C'era un piccione ai piedi del tavolino accanto. Aveva un'unica zampetta e un piumaggio in condizione pessime. Beccava briciole di biscotti sull'asfalto. Serena lo osservava con sguardo spento, eppure con attenzione. Si chiedeva in quale circostanza quel pennuto fosse rimasto menomato e con quale frequenza i piccioni siano soliti azzuffarsi fra loro.
Al tavolino da cui cadevano le briciole era seduta una famigliola. Un uomo e una donna che non si parlavano. Lei era molto presa da una bambina intrappolata in un passeggino. Sicuramente sua figlia, una bimba che sbocconcellava un biscottino con le manine imbrattate di saliva. Era lei a fare l'elemosina al piccione.
Con gli occhi bassi di chi preferisce non parlare, all'improvviso la madre le alzò il cappuccio e la cerniera del giubbottino rosa. Lo fece con scatti irruenti, conducendo il cursore fino al collo. Si era levato un soffio di vento ed effettivamente si avvertiva un po' di freschetto. Ciononostante Serena percepì un accanimento prepotente in quelle premure materne.
Sospirando tornò a posare lo sguardo su Anna che sorseggiava un tè fumante da una grossa tazza bianca. Come al solito aveva la testa fra le nuvole, questa volta rapita dagli aromi della tisana calda.
"La prossima volta dentro al bar, non all'aperto" borbottò Serena alzando il collo del maglione fino al mento.
"Perché? Non stai bene qui? Dai, ci sono ancora dei raggi di sole tiepidi!" commentò entusiasta Anna. L'amica si limitò a rispondere con una mezza smorfia.
"Hai fatto qualche sogno strano di recente?" chiese Anna girando il cucchiaino nella tazza del tè.
"Non saprei... Ti ho raccontato quello di un paio di notti fa in cui...?". Prima di proseguire Serena esitò. Raccontando il sogno sapeva bene a cosa sarebbe andata incontro. La coinquilina avrebbe iniziato a ciarlare, a spezzettare minuziosamente ogni dettaglio della storia per analizzarlo e provare a dare un'interpretazione. E lei non era esattamente di buonumore. Non aveva molta voglia di ascoltare i vaneggiamenti di Anna quella mattina. Tuttavia lo sguardo vispo e curioso dell'amica la spronò. Il nasino arricciato, la pacatezza con cui sorrideva in attesa e la calma con cui aveva smesso di girare il cucchiaino nella tazza comunicavano tutto il desiderio di Anna di ascoltare il sogno.
Serena si arrese e iniziò a raccontare senza troppi preamboli: "Beh... Sono nella mia vecchia casa. Entro in camera mia e vedo subito che sul mio letto ci sono disseminati tantissimi oggetti. È giorno, ma non mattina. La luce è quella un po' fiacca del tardo pomeriggio. Sul mio letto c'è una gazza ladra. Oddio, è un uccello nero lucido con sfumature colorate e la coda lunga. Non sono un'esperta, ma credo che le gazze siano fatte così... In ogni caso io nel sogno ero super convinta che si trattasse proprio di una gazza che inizia a beccare fra le mie cose e... Prende qualcosa, non so cosa e vola via! Esce dalla finestra aperta. Non ho potuto fare nulla per fermarla. Allora corro a controllare gli oggetti sparsi sul mio letto, soprattutto nel punto in cui ho visto la gazza beccare. Oh, c'è di tutto... Cianfrusaglie varie, cose importanti: gioiellini, collane, elastici per capelli, documenti... Sembra che qualcuno abbia rovesciato il contenuto dei miei cassetti. Improvviso una sorta di inventario mentale e non manca nulla. Verifico se ci siano ad esempio gli orecchini di perla o il punto luce o altra roba preziosa perché ricordo che alle gazze ladre piacciono le cose che luccicano... Però non manca nulla! C'è tutto! Quando il sogno sta per concludersi mi guardo attorno smarrita perché sono sicura che la gazza mi ha derubata e ha portato via qualcosa, ma non so cosa... Poi mi sono svegliata".
Pur senza alzarsi in piedi, Anna iniziò a saltellare con il sedere sulla sedia. A tal punto da far urtare le ginocchia sotto al tavolo. La tazza del suo tè e il caffè di Serena tremarono con un lieve tintinnio dei cucchiaini.
"Una gazza ladra!" disse Anna con gridolino acuto. Era letteralmente in preda all'entusiasmo.
Di fronte a quella inaspettata reazione, Serena sobbalzò dallo spavento. "Ma che ti prende?" esclamò di getto.
"Una gazza ladra" ripeté Anna lentamente e con voce più bassa. Il tono di chi dà per scontato che quelle tre semplici parole valgano una risposta piuttosto ovvia. Peccato che il significato, a quanto pare tanto scontato per Anna, non fosse così lampante anche per l'amica.
"Sì, e allora? C'è bisogno di capovolgere il tavolo?" brontolò Serena. Nel frattempo lanciò delle occhiate furtive agli altri clienti, come per controllare se quei gridolini avessero attirato l'attenzione di qualcuno. Di lato i genitori della bambina proseguivano placidamente a ignorarsi.
"É un'immagine onirica molto interessante! Come sempre anche questa può avere mille sfaccettature... Per alcune culture esoteriche rappresenta il simbolo del nostro spirito guida..." spiegò Anna con voce sommessa, piegandosi sulla tazza del tè.
"Non mi interessa l'esoterismo, lo sai..." le ricordò Serena per troncare sul nascere qualsiasi discorso potesse degenerare in credenze arcaiche prive di fondamento scientifico.
"... oppure potrebbe essere espressione di una tua esigenza presente. Il tuo subconscio magari ti sta comunicando che devi selezionare meglio i tuoi obiettivi. Non devi rincorrere false idee, falsi sogni... Sai, per la storia che le gazze siano attratte soprattutto da oggetti luccicanti. Eppure...".
"... non tutto ciò che luccica è oro" concluse Serena pensierosa.
"Esatto" disse Anna, annuendo animatamente con la testa.
"Mi sembra abbastanza plausibile come interpretazione... Però non ero io la gazza" commentò Serena grattandosi la testa.
"Potrebbe essere stata una tua proiezione" rispose l'altra. Serena aggrottò la fronte un po' scettica.
"In ogni caso, stando al metodo di Freud, anche la tua opinione è molto importante. Nell'interpretazione più o meno corretta di un sogno, gioca un ruolo decisivo anche l'associazione che lucidamente il soggetto fa da sveglio. A te ad esempio a cosa fa pensare comunemente una gazza ladra?" le domandò Anna sorseggiando finalmente il suo tè. Aveva smesso di fumare già da un po' e a Serena venne il dubbio che non fosse diventato solo tiepido, ma addirittura freddo.
"Non saprei...".
"Pensaci".
"Mh... La gazza mi fa pensare alla natura, al massimo ai tetti. Non è un uccello che vedo tutti i giorni per strada in città come i piccioni" rifletté Serena posando lo sguardo su dei colombi grigi in cerca di briciole nei paraggi del loro tavolino.
"Ecco, nel tuo sogno la gazza potrebbe dunque essere emblema di un aspetto di te stessa più selvatico e autentico..." ipotizzò Anna assumendo una postura quasi professionale.
"Ma non saprei... Al risveglio avevo soltanto la sensazione di essere stata derubata di un qualcosa" replicò Serena con rassegnazione.
"Ma nello stesso sogno hai detto di aver controllato e che c'era tutto".
"Sì...".
"E allora è solo una sensazione. Hai tutto" insisté Anna con un'inflessione della voce molto dolce. Per un attimo fu difficile stabilire se stesse parlando ancora del sogno o della realtà. "E se anche fosse, hai perso qualcosa di esterno. Tu sei tutta intera".
Serena sollevò lo sguardo. In cuor suo comprendeva il valore rassicurante di quelle parole, ma detestava quando l'amica giocava a farle da terapeuta. Scelse di non rispondere. Posò gli occhi su dei piccioni per terra che muovevano ritmicamente il collo. Con passo spavaldo stavano per avvicinarsi alla sua sedia. Serena pensò ancora alla gazza ladra dalle piume lucenti e la coda lunga. Ingoiò una sensazione spiacevole e con un calcio nel vuoto fece volare via i piccioni.
Racconto di Valentina Mazzella
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