzi di formazione. I protagonisti non sono dei maghetti e delle streghette alle prime armi che cresceranno e matureranno con i fan e in cui i più piccini possano immedesimarsi come accade con Harry, Ron ed Hermione. Sono personaggi già grandi, grossi e vaccinati, immersi in atmosfere più gotiche e dark, interpretati adeguatamente dal cast grosso modo valido e stellato. Ricordiamo la presenza anche di Katherine WaterstonDan Floger Colin FarrellAlison Sudol e di Johnny Depp per un minuto a stento.
animali fantastici e dove trovarli 06La scelta di spostarsi da Londra e dalle verdi distese scozzesi alla Grande Mela degli anni Venti, in pieno proibizionismo, non ha rappresentato una resa alla solita americanata. Ha invece offerto una molteplicità di spunti di riflessione su tematiche sociali e ancora di attualità. Quando si parla dei divieti circa il matrimonio fra maghi e no-mag si percepisce una critica alle vecchie leggi razziali fra bianchi e neri. E che dire a proposito della pena di morte laddove il peggio a cui eravamo stati abituati era stata la condanna ad Azkaban?
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In conclusione un film che non teme il confronto, grazie alla sceneggiatura coerente ed entusiasta scritta dalla stessa Rowling. Un film che non delude soprattutto perché non è la trasposizione di un libro o di una storia già nota. E ciò ha di certo giovato al nostro caro David Yates che aveva già gestito – non senza cilecche – la regia degli ultimi quattro episodi di Harry Potter. Un film che si consiglia indubbiamente agli appassionati, fosse anche solo per quell’unica volta in cui viene pronunciato il nome Silente e si commuove il cuore, in un moto di orgoglio, nel sentire che “è senz’altro Hogwarts la Scuola di Magia e Stregoneria migliore del mondo“.

Recensione di Valentina Mazzella, pubblicata sul Napolisera.it in data 2 dicembre 2016.


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