martedì 31 marzo 2020

"Ogni Angelo è tremendo": l'autobiografia sincera, ma poco avvincente di Susanna Tamaro



RECENSIONE - Come primissimo approccio alla scrittura di Susanna Tamaro probabilmente "Ogni angelo è tremendo" non è esattamente il libro migliore con cui iniziare. Dal titolo molto meno noto rispetto al celeberrimo "Va' dove ti porta il cuore", si tratta di un'autobiografia dell'autrice. Una ricostruzione autentica della sua vita dalla nascita fino agli esordi come scrittrice. Il racconto di un'infanzia minata da delle figure genitoriali inadeguate, un padre assente e una madre anaffettiva. La storia di una bambina che cresce e diventa una donna nelle difficoltà, senza per questo maturare dentro di sé cinismo ed egoismo verso il mondo. Leggendo è meraviglioso scoprire la parentela che lega la Tamaro a Italo Svevo: una vera chicca per gli appassionati di letteratura italiana. Interessanti sono le molteplici riflessioni genuine che vengono condivise sulla vita e le diverse sue sfaccettature. Uno sguardo empatico e compassionevole nonostante le avversità che spesso induriscono i cuori. Lo stile è sobrio e scorrevole, senza orpelli inutili. Alla luce di ciò "Ogni angelo è tremendo" si rivela essere pertanto una squisita opportunità per conoscere meglio Susanna Tamaro non tanto come scrittrice quanto come persona. Sicuramente la lettura evoca infatti il desiderio di incontrare dal vivo almeno una volta una sensibilità così limpida e schietta. Ne emerge il quadro sincero di un carattere in cui fragilità è forza si fondono assieme. Purtroppo peró la narrazione non decolla mai del tutto. Non è abbastanza avvincente da incollare il lettore alle sue pagine con la passione che meglio rendebbe propriamente giustizia al talento di un'autrice dal valore rinomato come il suo. 


Recensione di Valentina Mazzella



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domenica 29 marzo 2020

"Il fantasma di Canterville": l'ilarità giovanile di Oscar Wilde



RECENSIONE - "Il fantasma di Canterville" di Oscar Wilde è senza dubbio il genere di storia da consigliare a chi desidera leggere un buon libro, ma magari ha poco tempo da dedicare alla lettura oppure attraversa un periodo in cui ha difficoltà nel concentrarsi. Si tratta infatti di un racconto lungo solitamente pubblicato dalle case editrici in un formato che non supera quello del volume tascabile. Ed effettivamente, se si ha voglia, "Il fantasma di Canterville" si lascia leggere tutto d'un fiato in meno di due ore. Questo non semplicemente per la brevità del testo, ma anche e soprattutto per la natura scorrevole, semplice e divertente della storia scritta da Oscar Wilde in gioventù. 

Lo scrittore irlandese racconta la vicenda della famiglia americana Otis che, giunta nell'antichissimo castello di Canterville, si ritrova ad avere a che fare con il fantasma di Sir Simon Canterville il quale da ben tre secoli terrorizza gli abitanti della nobile dimora. Gli statunitensi tuttavia sono fatti di tutt'altra pasta a quanto pare e daranno filo da torcere allo spettro da cui non sono per niente spaventati. Con grande ilarità e ironia, Wilde nel 1887 evidenziò così le differenze fra il progressismo della cultura, del cinismo e della politica americana da un lato e la tradizione aggrappata all'etichetta e all'aristocrazia del Regno Unito dall'altro. Sebbene non sia il cavallo di battaglia dell'autore, "Il fantasma di Canterville" resta un ottimo e prezioso pezzo di letteratura davvero piacevole da conoscere. Una lettura che vale la pena approfondire, fosse anche solo per le spassose risate che il libro regala. 


Recensione di Valentina Mazzella 


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mercoledì 18 marzo 2020

"Nove racconti" di J.D. Salinger: la raccolta per gli orfani del giovane Holden




RECENSIONE - Chi ha amato "Il giovane Holden" non può non approdare un giorno o l'altro alla raccolta "Nove racconti" di J.D. Salinger, opera comunemente meno famosa del brillante scrittore americano. Il titolo in copertina è banale, eppure a suo tempo fortemente desiderato dall'autore. Anticipa senza fronzoli che nell'aprire il libro il lettore scivolerà in nove brevi storie diverse: "Un giorno ideale per i pescibanana", "Lo zio Wiggily nel Connecticut", "Alla vigilia della guerra contro gli Esquimesi", "L'uomo ghignante", "Giù al dinghy", "Per Esmé: con amore è squallore", "Bella bocca e occhi miei verdi", "Il periodo blu di De Daumier-Smith" e "Teddy". In alcune di esse è possibile incontrare alcuni personaggi della Famiglia Glass, protagonista del libro "Franny e Zooey" scritto sempre dallo stesso Salinger. In testa l'indecifrabile Seymour del primo racconto. Resta vivida la capacità di farsi voce di una generazione di giovani, di ribelli incompresi dal mondo. Eppure un ruolo centrale nella raccolta lo riveste l'infanzia: i bambini e il loro modo diverso di guardare la realtà circostante grazie a uno sguardo senza filtri e indottrinamenti. 

Lo stile è scorrevole, diretto, coinvolgente. In molte pagine dominano i dialoghi seducendo con un linguaggio immediato, un po' colloquiale. Ogni riga dimostra quanto il papà di Holden in fondo sia sempre stata una spanna sopra i suoi colleghi. La sua scrittura era fresca e innovativa nel lontano 1953 e miracolosamente continua a esserlo ancora oggi. Come desidera la scuola del "Show! Don't tell!", Salinger non racconta. Mostra. Senza preavviso catapulta chi legge nel bel mezzo di una scena. La storia forse è già iniziata. Non ha un vero inizio e neanche una vera fine. Si mastica tutto senza cogliere veramente il senso. Si termina la lettura con la sensazione addosso di aver perso qualche passaggio. Tuttavia è forse proprio in questo aspetto che risiede il grande fascino delle storie scritte da una delle personalità sicuramente più criptiche della letteratura del Novecento. 

Recensione di Valentina Mazzella


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martedì 17 marzo 2020

"Il medaglione" di Andrea Camilleri e il profumo della lingua sicula



RECENSIONE - Una lettura breve, veloce, scorrevole e soprattutto simpatica: in quattro aggettivi la descrizione più calzante per suggerire un'idea del romanzo "Il medaglione" di Andrea Camilleri. Più propriamente si tratta di un racconto lungo scritto per intero rigorosamente in lingua sicula, peculiarità che del resto ha reso celebre Camilleri al vasto pubblico. Pertanto chi ama il siciliano si entusiasma leggendo ogni singola sillaba, cibandosi di una musicalità magica capace di evocare il sole e l'allegria della Sicilia. Non da meno è poi la maestria con cui l'autore delinea perfettamente il profilo del territorio di ambientazione, del suo popolo, dei suoi usi e costumi. La storia si puntella di personaggi che ci permettono di respirare l'atmosfera di una piccola comunità in cui tutti si conoscono. Si assaporano contesti e situazioni semplici, per alcuni aspetti genuini, pronti a catapultare il lettore in un passato più tradizionalista. Ciononostante si riflette sulla verità, sull'indagine per pervenire ad essa e sull'amarezza che potrebbe regalare e non siamo sempre pronti a digerire. 

Recensione di Valentina Mazzella

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lunedì 16 marzo 2020

Il tappeto blu - racconto breve



Per chiunque entrasse nella mia stanza quello steso sul pavimento in marmo doveva sembrare senza alcuna ombra di dubbio un banalissimo tappeto blu. Era grande, quadrangolare e abbastanza robusto. Che io ricordi il suo era uno spessore di almeno due centimetri. Mia madre lo disponeva al centro della stanza d'inverno in modo che non prendessi freddo giocando per terra seduta all'indiana. Quando arrivava il caldo delle belle stagioni, il tappeto scompariva. Prima che i miei genitori lo nascondessero chissà dove, rammento che arrotolato su se stesso fosse grosso e pesante. Con il primo gelo il tappeto ricompariva. E così ogni anno. 
La sua superficie era di un materiale simile al velluto. Quando ricopriva pigramente il pavimento, la luce che di giorno penetrava dalla finestra l'accarezzava disegnando sfumature diverse di blu. Un po' come spesso accade con le penne lucide di alcuni uccelli dal piumaggio scuro. 
Senza riserve era un tappeto normalissimo. Copriva abbondantemente lo spazio vuoto compreso fra l'armadio e il divano. Ad occhio e croce si sarà trattato di un'estensione di poco superiore ai quattro metri quadrati. Era molto comodo, eppure semplice. Comune, come tanti. Non era particolarmente bello. Non aveva una trama speciale come i tappeti persiani. Non era un tappeto magico. Non volava come quello di Aladino. Eppure per me era importante.

Era importante perché non volava, ma mi permetteva lo stesso di volare. Da bambina infatti decisi di promuovere il perimetro di quel tappeto a linea di confine di qualsiasi mondo fantastico scegliessi come ambientazione per i miei giochi infantili. 
Ad esempio, nel periodo in cui guardavo quotidianamente la videocassetta Disney di "Alice nel Paese delle Meraviglie", curai con meticolosa attenzione una scenografia che mi permettesse di rivivere nella mia stanza le avventure della figlioccia letteraria di Lewis Carroll. In punti considerati opportuni collocavo pupazzi e giocattoli con cui improvvisare i dialoghi della storia. Il tocco di classe non era però dato dai vari peluche di conigli o gatti disseminati a destra e a manca. E nemmeno dal tavolino con le bottigliette finte che avrebbero in teoria modificato le mie dimensioni. Per me il fiore all'occhiello di cui ero orgogliosa, dal basso dei miei quattro o cinque anni, era la sediolina che posizionavo sul bordo del tappeto blu. Quella sotto cui strisciavo per addentrarmi nella tana del Bianconiglio. A tempo debito poi mi mettevo  a carponi  e guardavo sotto la sedia. Nella realtà attraverso i suoi piedi da osservare c'era unicamente il tappeto blu. Ciononostante i miei occhi vedevano i fiori, gli alberi, il cielo azzurro e il sole del meraviglioso giardino che Alice spiava dalla porticina piccola piccola nascosta dietro la tenda. 
Il tappeto blu era tutto ciò. Sono stati tanti i giochi e le peripezie che da piccola immaginavo su quel tappeto. Raccontarli tutti forse richiederebbe un libro. Tuttavia oggi nei miei ricordi il tappeto blu resta soprattutto il giardino segreto di Alice
Poi con l'avvento dell'estate iniziavano i mille giochi sul balcone, "all'aperto". Le case e le tende costruite con le tovaglie, i "campeggi" fino all'ora dei pasti, i legumi nell'ovatta umida, i piatti di plastica colmi di acqua inseriti nel freezer per far pattinare sul ghiaccio le bambole, gli inutili tentativi di catturare i passerotti con del pane nascosto sotto a una bacinella sollevata da una molletta legata a un filo di spago come nei cartoni animati... Non avevo davvero bisogno del tappeto blu per inventare mondi e avventure.


Ciononostante ricordo perfettamente la sera in cui mamma e papà buttarono il tappeto blu. Fu un vero trauma per me che ero piccola e non non frequentavo ancora nemmeno le scuole elementari. Ero seduta sul sedile posteriore dell'auto. Mio padre parcheggiò e vidi i miei genitori depositare il tappeto blu arrotolato su stesso in un grosso bidone dell'immondizia. 
"Mamma! Perché lo avete messo lì? Lo avete buttato?" domandai col naso schiacciato contro il finestrino. Probabilmente fu evidente da subito quanto fossi contrariata e agitata da quella scena perché mia madre lì per lì mi rispose: "No no, non lo stiamo buttando" negando l'ovvietà. 
Tuttavia mio padre accese il motore, l'auto ripartì e il mio sguardo rimase fisso sul bidone fin quando non scomparve alla prima curva. Quella è stata l'ultima volta in cui vidi il tappeto blu. Ci rimasi terribilmente male perché "non l'avevo nemmeno salutato". Non mi importava che fosse solo un oggetto. Avevo giocato seduta sul suo velluto con le gambe incrociate un'ultima volta dopo anni senza sapere che fosse un addio. 
Determinata a conservare le speranze, successivamente chiesi a mia madre notizie del tappeto. In un'occasione mi rispose sostenendo fosse in lavanderia. Un altro giorno poi finalmente ammise che non l'avrei più rivisto perché gettarlo era stato necessario: "Troppo vecchio. E poi sui tappeti si fanno gli acari".
Io non sapevo bene cosa fossero gli acari. Ne avevo visto qualche bruttissimo disegno in delle locandine informative nella sala d'attesa del mio pediatra. In ogni caso questa spiegazione non attenuò la mia delusione.

Nessun tappeto nuovo è poi più entrato nella mia camera. Progressivamente scomparvero anche gli altri tappeti presenti in casa e io oggi detesto quasi in maniera viscerale i tappeti. Tanto da non usare nemmeno quello del bagno quando esco dalla doccia. Non saprei dire se ci sia un nesso: se assurdamente io abbia poi finito con il detestare tutti i tappeti proprio per aver tanto amato il tappeto blu da bambina...
Mi è tornata in mente questa storia perché stiamo attraversando i giorni della quarantena a causa dell'epidemia da Coronavirus. Tutti si lamentano nel trattenersi chiusi in casa, sebbene per esigenza. E ho ricordato i tempi in cui nell'infanzia era tutto più semplice e bastava un tappeto blu per abbandonare le quattro mura e approdare in remote realtà fantastiche. Non è lo stesso, non è il punto e il mio blaterare è sicuramente un fuori tema. Eppure per vivere alle volte è necessario sapersi reinventare, imparare a esaminare le situazioni con sguardo nuovo e scoprire in fondo come sia ugualmente possibile giocare anche senza l'amato tappeto blu.

Racconto di Valentina Mazzella.


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