giovedì 23 maggio 2019

"Pokémon: Detective Pikachu" di Rob Letterman ed è subito voglia di Pokémon



RECENSIONE - Sfizioso, leggero, divertente e commovente il film "Pokémon: Detective Pikachu" di Rob Letterman. Come spesso accade con i live-action, c'erano diverse remore nell'approcciarsi alla visione di questo prodotto. Si tratta ovviamente di una pellicola destinata a un preciso pubblico composto da fan, un lavoro che cavalca l'onda mediatica del marketing dei Pokémon. Eppure il risultato resta un film delizioso, apprezzabile sotto diversi punti di vista.

Ottima è la grafica computerizzata con cui i piccoli mostri tascabili sono stati inseriti fra gli attori in carne e ossa. Si esce dalla sala desiderando di possedere realmente un Pokémon partner come sul grande schermo. Interessante la fotografia e buona la performance degli interpreti. La sceneggiatura propone la corretta dose di umorismo ed emotività. Insegue i canoni del genere giallo, sebbene punti maggiormente su un susseguirsi di colpi di scena piuttosto che sulla suspense. Protagonista indiscusso del film si rivela però essere il piccolo adorabile Pikachu con l'insolita capacità di parlare con il solo Tim Goodman con la voce di un uomo adulto. Smemorato, leale e svampito, guadagna le simpatie degli spettatori fin dal primo minuto di chiacchiere. Che dire? Esperimento riuscito abbastanza da non far squadrare con sospetto la proposta di un eventuale seguito.

Di Valentina Mazzella, pubblicato sul Napolisera.it in data 22 maggio 2019.


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mercoledì 15 maggio 2019

"La guerra" di Carlo Goldoni al Teatro Mercadante di Napoli


RECENSIONE - Senza tempo e incredibilmente attuale a distanza di secoli la commedia di Carlo Goldoni “La guerra” che la regia di Franco Però e la Compagnia del Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia hanno portato sul palcoscenico del Teatro Mercadante di Napoli fino alla scorsa domenica. Interpretazioni lodevoli e scenografia essenziale per creare l’atmosfera giusta che permettesse di raccontare la guerra dietro le quinte. A Goldoni non interessavano le trincee e i piani di attacco. Non vengono mai neanche specificate le nazioni in conflitto per garantire l’universalità della storia. Ciò che interessava all’autore era denunciare tutte quelle dinamiche di speculazione di coloro che da sempre con la guerra si arricchiscono. Si fa presto con le parole a desiderare la pace, eppure esistono categorie di persone che ne traggono vantaggio e hanno addirittura interesse affinché le armi non vengano mai deposte. Oggi come allora. Argomento tabù che oggi più che mai c’è bisogno di affrontare anche attraverso l’arte per non abbandonare il pubblico al torpore.

Di Valentina Mazzella, pubblicato sul Napolisera.it il 15 maggio 2019.

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venerdì 3 maggio 2019

"La brocca rotta": Giuseppe Dipasquale porta Heinrich von Kleist al Teatro Mercadante di Napoli




RECENSIONE - Davvero l’inganno è solo banalmente una falsa verità che giova un vantaggio a chi la pronuncia? Allora anche gli attori sono dei bugiardi in tal senso? Il bene e il male sono davvero distinti come il bianco e il nero? Sono alcuni degli interessanti interrogativi di un monologo con cui lo spettacolo “La brocca rotta” di Giuseppe Dipasquale ha inizio. In questi giorni in scena al Teatro Mercadante di Napoli fino al 5 maggio, la commedia in atto unico è una rappresentazione dell’opera originale di Heinrich von Kleist. L’interpretazione lodevole degli attori offre al pubblico la giusta dose di teatralità per dar vita a siparietti e meccanismi comici dietro ai quali si celano in realtà doppi significati. A partire dalla brocca rotta e il suo valore biblico oppure dai nomi parlanti degli stessi protagonisti quali il giudice Adam, la fanciulla Evelina detta Eva e il segretario Luce, colui che svelerà il mistero. Si colgono i riferimenti a Edipo Re e si ride di un giustiziere colpevole prima di meditare sulla lettura a doppio taglio di questa soluzione. È il teatro di Heinrich von Kleist che di primo acchito fa ridere a crepapelle di fronte all’equivoco per poi lasciare l’amaro in bocca pensando alla crudezza e alla falsità della vita, di questa vita piena di tranelli, maschere e iniquità.


Di Valentina Mazzella, dal Napolisera.it in data 3 maggio 2019.

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giovedì 2 maggio 2019

"Pet Sematary”: l’horror psicologico di Stephen King



RECENSIONE - Dal 9 maggio uscirà nelle sale italiane“Pet Sematary”, un film dell’orrore adatto anche ai più paurosi. La regia di Kevin Kölsch e Dennis Widmyer riporta sul grande schermo l’omonimo romanzo di Stephen King del 1983 che nel 1989 aveva già trovato un primo adattamento cinematografico con la pellicola“Cimitero vivente” di Mary Lambert. A distanza di trent’anni si avvertiva di poter dare nuova vita al capolavoro dello scrittore del Maine senza inciampare nella banalità della replica. L’opera si avvale di una fotografia suggestiva, sebbene per renderla ad effetto siano bastate un po’ di nebbia e delle maschere. La storia attinge dallo scatolone dei cliché dei film horror. Ripesca gli scenari del bosco, del cimitero, delle terre indiane e della casa isolata nella foresta. Non si priva di personaggi archetipici dei film horror: i genitori con i sensi di colpa per l’eccessivo lavoro che conduce loro a trascurare la famiglia o il misterioso vicino anziano che la sa lunga sui criptici eventi del posto. Si aggiungono alcuni elementi quali sangue, zombie e incubi tra dimensione onirica e realtà e si ottiene un prodotto che non brilla certo per originalità, ma che tuttavia si lascia ugualmente visionare con piacere. Non mancano un paio di omaggi ad alcuni must del genere come “Shining” e “L’esorcista“.


Sicuramente quanto fa innalzare il livello qualitativo della pellicola, malgrado alcune lacune nella sceneggiatura, è l’introspezione psicologica dei personaggi e della faccenda narrata. Nonostante i protagonisti agiscano esattamente come lo spettatore dotato di senno mai farebbe, non si può fare a meno di immedesimarsi. Come spesso accade guardando questo genere di film, non si comprende perché i personaggi non si tengano alla larga dal pericolo sebbene ne sia lampante la natura. Eppure si prova facilmente empatia nei loro confronti. Si comprendono pienamente i sentimenti alla base di certe scelte del tutto fuori luogo. Ed è questo quello che spaventa: più che la vicenda narrata in sé, forse proprio il dilemma etico che desta nella coscienza del pubblico. Stephen King attinge da traumi della vita reale per riflettere sulle paure dell’uomo, sugli scrupoli, i suoi tormenti, la fame di giustizia e di vendetta, l’incapacità di accettare la morte e la perdita di una persona cara. Ricorre a questi ingredienti come trampolino di lancio per poi indagare sui limiti oltre i quali l’essere umano, messo alle strette, sarebbe disposto a spingersi se solo ne avesse l’opportunità.

Di Valentina Mazzella, pubblicato sul Napolisera.it in data 2 maggio 2019.

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