lunedì 27 gennaio 2020

Conversazione sul Giorno della Memoria con un bambino


Oggi è il ventisette gennaio. Non c'è bisogno che controlliate il calendario per saperlo. È il Giorno della Memoria. Saranno la televisione con il suo palinsesto, la scuola, i post sui social, la radio e i giornali a ricordarvelo. Ed è giusto che sia così. Non voglio perdermi in discorsi troppo astratti e teorici per spiegare il perché, soprattutto di questi tempi, sia non solo corretto, ma più che necessario commemorare le vittime della Shoah. Mi limiterò ad accendere il focus della faccenda riportando un esempio molto semplice. Una breve conversazione che pochi giorni fa ho avuto con un bambino di quinta elementare.


Svolgeva i compiti assegnati per casa. Nello specifico leggeva, piuttosto annoiato, un dettato. Una paginetta sull'Olocausto. La classica sintesi per riferire cosa si commemori, cosa e quando storicamente sia accaduto. Qualche numero e fine. Ho aggiunto io a voce qualche informazione. Ho raccontato al bambino il resoconto di alcune testimonianze dei sopravvissuti che negli anni ho ascoltato. Poi il bambino mi ha chiesto il perché dello sterminio. Questo nel dettato non c'era scritto. Ho provato a rispondere parlandogli per grossi capi dei celati interessi economici, delle ideologie malate, dell'esaltazione di massa... Il bambino all'improvviso mi ha interrotto: "Ma perché allora dobbiamo ricordare tutto questo? Non è meglio dimenticare le cose brutte?".
La domanda mi ha spiazzata. Non avevo mai sentito un'osservazione simile, probabilmente un comprensibile rifiuto dinnanzi alla crudeltà umana.
"Ma no! Dobbiamo ricordare invece!" ho detto. "Affinché cose così brutte non accadano più! Altrimenti, se dimentichiamo, potrebbero ripetersi e noi non vogliamo". 
Al che il bambino, un po' pensieroso, ha commentato: "Sì, va be'... Ma noi siamo italiani. Non siamo Ebrei. A noi non farebbero nulla".
Ovviamente il quesito è stato spunto per chiarire che gli Ebrei nei campi di concentramento fossero persone tedesche, italiane e di altre nazionalità europee. Ho rettificato che furono deportati anche i Rom, gli omosessuali, i diversamente abili, gli oppositori politici e chi più ne ha più ne metta. Tuttavia il punto è che la sua osservazione mi ha fatto male. Molto male. Comprendo perfettamente che dietro a quelle parole ovviamente si celasse il desiderio legittimo e naturale dell'infanzia di ricevere rassicurazione dagli adulti. Eppure mi sono sentita presa a schiaffi perché, a rifletterci bene, lo stesso pensiero è condiviso anche da delle persone adulte.


Eccoci. Spaparanzati sui divani. Arrabbiati con la vita, presi dai mille problemi che affliggono la nostra piccola quotidianità. Il mutuo da pagare, l'insufficienza in matematica, il parente malato da accudire, gli esami rimandati... Eccoci che di fronte a certi argomenti pensiamo: "Fin quando il male non tocca a me, a me che importa? Non voglio sentire "le cose brutte", le verità scomode... È meglio dimenticare. È meglio voltarsi dall'altra parte. Tanto a me non capita e del prossimo non mi interessa". Allora mi interrogo: cosa rende l'essere umano egoista? Solo la distanza fisica da certe tematiche e da certi avvenimenti o la paura di esserne vittima? Cosa rende menefreghisti e ripiegati a riccio su noi stessi?

Dobbiamo saperlo. Dobbiamo indagare. Perché alle volte conoscere non basta. Bisogna riflettere sui perché e alle volte nemmeno questo basta. Non basta per sperare che in maniera spontanea germogli negli individui il seme dell'empatia. Perché, con buona pace di Rousseau, l'essere umano tanto buono di natura non è. Certi sentimenti di comprensibile rifiuto, negazione e paura di fronte all'orrore costituiscono il terreno fertile per l'indifferenza, il disinteresse e l'individualismo più pericolosi. La malvagità in questo è spietatamente sibillina. Riesce a farti percepire come ammissibili anche le più gravi bestialità. Si serve di pochi espedienti, quasi sempre gli stessi: l'abitudine, l'insofferenza, la prostrazione... E zac! Quando meno te lo aspetti, hai perso da molto la tua umanità o forse non l'hai mai avuta e nemmeno lo sai. Ma l'empatia può essere trasmessa? Non entro nel merito, ma di certo in questo giorno ai bambini serve tantissimo sapere. Tuttavia le nozioni senza educarli a riconoscersi nell'altro rende la commemorazione sterile. Perché non importa che tu non appartenga ad alcuna minoranza perseguitata o non sia il capro espiatorio di chicchessia. Certe atrocità non devono toccare in sorte a nessuno e basta.

Di Valentina Mazzella, pubblicato sul Napolisera.it in data 27 gennaio 2020.

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martedì 21 gennaio 2020

"I giganti della montagna": il metateatro di Pirandello al Mercadante con Gabriele Lavia


RECENSIONE - La verità si può inventare, senza che sia una bugia: è una delle riflessioni profonde che suggerisce "I giganti della montagna" con la regia di Gabriele Lavia in scena al Teatro Mercadante di Napoli fino al 26 gennaio. Portare sul palcoscenico questa complessa opera di Luigi Pirandello non era una sfida semplice. Opera complessa e incompiuta, è stata rappresentata conservandone pienamente l'ecletticità dei dialoghi e dei personaggi. Pirandello ne scrisse i primi tre atti riservandosi tempi molto lunghi, passando poi a miglior vita prima di stenderne la conclusione. Fu il figlio Stefano a scrivere il quarto atto seguendo fedelmente la struttura che il padre gli avrebbe rivelato a voce quando era ancora in vita. Un parto dunque travagliato che ha dato vita a una sceneggiatura capace di scuotere la logica e i preconcetti preconfezionati del pubblico.

Il sipario si alza e mostra la platea di un teatro in evidente stato di abbandono. È lo scenario in cui si muovono i disadattati con a capo Crotone, personaggio indecifrabile interpretato egregiamente dallo stesso Lavia. Vivono presso la Villa della Scalogna dove accolgono l'arrivo della compagnia della Contessa, un gruppo di attori che calca le scene con "La favola del figlio perduto", l'opera di un misterioso poeta. Nella realtà di tratta tuttavia di uno spettacolo dello stesso Pirandello. Siamo così di fronte innanzitutto a un sorprendente esempio di metateatro. La scenografia curata, i costumi dettagliati, le luci vorticose, le musiche al passo: tutto arricchisce la rappresentazione assorbendo lo spettatore come le sabbie mobili. Ci si ritrova pertanto in una dimensione surreale in cui vita reale, finzione e fantasia si confondono fino ad amalgamarsi. Messa da parte la ragione, si affrontano i fantasmi, le perplessità e i dilemmi dell'esistenza. E ci si interroga inevitabilmente "sulle maschere della vita e sulle maschere del sogno che non si scelgono mai a caso".

Cast: Gabriele Lavia, Federica Di Martino, Clemente Pernarella, Giovanna Guida, Mauro Mandolini, Lorenzo Terenzi, Gianni De Lellis, Federico Le Pera, Luca Massaro, Matilde Piana, Ludovica Apollonj Ghetti, Michele Demaria, Simone Toni, Marìka Pugliatti, Beatrice Ceccherini, Luca Pedron, Laura Pinato, Francesco Grossi, Davide Diamanti, Debora Rita Iannotta, Sara Pallini, Roberta Catanese, Eleonora Tiberia.


Recensione di Valentina Mazzella, pubblicata sul Napolisera.it in data 21 gennaio 2020.

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martedì 14 gennaio 2020

"Poesie da bagno" - racconto breve



"Ho iniziato a scrivere poesie! Ti rendi conto?".
"Per lui?".
"Sì! Esattamente!".
"Perbacco!" commenta Martine seduta spaparanzata dietro la sua scrivania in legno pregiato. Spegne con attenzione una sigaretta in un posacenere di alabastro verde e si sporge in avanti per controllare che il mozzicone si sia spento per davvero. Le dà fastidio quando i resti delle sigarette conservano una microscopica scintilla che rilascia ancora fumo. Aguzza gli occhi fino a farli diventare due fessure. Probabilmente è miope, dovrebbe indossare gli occhiali e al momento non ha le lenti a contatto.
"E non è che le stia scrivendo come ci si aspetterebbe convenzionalmente! Non so, ad esempio in campagna seduta romanticamente all'ombra di un albero, contemplando l'orizzonte con un cappello di paglia in testa, mentre gli uccellini cantano e io vengo rapita dai miei pensieri...".
"Sì sì, abbiamo capito. Molto idillio. Molto Ottocento. Molto romantico. Molto stereotipo" la interrompe bruscamente Martine seguendo con lo sguardo il volo di una mosca che la infastidisce con insistenza.
"Già".
"E come allora? Parla pure. Io ti ascolto" replica Martine sventolando una mano impreziosita da anelli con grosse pietre di valore.
"Beh... Mi vergogno quasi a dirlo: in bagno! Scrivo poesie nel cesso, capisci? Seduta sulla tazza, di notte!".
“Uuuuh! Eccezionale! Questo invece fa molto Novecento! Alla gente piace!" commenta entusiasta Martine. Sbatte rumorosamente e ripetutamente una mano sulla scrivania in preda a un'improvvisa euforia. "Ai lettori piacciono gli autori borderline! Più sembri matto, più ti credono un genio! E più ti leggono! Sai, li fa sentire... 'intelligenti'! Possono vantare gusti letterari sofisticati così!".
"Dici sul serio?".
"Sicuro! E secondo te ho l'aria di una che sta scherzando?" risponde Martine battendo forte le mani ed emettendo un gridolino di gioia.
"Non saprei...".
"Poesie scritte nel bagno... Perbacco! E dimmi dimmi: sono poesie d'amore?".
"Sì, non sono destinate a lui, ma parlano di lui...".
"Perbacco! Perbacco!" delira di gioia Martine. Si alza in piedi, va alla finestra in un tripudio di tintinnii di braccialetti e guarda fuori con gli occhi che le brillano.
"Poesie scritte nel cesso...".
"Aaaaaah! Smettila! Ti ho detto che è meraviglioso! Le cose strane hanno successo! Guarda questo racconto ad esempio!" esordisce Martine piroettando per la stanza con passetti leggeri.
"Quale racconto?".
"Quello in cui stiamo vivendo, mi sembra ovvio!" risponde Martine con noncuranza. Con un'espressione sognante sul viso, apre e chiude il pugno della mano destra per osservare compiaciuta le proprie unghie abbellite da una recente fiammante manicure. 
"Perché? Siamo in un racconto?".
"Ma certo che sì, sciocchina!" la pungola Martine con un sorriso a trentadue denti.
"Non me ne ero accorta...".
"E adesso lo sai! Piuttosto... le poesie le scrivi mentre fai la cacca?".
"No no... Sulla tazza sono solo seduta, ma non faccio nulla. È che nel cesso sono più meditativa...". 
"Capisco capisco! Peccato..." commenta Martine mordendosi il labbro inferiore, per un istante assorta in chissà quale pensiero. 
"Ma si può scrivere la parola 'cacca' in un racconto?".
"E perché no? Sciocchina proprio sei... Mal che vada ti avvali della scusa dell'esercizio di scrittura, della licenza poetica e ogni corbelleria ti viene concessa!" ridacchia Martine tornando a sedersi dietro la scrivania in legno pregiato.
"Adesso che ci penso... Tu chi sei?".
"Ma come chi sono? Non mi riconosci? Così mi fai dispiacere però! Sono Martine! Mi sembra ovvio!".
"Martine?".
"Sì, Martine! Sono un personaggio di quel libro che leggesti mesi fa. Ti piacqui così tanto! Non ricordi?".
"Aaaah! 'Quella' Martine! Ora ho capito!".
"Ne sono contenta" commenta Martine che nel frattempo si appresta a ordinare frettolosamente alcune carte sparse sulla scrivania. "Adesso però è meglio che tu vada".
"E dove devo andare?".
"Non lo so. Dove vuoi" risponde Martine. "Vai a fare qualcosa di frivolo, vai dal parrucchiere, salta in un altro foglio... Ma non puoi restare qui in questo racconto".
"Perché no?".
"Se restassi in questo racconto, impazziresti! Non ti fa bene! Vai, su! Non ti far cacciare, buon viaggio!".

Racconto di Valentina Mazzella


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domenica 12 gennaio 2020

Il nuovo "Pinocchio" di Garrone con un eccezionale Benigni nei panni di Geppetto


RECENSIONE - Tenero, allegro e fiabesco il nuovo "Pinocchio" di Matteo Garrone. Un film assolutamente valido. Notevole per la fotografia, l'estetica delicata e i paesaggi proposti che incantano lo spettatore come il più bello dei libri illustrati. Benché la storia di Pinocchio la conoscano tutti, Garrone è riuscito a confezionare una produzione che rende ugualmente fresca e magica la visione delle avventure del burattino più conosciuto di sempre.

Non è secondario che questa trasposizione vanti inoltre un cast davvero d'eccellenza. In prima linea Roberto Benigni che torna al cinema con Collodi interpretando questa volta il caro vecchio Geppetto. La sua interpretazione è egregia. Benigni è "così Benigni" che in ogni scena in cui appare diventa subito il protagonista del momento. Divertente e commovente come sempre, con la sua partecipazione e il suo accento toscano Benigni ha regalato alla pellicola un valore aggiunto.


Non sono da meno i meriti da riconoscere al piccolo Federico Ielapi che, con quattro ore di trucco sul viso, si è dimostrato perfettamente all'altezza delle aspettative. Ha offerto al pubblico un Pinocchio spontaneo, monello, disubbidiente al punto giusto, ma soprattutto buono. Forse meno egoista e più ingenuo rispetto alle classiche rappresentazioni del passato.

Lodevole sono state poi le performance del resto del cast: Gigi Proietti (Mangiafuoco), Rocco Papaleo e Massimo Ceccherini (il Gatto e la Volpe), Marine Vacth (la Fata Turchina da adulta), Alida Baldari Calabria (la Fata da bambino), il piccolo Alessio Di Domenicantonio (nei panni di Lucignolo), Maria Pia Timo (Lumaca), Davide Marotta (il Grillo Parlante) e Massimiliano Gallo (il direttore del circo).

La sceneggiatura è stata scritta e curata dallo stesso Matteo Garrone in collaborazione con Ceccherini. Sceglie di eseguire dei tagli alla trama originale del romanzo partorendo tuttavia una buona sintesi. Il risultato è un "Pinocchio" che incanta e diverte i più piccini. Un film che addolcisce e fa riflettere i più grandi. Si conserva dunque il fascino della celeberrima fiaba dando al burattino di Collodi un nuovo momento di gloria.

Recensione di Valentina Mazzella, pubblicata sul Napolisera.it in data 11 gennaio 2020.

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mercoledì 8 gennaio 2020

"Last Christmas": una magnifica Emilia Clarke in un film non necessariamente natalizio



RECENSIONE - Se si adora Emilia Clarke, è davvero complicato recensire in maniera veramente imparziale un film in cui la celebre ex-Madre-dei-draghi reciti, anche se nei panni di un personaggio del tutto diverso. Ad esempio non si possono spendere delle parole per il film "Last Christmas" di Paul Feig senza innanzitutto tessere le lodi sulla performance della Clarke. Bellissima senza bisogno di rincorrere i canoni estetici standardizzati, autoironica, impacciata, divertente oppure sensuale e drammatica a seconda del ruolo, Emilia anche in questa produzione è protagonista al mille per cento della scena. "Last Christmas" non ne sfrutta unicamente il nome sulla locandina per attirarne i fans al cinema, ma ha letteralmente investito sul suo talento per arricchire una pellicola altrimenti abbastanza nella media.

Sebbene non brilli troppo per originalità, la commedia è assolutamente apprezzabile. Ricorre a diversi cliché drammatici a un certo punto un po' prevedibili. Tuttavia il gusto della visione non viene guastato perché si viene completamente assorbiti dai colori e dalle atmosfere evocate. I personaggi hanno quasi tutti uno spessore psicologico ed è elegantissima l'attenzione che ogni tanto la trama riserva a delicati temi di attualità quali la Brexit e il problema dell'intolleranza nelle società multi-etniche.


In ultimo grandissimo pregio è il fatto che "Last Christmas" si appresti a essere un film di Natale senza tuttavia che il Natale ne sia un aspetto imprescindibile. L'ambientazione della storia infatti è indubbiamente natalizia. Scenografie, musiche, addobbi, costumi e buoni sentimenti ne richiamano continuamente la magia. Eppure "Last Christmas" ci risparmia il tradizionale mantra secondo cui nel giorno di Natale si possa fare di tutto e che tutto sia possibile unicamente grazie alla magia del Natale stesso. "Last Christmas" va oltre e attraverso le peripezie della protagonista, Kate, insegna allo spettatore che sia possibile svoltare strada nella vita solo ripartendo da se stessi. Mettersi in discussione, acquisire consapevolezza, scegliere di rinnovarsi e di spendersi per gli altri sono gli step giusti ed essenziali affinché il cambiamento ci travolga veramente. È questo il vero miracolo. Il vero miracolo per il quale, "Last Christmas" ci suggerisce, non bisogni necessariamente aspettare il Natale. In questo modo sarà una magica occasione di rinascita ogni giorno dell'anno.


Recensione di Valentina Mazzella, pubblicata sul Napolisera.it in data 8 gennaio 2020. 


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