"È stato un sogno assurdo! Troppo assurdo, assurdo!" continuava a ripetere Anna accostata al lavello della cucina. In mano una grossa tazza di camomilla.
"Ti dico che mi sono svegliata tutta sudata".
Serena non l'ascoltava con particolare attenzione. Era appollaiata con le gambe incrociate su una sedia accostata al tavolo. Con aria annoiata inzuppava da troppo tempo lo stesso biscotto nella sua tazza di latte. Fare colazione con lo stomaco chiuso non era per niente facile. Le dispiaceva, ma quella mattina non aveva davvero la testa per ascoltare le paturnie notturne della sua coinquilina.
Ciononostante Anna proseguì imperterrita con il suo racconto. "Tanto per iniziare nel sogno sapevo di trovarmi a Parigi! Hai capito? A Parigi! Ed ero con Piero, il direttore... Sembrava dovesse venire a piovere. Così abbiamo iniziato a scendere in tutta fretta giù per una scalinata. Ma i gradini erano gradoni! Erano enormi! Mi arrivavano all'incirca qui" e si indicò un fianco posando la tazza di camomilla nel lavello. "Quindi dovevo fare a ogni gradone un salto per mettere piede su quello successivo! E Piero scendeva tutto disinvolto, mentre io avevo paura di cadere a ogni passo! Assurdo, assurdo! Troppo assurdo!".
"Vero, troppo assurdo..." bofonchiò Serena senza alzare lo sguardo dalla sua tazza. Stava inzuppando lentamente un secondo biscotto con aria affranta.
"Ma non è finita qua: ascolta!" squittì visibilmente agitata Anna.
"Certo...".
"Praticamente finalmente le scale finiscono e ci troviamo davanti all'ingresso di un albergo molto elegante, sicuramente di lusso. Aveva le porte in vetro girevoli all'entrata. Piero doveva parlare con qualcuno... Non so con chi, non so perché fossimo lì. Sai come funziona nei sogni, no?".
"Sì, lo so..." rispose Serena.
"Ecco, mi lascia da sola nella hall. Lo attendo buona buonina accanto al bancone della reception, ma lui non tornava più! Allora attraverso la hall a grandi passi e mi dirigo verso una gigantesca porta tutta in legno. Era un albergo probabilmente a cinque stelle, di lusso... Te l'ho detto questo?" domandò Anna con voce quasi affannata.
"Sì, me l'hai detto questo...".
"Era tutto in legno, pavimenti di marmo, dettagli in oro... Tutto in stile classico, ma molto chic! Anzi, sai che ti dico? Sembrava di essere nel Titanic! Nel Titanic come viene ricostruito nel film di Cameron. Te lo ricordi il Titanic?".
"Ricordo il Titanic" rispose Serena con la voce più passiva del mondo. Con noncuranza lanciò un'occhiata all'orologio appeso alla parete sopra il frigorifero. Le lancette segnavano le sette e mezzo del mattino.
"Ecco, uguale! E cosa stavo dicendo? Mi sono persa... Ah, ho ricordato! Mi avvicino a questa porta e cosa ne esce? Colpo di scena! Non potrai mai indovinare! Prova!" la sfida Anna voltandosi a lavare la sua tazza con movimenti particolarmente energici. Era evidente che il sogno le avesse trasmesso una buona carica di adrenalina.
"Non lo so... Piero? Dillo tu, non mi piace indovinare" replicò Serena con voce morta.
"Uffa... E va bene: un orso! Ti rendi conto? Ne esce un orso! Da pazzi! E chiaramente cosa ho fatto secondo te? Sono scappata, ma è normale! Troppo assurdo, assurdo! Da pazzi!". Anna continuava a ripetere le stesse esclamazioni scuotendo la testa e ridendo, a metà fra l'essere incredula e divertita.
"Un orso..." mormorò Serena sbadigliando.
"Sì, tipo un orso bruno. Non lo so, ma aveva il pelo marrone ed era E-NOR-ME! Forse nella realtà avrei dovuto fingermi morta... Non si dice sempre così? È verità o una bufala?".
"Non lo so...".
"Mh..." rispose Anna con una smorfia piuttosto pensierosa. "In ogni caso l'orso mi raggiunge e mi placca da dietro. Allora io inizio a urlare, a urlare, a urlare...! Forse anche a piangere! Ero quasi all'uscita, ma l'orso mi bloccava ed ero sicura che avrebbe finito con lo sbranarmi viva! È stato orribile, davvero!".
"Ti credo...".
"Ma è stato in quel momento che ho sentito poi qualcuno urlare, credo, in francese. Eravamo a Parigi del resto! Però io non capivo, non capivo proprio nulla! Eppure avevo l'impressione che stessero urlando a me. Allora mi sono resa conto di essere ancora viva, mi sono voltata e... l'orso non c'era più! Al suo posto c'era un bambino! Capisci? Un bambino piccolo, bellissimo... Avrà avuto intorno ai sette anni, con i capelli castani a caschetto... E piangeva! Povera creatura! Mi abbracciava e piangeva! Allora ho ricambiato l'abbraccio e ha smesso di piangere! È stato dolcissimo! Non trovo le parole per spiegarti l'emozione, il trasporto... Troppo assurdo!".
Serena la guardò accigliata, con i gomiti sul tavolo e le mani a sorreggere il mento.
"A quel punto alle spalle del bambino ho visto una donna. Bassa e minuta, con i capelli neri e corti. Indossava una divisa blu. Forse è una dipendente dell'albergo, penso. Mi parlava in francese. Era sua la voce che avevo sentito, ma non capivo ugualmente cosa stesse cercando di dirmi. Allora è comparso Piero che gentilmente ha fatto da interprete. La donna era, sì, una dipendente dell'albergo e quello era suo figlio che quel giorno aveva portato con sé al lavoro. Mi invitava a non aver paura del suo bambino. Semplicemente ogni tanto si trasformava in un orso, ma non aggrediva... E poi mi sono svegliata".
Serena restò in silenzio qualche secondo fissando la sua tazza ancora colma a metà, poi commentò distratta: "Secondo me è angoscia".
"Cosa?".
"Questo sogno... Secondo me esprime stati di ansia. Sei troppo agitata in ogni momento...".
"Dici sempre lo stesso..." protestò Anna con il broncio. "Per me non significa solo questo. Grida qualcosa di più profondo. La tua è un'analisi troppo... superficiale! Sicuramente è anche come dici tu, ma non può essere solo questo. La donna che parla in francese, Piero che fa da interprete, il bambino che non parla perché diventa un orso... Boh... Mi fa riflettere sulla comunicazione, non trovi?".
Serena tirò un sospiro profondo. Non aveva voglia di parlare. Aveva ben altro a cui pensare. Perciò tagliò corto rispondendo: "Può darsi". Poi si alzò da tavola. Prese la sua tazza e la posò nel lavello. A testa china chiese solo: "Scusa, potresti tu...?".
"Certo, la lavo io" acconsentì Anna con la sua voce squillante. Poi aggiunse: "Ma che hai? C'è qualcosa che non va? Ti vedo strana".
"No, niente" rispose Serena uscendo dalla cucina. Percorrendo il corridoio per raggiungere la sua stanza, ascoltò lo scrosciare dell'acqua del rubinetto accompagnato dalla voce di Anna che ripeteva ancora da sola: "Assurdo, troppo assurdo...".
Racconto di Valentina Mazzella.
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